lunedì 4 febbraio 2019

Ecco i sindacalisti che accusano gli Italiani di fascismo.

I sindacalisti in crociera a spese della Uil possono stare tranquilli, resteranno impuniti

Accertati i fatti, i protagonisti della marachella si sono visti contestare il reato di appropriazione indebita. Che, diciamo la verità, ci sta tutto. Anche se, considerata la brevità del suo termine di prescrizione, è sicuro che è destinato a estinguersi ben prima che si giunga a una sentenza definita. Impunità assicurata, lo garantisco sin d'ora.


Giorni fa ho letto sui giornali una notizia che mi ha colpito sino al punto da chiedermi quali conseguenze avrebbe comportato, quali polemiche avrebbe suscitato e quanta attenzione i media le avrebbero dedicato. Nell'attesa ero guardingo, sentendo far capolino nella mia mente il seguente quesito: "Vuoi vedere che non succederà nulla?". Ho avuto ragione, anche se non me ne compiaccio affatto.
La notizia è la seguente: qualche anno fa ben otto dirigenti sindacali della UIL, tra cui il segretario generale dell'epoca e il suo successore, accompagnati dalle rispettive consorti, sono andati in crociera due volte a bordo delle navi di gran lusso "Costa Atlantica" e "Costa Favolosa". Niente di male se, come invece avvenuto, il costo del tutto, ammontante a diverse migliaia di euro, non fosse stato saldato con fondi dei quel sindacato.
Accertati i fatti, i protagonisti della marachella si sono visti contestare il reato di appropriazione indebita.
Che, diciamo la verità, ci sta tutto. Anche se, considerata la brevità del suo termine di prescrizione, è sicuro che è destinato a estinguersi ben prima che si giunga a una sentenza definita. Impunità assicurata, lo garantisco sin d'ora.
Ciò premesso, va notato che il segretario generale del tempo ha precisato ai magistrati che lo interrogavano di non essere stato a conoscenza delle modalità di pagamento delle crociere. Le ha fatte gratis non c'è dubbio, ma "a sua insaputa". Scajola docet.
Lo stesso indagato ha, poi, precisato, e messo a verbale, che quelle crociere erano esclusivamente finalizzate a consentire ai partecipanti "di discutere in maniera approfondita, e per più giorni, di importanti tematiche relative principalmente al blocco dei contratti del pubblico impiego e delle politiche previdenziali del governo in carica". È vero, ha soggiunto, che "in seguito alle riunioni effettuate a bordo delle navi non sono stati redatti documenti o resoconti scritti, ma l' esito è stato ovviamente utile per i successivi confronti in seno alla segreteria".
Non c'è dubbio che la linea difensiva appena esposta consegna all'immortalità il compianto Principe De Curtis, meglio noto come Totò. Solo che, spenta la risata suscitata dall'istintivo ricordo del grande comico napoletano, sono stato colto da amarezza e sbigottimento nel prendere atto della totale assenza di reazioni da parte dei media, del mondo politico, della pubblica opinione e, cosa ancor più grave, degli iscritti a quel sindacato. Tutti muti come pesci. Per quanto possa sembrare incredibile, non ho avuto difficoltà a trovare una spiegazione a quell'assordante silenzio. Non si tratta di omertà, né del trionfo del famoso "fatti li c... tua" attribuito da Crozza al mitico Senatore Razzi.
La verità è un'altra. L'inarrestabile diffusione dell'illegalità nel nostro Paese ha comportato, quasi in automatico, una progressiva regressione della percezione dell'illegalità medesima. Specie di quella che ci appare più miserabile. È così che, bisogna ammetterlo, la coscienza civile se n è andata in vacanza, anche se non a bordo di navi di lusso. Ed è così che il Paese affonda inesorabilmente in un degrado della convivenza sociale che ciascuno di noi quotidianamente percepisce e, magari senza volerlo, finisce con il subire.
Le conseguenze sono avvilenti. Me ne viene in mente una: la nostra caduta di credibilità nello scenario internazionale. Ogni Paese ha i suoi guai e i suoi problemi di legalità, non c'è dubbio. Ma chiediamoci cosa possono pensare di noi, per esempio, i tedeschi che hanno preteso le dimissioni di un ministro sol perché si era scoperto che aveva copiato alcune pagine della sua tesi di dottorato. O gli inglesi che hanno escluso dalla successiva candidatura tutti i deputati che avevano fatto la cresta sui rimborsi spese previsti a loro favore.
Cosa può fare la politica per dare quantomeno un segno, anche simbolico, di inversione di tendenza? Uno mi viene in mente. Alla prossima riunione con i sindacati dei lavoratori a Palazzo Chigi, i rappresentanti del Governo si rifiutino di sedersi al tavolo delle trattative avendo di fronte indagati per appropriazione indebita che hanno, per di più, concepito difese tanto squallide quanto ridicole. Sarebbe un segno che, sono sicuro, molti italiani apprezzerebbero. Anche perché, malgrado tutto, di gente per bene ne abbiamo ancora tanta attorno a noi. Il Governo ne prenda atto e si dia carico di rispettarli.

Risorse ed Islam. Ecco quello che i buonisti hanno prodotto.

A Milano come a Mogadishu, risse in strada e moschee a cielo aperto: ecco l’altra faccia dell’accoglienza

lunedì 4 febbraio 11:17 - di Martino Della Costa

A Milano come a Mogadishu o a Molenbeek: risse in strada e preghiere islamiche alle pendici del Castello Sforzesco, trasformate in moschee a cielo aperto. E preghiere e cazzotti volano in mezzo a passanti sconcertati e terrorizzati.

Milano, risse in strada e moschee a cielo aperto

E mentre imperversa la crociata buonista per l’integrazione, l’altra faccia dell’accoglienza rivela ogni giorno di più i risvolti da incubo di un’utopia impossibile da realizzare e, forse, anche solo da perseguire. E a confermarlo arriva la cronaca di una delle città più importanti e multietniche del Belpaese, Milano, dove solo poche ore fa (era domenica sera ndr) un nordafricano è stato accoltellato davanti ai passati, all’angolo tra viale Farini e viale Stelvio. L’uomo, probabilmente vittima di una guerra tra bande, è riuscito a raggiungere a piedi e sanguinante l’ospedale Niguarda dove è stato ricoverato e dove versa in gravi condizioni anche se non sarebbe in pericolo di vita, nonostante – spiega Il Giornale dando la notizia d’apertura sul suo sito – «i numerosi tagli e le profonde ferite su tutto il corpo, volto compreso». L’intera scena, neanche a dirlo, è stata tempestivamente ripresa da alcuni passanti e il video choc è stato condiviso sui social, a riprova della efferatezza quotidiana che ha ormai invaso vicoli e strade delle nostre “accoglienti” città. «Nel filmato – riporta allora il quotidiano diretto da Sallusti – si vede un uomo con una giacca marrone stendere a terra un’altra persona e affondare una lama verso di questa numerose volte». E tutto solo a pochi passi da frequentatissime fermate di autobus e metropolitana e sotto gli occhi sconvolti dei passanti, terrorizzati da quella lama brandita furiosamente dall’aggressore nordafricano.

Musulmani raccolti in preghiera davanti al Castello Sforzesco

Poco distante, altri ospiti stranieri della città, in barba a imam condannati per terrorismo e in ossequio a tradizioni assai lontane dalle nostre – (e per nulla intimoriti di urtare la suscettibilità di chi accoglie e ospita sbrigandosi a staccare i crocifissi dalle pareti di aule scolastiche e uffici pubblici) – il giardinetto davanti al Forte degli Sforza viene trasformato in un luogo di preghiera da un gruppetto sempre più nutrito di fedeli musulmani, raccolti in preghiera davanti a uno dei simboli storico-culturali milanesi e trasformato all’occorrenza nell’ennesima moschea della città: Una città dal volto sempre più irriconoscibile (come la foto presa da Twitter testimonia drammaticamente)…


https://www.facebook.com/ABUAJ2/videos/2016402355079843/Muslim Black slavery - Islam slave history of Black Africa

domenica 3 febbraio 2019

Ma chi sono i ministri del Pd che contestano Salvini e di Maio

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UNA MONTAGNA DI SOLDI IN LUSSEMBURGO E ISRAELE: ECCO IL “TESORO” DI MATTEO RENZI, REGALATO IN QUESTI ANNI DAI SUOI “PADRONI”


La partita delle nomine è fondamentale, per sbloccare la casella a cui tiene di più, quella dell’intelligence informatica, di Marco Carrai. Ma chi c’è dietro Carrai? Quali sono i suoi soci? E soprattutto: perché Renzi non può rinunciare alla sua nomina? La risposta è proprio nella rete di rapporti, soldi e uomini, legati a doppio filo con Carrai. Una rete che il Fatto Quotidiano è in grado di rivelare. Grandi imprenditori delle infrastrutture pubbliche, consiglieri di Finmeccanica, capi di importanti gruppi bancari, ex agenti dei servizi segreti israeliani, uomini legati ai colossi del tabacco. Oltre al solito fedelissimo renziano Davide Serra, finanziere trapiantato a Londra e creatore del fondo Algebris. Persino un commercialista accusato di riciclaggio.
Una rete che si snoda intorno a Carrai proprio dal 2012: negli stessi giorni in cui Renzi avvia la scalata al Pd e poi al governo. Una rete che arriva sino a oggi, alla Cys4, la società di Carrai per la cybersicurezza. La stessa società a cui il governo si è aggrappato per giustificare le competenze di “Marchino”, come lo chiamano gli amici, per guidare il comparto dell’intelligence. Persino il ministroMaria Elena Boschi ne ha dovuto rispondere in aula. Eppure, è proprio la presenza sul mercato della Cys4 a rendere Carrai un uomo in pieno conflitto di interessi.
Quell’estate calda in Lussemburgo. Torniamo quindi al giugno 2012. Renzi annuncia la sua candidatura alle primarie contro Pier Luigi Bersani. Due mesi dopo Carrai vola in Lussemburgo. È il primo agosto. Il Richelieu del premier crea una società, la Wadi Ventures management capital sarl, con poche migliaia di euro e un pugno di soci. C’è la Jonathan Pacifici & Partners Ltd, società israeliana del lobbista Jonathan Pacifici, magnate delle start up che dalla “silicon valley” di Tel Aviv stanno conquistando il mondo.
A Carrai e Pacifici si uniscono la società Sdb Srl di e i manager e . I cinque della Wadi Sarl sono gli stessi che oggi controllano il 33 per cento della Cys4, la società di intelligence di Carrai. Un dato che in questa storia non bisogna mai dimenticare. Ma perché Carrai crea in Lussemburgo la Wadi sarl? La risposta arriva dalle visure camerali lussemburghesi. Fine principale: sottoscrivere e acquisire le , omonima e sempre lussemburghese, che in quel momento ancora non esiste: . Nasce nel novembre 2012. Renzi è in piena campagna elettorale. Il 27 novembre l’amico Serra, già finanziatore della Fondazione Big Bang di Renzi, versa i primi 50 mila euro nella Wadi Sca. E nelle stesse settimane Carrai, in Italia, pone le basi della futura Cys4.
A Carrai e Pacifici si uniscono la società Sdb Srl di Vittorio Giaroli e i manager Renato Attanasio Sica eGianpaolo Moscati. I cinque della Wadi Sarl sono gli stessi che oggi controllano il 33 per cento della Cys4, la società di intelligence di Carrai. Un dato che in questa storia non bisogna mai dimenticare. Ma perché Carrai crea in Lussemburgo la Wadi sarl? La risposta arriva dalle visure camerali lussemburghesi. Fine principale: sottoscrivere e acquisire le partecipazioni di un’altra società, omonima e sempre lussemburghese, che in quel momento ancora non esiste: Wadi Ventures Sca. Nasce nel novembre 2012. Renzi è in piena campagna elettorale. Il 27 novembre l’amico Serra, già finanziatore della Fondazione Big Bang di Renzi, versa i primi 50 mila euro nella Wadi Sca. E nelle stesse settimane Carrai, in Italia, pone le basi della futura Cys4.
Il 26 ottobre “Marchino” crea l’embrione della sua futura creatura, quella dedita alla cybersecurity, e che vede Renzi, proprio oggi, impegnato ad affidargli il settore informatico della nostra intelligence.
La ramificazione israeliana. L’embrione della Cys4 si chiama Cambridge management consulting labs. È una società di consulenza aziendale, iscritta alla Camera di commercio il 6 novembre, un mese prima delle primarie. I soci della Cambridge? Gli stessi della Wadi Sarl lussemburghese. Che così controllano anche la cassaforte Wadi Sca. Nella quale, dopo Serra, entra la Fb group Srl, di Marco Bernabé, già socio della Cambridge.
Stessi uomini, società diverse, che dal Lussemburgo portano anche in Israele. Bernabè è socio di un’altra Wadi Ventures, con sede a Tel Aviv, al 10 di Hanechoshet street. È la stessa sede israeliana dell’italianissima Cambridge. Il 2 dicembre Renzi perde le primarie. Le società lussemburghesi legate a Carrai conquistano invece nuovi soci. Non dimentichiamo la squadra: gli uomini della Cambridge, sono gli stessi della Wadi sarl, che controlla la Wadi Sca. E in pochi mesi arriva un altro milione. Con quali soci?
A marzo 2013, nel capitale sociale, entra la Equity Liner con 100 mila euro, creata nel 2006 da tre società (Global Trust, Finstar Holding srl, Regent Sourcing Ltd) rappresentate da AnnalisaCiampoli. La Finstar Holding, è del commercialista e faccendiere romano Bruno Capone. La signora Ciampoli, pur non essendo indagata, è definita, in alcuni atti d’indagine – quelli su un’associazione per delinquere dedita al riciclaggio transnazionale – la collaboratrice di Capone. Capone, invece, è indagato dalla Procura di Roma per riciclaggio in relazione a ingenti trasferimenti di denaro in Lussemburgo che non riguardano la Wadi.
Nel marzo 2012, dunque, il nuovo socio del gruppo di Carrai è un presunto riciclatore, tuttora indagato. Sei mesi dopo, la Equity Liner riconducibile a Capone, viene venduta a un’altra società, la Facility Partners Sa. E Renzi torna a candidarsi per le primarie.
Signori del tabacco e delle banche. In quei mesi, la lobby del tabacco è impegnata nella battaglia sulle accise. Il collegato alla Legge di stabilità prevede un aumento di 40 centesimi sui pacchetti più economici. L’operazione però salta. Renzi in quel momento non è ancora al governo. Ma è in corsa per le primarie, stavolta può vincere. Il presidente della Manifattura italiana tabacco, in quel momento, si chiama Francesco Valli. È lo stesso Valli che, fino al 2012, è stato a capo della British American Tobacco Italy. Non è di certo un uomo legato al Pd. Anzi. Presiede per tre anni, dal 2009 al 2012, la Fondazione Magna Charta creata dal senatore allora Pdl Gaetano Quagliarello. È lui il prossimo uomo ad aprire il portafogli. È il nuovo socio della Wadi Sca e del gruppo Carrai. Che la lobby della nicotina avesse finanziato Renzi, attraverso la fondazione Open, diventa noto nel luglio 2014, quando la British American Tobacco versa 100mila euro. Il Fatto può rivelare che l’interesse della lobby risale a un anno prima: tra aprile e settembre, Valli versa 150 mila euro alla Wadi Sca, diventando anch’egli socio di Carrai e Serra. Valli, contattato dal Fatto, ha preferito non commentare.
In pochi giorni si aggiunge anche Luigi Maranzana, che acquista azioni per 100 mila euro. È lo stesso Maranzana che oggi riveste la carica di presidente della Intesa San Paolo Vita, ramo assicurativo del gruppo bancario guidato da Giovanni Bazoli. Interpellato, non se n’è accorto: “Socio di Carrai e di Serra? Non ne so niente, Carrai non lo conosco, sono sempre stato lontano dalla politica – risponde al Fatto –. Ho solo fatto un investimento”. Chi gliel’ha suggerito? Clic.
Alla fine del 2013, quando Renzi diventa segretario del Pd e si avvicina a scalzare Enrico Letta, è il caso di fare qualche conto. Nella Wadi Sca, in un solo anno, sono entrati un milione e 50 mila euro e cinque nuovi soci. A controllare il tutto c’è Carrai. Non solo. Gli stessi soci di Carrai in Lussemburgo – Moscati, Bernabé, Pacifici, Sica e Giaroli – sono già attivi da un anno, in Italia, nella Cambridge, che a fine 2013 matura un utile di appena 46 mila euro. È destinato a salire vorticosamente nell’anno successivo. Quando Renzi diventa premier. Ed è proprio il 2014 a segnalare le novità più interessanti sul fronte lussemburghese.
Nominato in Finmeccanica, arriva il nuovo socio. Nella primavera del 2014, dopo aver conquistato la segreteria del Pd e varcato la soglia di Palazzo Chigi, Renzi è già impegnato nella sua prima tornata di nomine per le aziende di Stato. E nel cda di Finmeccanica entra un uomo che l’ha sostenuto sin dall’inizio: Fabrizio Landi, esperto del settore bio-medicale, tra i primi finanziatori della Leopolda con 10 mila euro. “Ma lei pensa che con 10 mila euro ci si compra un posto nella società più tecnologica del Paese?”, dice Landi all’Huffington Post. In effetti, tre mesi dopo la sua nomina in Finmeccanica, Landi versa altri 75 mila euro comprando altrettante azioni della Wadi Sca.
Non è l’unico a incrementare il capitale della Wadi e, soprattutto, a diventare socio del gruppo legato a Carrai. C’è anche un importante imprenditore che, proprio in quelle settimane, fatica a farsi ascoltare dall’ex ministro per le Infrastrutture, Maurizio Lupi, nonostante gestisca appalti pubblici per miliardi. Il suo nome è Michele Pizzarotti, costruttore.
“Sostegno all’estero” per l’uomo delle strade. Ad aprile Pizzarotti ha un problema: riuscire a parlare con l’ex ministro Maurizio Lupi. Per riuscirci, deve passare attraverso tale FrancoCavallo, detto “zio Frank”, amico di Lupi, che organizza tavoli con visione del ministro, annesso dialogo e strette di mano, in cene da 10mila euro: “Inizia alle 7? A che ora finirà? Si cena in piedi?”, chiede Pizzarotti a “zio Frank”, il 19 marzo 2014, annunciandogli la sua presenza. Dodici giorni dopo – il primo aprile 2014 – “zio Frank” gli fissa un appuntamento telefonico con Emanuele Forlani, della segreteria di Lupi, ma l’aggancio non funziona. “Mi ha detto ‘devo vedere’…”, spiega Pizzarotti a zio Frank, “per l’amor di Dio sarà impegnatissimo, però, ragazzi, stiamo parlando di un’impresa che ha in ballo 4 miliardi di opere bloccate per motivi burocratici assurdi”. Ecco, nell’aprile 2014, Pizzarotti ha un problema: tenta di parlare con Lupi perché vede le sue “opere bloccate per assurdi motivi burocratici”. Cinque mesi dopo, versa 100 mila euro in Lussemburgo, alla Wadi Sca, diventando socio degli uomini più vicini a Renzi. Eppure il business delle start up non è mai stato il suo core business. Due mesi dopo questo versamento Renzi è a Parma, nell’azienda Pizzarotti, dove lo accolgono il patron Paolo con i figli Michele ed Enrica: “Occorre far ripartire l’edilizia”, dice davanti alle tv, “il governo vuol sostenere le imprese italiane all’estero”.
Di certo, in quel momento, c’è che è proprio Pizzarotti a sostenere un’azienda all’estero, per la precisione la Wadi sca. Contattato dal Fatto, l’imprenditore spiega che i problemi sono rimasti anche con l’arrivo al posto di Lupi di Graziano Delrio che però, a differenza del predecessore, almeno l’ha ricevuto. “Ci ha accolto, sì, ma senza alcun vantaggio per i nostri lavori”. Chi l’ha invitata – chiediamo – a investire nella Wadi? “Pacifici. Non sapevo fosse controllata da Carrai”. E sono due. Poi aggiunge: “L’ho scelta perché investe in start up in Israele, Paese più innovativo assieme alla California, dove peraltro la mia impresa lavora, nella convinzione di fare un affare azzeccato. Pacifici mi invia periodicamente report sull’andamento dei nostri investimenti”. E Israele, in questa storia, è davvero centrale.
Dal Mossad agli affari. Alla Wadi Sarl, nell’estate del 2014, si aggiunge un’altra società, la Leading Edge, riconducibile a Reuven Ulmansky, veterano della unità 8200 dell’esercito israeliano, creata nel 1952, equivalente alla National security agency (Nsa) degli Usa, dedita da sempre alla guerra cibernetica e alla “raccolta dati” per l’intelligence israeliana. Ulmansky è socio di Carrai e degli stessi uomini che, pochi mesi dopo, nel dicembre 2014, partecipano con il 33 per cento alla neonata Cys4 che, guarda caso, vanta tre sedi in Italia e una a Tel Aviv.
Chi sono i soci della Cys4? Per il 33 per cento, appunto, sono Sica, Moscati, la Fb di Bernabè, Pacifici e Carrai. Quali sono i soci della lussemburghese Wadi Sarl? Sica, Moscati, Bernabé, Pacifici, Carrai. E Sica, Moscati e Carrai, amministrano la cassaforte Wadi sca, dove hanno investito i loro soldi Serra, il futuro capo di San Paolo Vita, Maranzana, il futuro consigliere di Finmeccanica Landi, l’uomo della lobby del tabacco Valli, il grande imprenditore Pizzarotti.
Con i nuovi soci si cresce. Il 30 novembre 2014 la società porta il capitale a 1,5 milioni e delibera aumenti fino a 3 milioni. Gestiti dagli stessi uomini che controllano, attraverso la Cambridge, il 33 per cento della Cys4. E sul fronte italiano? La Cambridge, amministrata dallo stesso gruppo, nel 2014 vede esplodere l’utile da 46 mila euro a 1,5 milioni.
Ieri Il Fatto ha contattato Carrai, che ha preferito non rispondere alle nostre domande. È per lui che il premier Renzi sta ridisegnando l’intelligence del Paese, ridistribuendo poteri e rischiando disequilibri e frizioni con il Quirinale. Il tutto solo per creare un ruolo chiave da assegnare a Marco Carrai.

Il Senato deve respingere l’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini. Ecco le ragioni giuridiche

Articolo a firma di Paolo Becchi e Giuseppe Palma su Libero del 30 gennaio 2019:
Quando è divampata la tempesta e tutti gongolavano, noi siamo stati i primi a dirlo proprio dalle pagine di questo giornale: il processo a Salvini è un processo politico e non s’ha da fare. Adesso se ne è reso conto pure lui, che invece all’inizio aveva tentato la “carta Danton”, cioè andare a processo col popolo in suo sostegno. Sappiamo la fine che ha fatto Danton di fronte ad un Tribunale politico e Salvini ha fatto bene a ripensarci.
Il problema ora è il M5S, che nel suo “codice etico” prevede che il MoVimento voti sempre a favore dell’autorizzazione a procedere. Lo stesso Di Maio, dalla poltrona televisiva di Giletti, ha detto che il suo partito voterà in favore dell’autorizzazione ma che lui si rende disponibile a fare da testimone nel processo, evidenziando che la posizione sul caso Diciotti non fu assunta da Salvini ma dall’intero Consiglio dei Ministri. Poche ore prima si era pronunciato anche Alessandro Di Battista, che dal salotto della D’Urso (!) aveva addirittura detto che Salvini «dovrebbe rinunciare all’immunità, evitando che il Parlamento si pronunci».
Escamotage per lavarsi la coscienza e far contenta quella parte di elettorato grillino astioso e giustizialista. Ma il MoVimento sbaglia. Il processo a Salvini è un processo politico e l’art. 9 della Legge costituzionale n. 1/1989 prevede che il Senato debba negare l’autorizzazione, con giudizio insindacabile, quando «l’inquisito abbia agito a tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo». Esattamente ciò che il Ministro ha fatto dal 20 al 25 agosto dello scorso anno per il caso Diciotti.
Se il M5S votasse a favore dell’autorizzazione a procedere, al di là degli aspetti politici, violerebbe il contenuto di una legge costituzionale. Non si tratta solo di valutare il fumus persecutionis, che a nostro avviso è pur evidente ma attiene alla discrezionalità valutativa di ciascun parlamentare, bensì di applicare una legge costituzionale che – sul punto – non lascia spazio a dubbi.
È bene dunque che il MoVimento ne prenda atto e muti orientamento. Se invece Di Maio ritenesse di andare avanti con quanto ha già dichiarato, per il MoVimento le conseguenze sarebbero politicamente disastrose. Un voto palese contro il Ministro esporrebbe l’intero esecutivo ad una crisi di governo. Se invece almeno venti senatori ne facessero richiesta, lo scrutinio avverrebbe con votazione segreta. Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno quasi ottanta senatori, i quali potrebbero avanzare una tale proposta per salvare l’alleato di centrodestra e far emergere le contraddizioni interne al MoVimento. A quel punto il M5S si troverebbe in trappola, perché dal voto segreto risulterebbe la spaccatura nei 5 stelle: infatti non tutti i senatori pentastellati sono disponibili a perdere il seggio a seguito della crisi che ne deriverebbe. Una pessima figura per Di Maio. E un ministro del governo verrebbe probabilmente salvato con i voti determinanti di Forza Italia e Fratelli d’Italia.
Ma c’è qualcosa di più importante di tutti questi tatticismi politici. Un Paese che processa il suo Ministro dell’Interno per aver difeso la Patria e i suoi confini è un Paese che non ha futuro. Se poi in questa vicenda viene a mancare l’aiuto del partito di maggioranza relativa, al momento alleato di governo della Lega, allora questo vuol dire che non ha alcun senso proseguire questa esperienza di governo. Una cosa va comunque registrata sin d’ora. In un modo o nell’altro Salvini ne esce ancora una volta alla grande, mentre il M5s si trova ancora una volta in difficoltà.

ABORTO/ Stati Uniti, bambini estratti vivi dal grembo e uccisi: piangono e urlano di dolore

Una clinica americana per aborti è sotto processo per l’accusa di aver ucciso numerosi bambini dopo essere nati vivi in casi di aborto, ecco di cosa si tratta in questa news

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Sarebbero 18mila i bambini che muoiono durante aborti effettuati nel cosiddetto ultimo termine, la ventesima settimana, il limite massimo concesso dalla legge americana, bambini che sono ormai del tutto formati e in ottima salute. Lo ha detto il deputato Trent Franks in una intervista al sito LifeNews.com: “Bambini innocenti e senza difese che sentono tutto il dolore fisico di quanto si sta loro facendo ma che in molti casi sopravvivono anche fuori del grembo materno e che vengono uccisi senza neanche il minimo di anestesia”. Urlano e piangono, ha detto ancora ma per via del liquido amniotico che copre le corde vocali invece dell’aria, non si sentono queste grida disperate. Ma non sempre è così: spesso queste urla e pianti si possono udire. Lo ha raccontato una ex dipendente della clinica abortista Kermit Gosnell di Philadelphia dicendo che durante un aborto è rimasta sconvolta dalle urla di un bambino che veniva ucciso dopo essere uscito dal grembo. Per resistere a queste scene, Sherry West, l’infermiera, ha detto che cercava di convincersi di trovarsi davanti a una sorta di cavia e non a un essere umano. La clinica in questione è adesso sotto processo per numerosi casi di omicidio di bambini uccisi dopo essere nati. Sherry West è tra i testimoni al processo e a proposito di quanto ha assistito, visibilmente sconvolta al ricordo, ha detto di non sapere come descrivere le urla che sentiva, paragonandole a quelle di una specie di alieno. Il parlamento americano nei prossimi giorni voterà una proposta di legge per ridurre il termine di aborto prima della ventesima settimana.

Risorsa : Ti taglio la testa, ti apro tutto…

Immigrato aggredisce leghista a banchetto pro-Salvini: “Ti taglio la testa, ti apro tutto…”

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FacebookTwitterWhatsAppFacebook MessengerGravissima aggressione a Palermo, dove un immigrato tunisino ha aggredito un militante leghista: “Gli urlava ‘Ti taglio la testa, ti apro tutto…'”

“Questa mattina a Partinico, ad un gazebo della Lega allestito in piazza Duomo, un tunisino si è scagliato verbalmente contro un militante e lo ha minacciato di morte dicendo: ‘ti taglio la testa, ti apro tutto…‘. L’autore della brutale aggressione è scappato immediatamente, dileguandosi nel giro di pochi istanti. E’ intervenuta la polizia, che sta indagando per risalire all’identità dell’uomo”. A denunciare è Igor Gelarda, capogruppo della Lega in consiglio comunale a Palermo, e responsabile regionale enti locali del partito, presente gazebo durante l’aggressione.
“L’aggressione subìta dal militante della Lega a Partinico – dice Gelarda – si somma ad altri due brutti episodi avvenuti nelle ultime 48 ore a Bagheria e sempre ai danni dei nostri militanti. Fra venerdì e sabato, infatti, è comparso un messaggio inquietante scritto con un pennarello rosso all’ingresso della sede del circolo leghista bagherese. Ed un altro messaggio, ben più minaccioso del precedente, è stato invece inciso con un chiodo ed indirizzato ad una nostra rappresentante. Anche a Bagheria è intervenuta la polizia, con indagini in corso da parte della Scientifica per risalire agli autori delle intimidazioni”.
Sugli episodi è intervenuto anche il senatore Stefano Candiani, sottosegretario al ministero dell’Interno e commissario leghista in Sicilia: “Nessuno pensi di intimidire i militanti e i rappresentanti istituzionali della Lega a Partinico e Bagheria, come in ogni angolo dell’Isola – dicono Candiani e Gelarda – impegnati ogni giorno con passione e dedizione sui territori per portare avanti il progetto del cambiamento per il riscatto della Sicilia. Siamo certi che di fronte a queste vili minacce si alzerà unanime il coro di solidarietà dei rappresentanti delle varie istituzioni siciliane – concludono Candiani e Gelarda – a cominciare proprio dai primi cittadini di Partinico e Bagheria, oltre che dal sindaco della città metropolitana di Palermo, Leoluca Orlando”.