Articolo a firma di Paolo Becchi e Giuseppe Palma su Libero del 30 gennaio 2019:
Quando è divampata la tempesta e tutti gongolavano, noi siamo stati i primi a dirlo proprio dalle pagine di questo giornale: il processo a Salvini è un processo politico e non s’ha da fare. Adesso se ne è reso conto pure lui, che invece all’inizio aveva tentato la “carta Danton”, cioè andare a processo col popolo in suo sostegno. Sappiamo la fine che ha fatto Danton di fronte ad un Tribunale politico e Salvini ha fatto bene a ripensarci.
Il problema ora è il M5S, che nel suo “codice etico” prevede che il MoVimento voti sempre a favore dell’autorizzazione a procedere. Lo stesso Di Maio, dalla poltrona televisiva di Giletti, ha detto che il suo partito voterà in favore dell’autorizzazione ma che lui si rende disponibile a fare da testimone nel processo, evidenziando che la posizione sul caso Diciotti non fu assunta da Salvini ma dall’intero Consiglio dei Ministri. Poche ore prima si era pronunciato anche Alessandro Di Battista, che dal salotto della D’Urso (!) aveva addirittura detto che Salvini «dovrebbe rinunciare all’immunità, evitando che il Parlamento si pronunci».
Escamotage per lavarsi la coscienza e far contenta quella parte di elettorato grillino astioso e giustizialista. Ma il MoVimento sbaglia. Il processo a Salvini è un processo politico e l’art. 9 della Legge costituzionale n. 1/1989 prevede che il Senato debba negare l’autorizzazione, con giudizio insindacabile, quando «l’inquisito abbia agito a tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo». Esattamente ciò che il Ministro ha fatto dal 20 al 25 agosto dello scorso anno per il caso Diciotti.
Se il M5S votasse a favore dell’autorizzazione a procedere, al di là degli aspetti politici, violerebbe il contenuto di una legge costituzionale. Non si tratta solo di valutare il fumus persecutionis, che a nostro avviso è pur evidente ma attiene alla discrezionalità valutativa di ciascun parlamentare, bensì di applicare una legge costituzionale che – sul punto – non lascia spazio a dubbi.
È bene dunque che il MoVimento ne prenda atto e muti orientamento. Se invece Di Maio ritenesse di andare avanti con quanto ha già dichiarato, per il MoVimento le conseguenze sarebbero politicamente disastrose. Un voto palese contro il Ministro esporrebbe l’intero esecutivo ad una crisi di governo. Se invece almeno venti senatori ne facessero richiesta, lo scrutinio avverrebbe con votazione segreta. Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno quasi ottanta senatori, i quali potrebbero avanzare una tale proposta per salvare l’alleato di centrodestra e far emergere le contraddizioni interne al MoVimento. A quel punto il M5S si troverebbe in trappola, perché dal voto segreto risulterebbe la spaccatura nei 5 stelle: infatti non tutti i senatori pentastellati sono disponibili a perdere il seggio a seguito della crisi che ne deriverebbe. Una pessima figura per Di Maio. E un ministro del governo verrebbe probabilmente salvato con i voti determinanti di Forza Italia e Fratelli d’Italia.
Ma c’è qualcosa di più importante di tutti questi tatticismi politici. Un Paese che processa il suo Ministro dell’Interno per aver difeso la Patria e i suoi confini è un Paese che non ha futuro. Se poi in questa vicenda viene a mancare l’aiuto del partito di maggioranza relativa, al momento alleato di governo della Lega, allora questo vuol dire che non ha alcun senso proseguire questa esperienza di governo. Una cosa va comunque registrata sin d’ora. In un modo o nell’altro Salvini ne esce ancora una volta alla grande, mentre il M5s si trova ancora una volta in difficoltà.
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