giovedì 11 luglio 2019

DAISY OSAKUE, e il padre ma l UOVO ERA DEL PD



POVERA DAISY, HANNO VOLUTO TRASFORMARLA IN ICONA (SENZA CHE CE NE FOSSE IL MOTIVO) E ORA ESCE FUORI CHE IL PADRE È STATO CONDANNATO PERCHÉ APPARTENEVA ALLA MAFIA NIGERIANA E SFRUTTAVA PROSTITUTE. ANCHE LA MADRE SAREBBE STATA ARRESTATA IN UNA RETATA - L'ATLETA OVVIAMENTE NON C'ENTRA NULLA, MA QUANDO DIVENTI UN PERSONAGGIO PUBBLICO (TUO MALGRADO) I GIORNALI PARLERANNO ANCHE DEI TUOI PARENTI



 
1. DAISY OSAKUE, PRESA LA "BANDA DELL'UOVO": UNO DEI TRE FIGLIO DI CONSIGLIERE PD
Chiara Sarra per ''il Giornale''

Come già sospettato dagli inquirenti, dietro l'aggressione a colpi di uova nei confronti di Daisy Osakue e di altre quattro persone a Moncalieri (Torino) non c'era un movente razziale, ma la bravata di alcuni ragazzi.


E, anzi, uno di loro è figlio di un consigliere del Partito democratico

Sono stati identificati infatti tre giovani italiani, residenti a Vinovo, La Loggia e Moncalieri, che hanno ammesso di aver agito per goliardia. I tre - che hanno utilizzato per le "scorribande" la Fiat Doblò nera intestata al padre di uno di loro - sono stati denunciati per lesioni e omissione di soccorso.
daisy daisy

I carabinieri erano sulle loro tracce da giorni, fin da quando - la sera del 25 luglio - tre donne, tra cui Brunella Gambino, furono aggredite nello stesso modo e dalla stessa auto all'uscita da un ristorante. Allora la vicenda era stata segnalata, ma le vittime non avevano avuto gravi conseguenze. A differenza di Daisy, discobola della Nazionale, che è rimasta ferita a un occhio e che rischia di non poter partecipare ai prossimi Europei.

Ascoltando le testimonianze di altre persone colpite dalle uova (almeno sette i casi in due mesi) e analizzando i filmati delle telecamere di sicurezza della cittadina, gli inquirenti sono riusciti a risalire al proprietario dell'auto, residente a Vinovo. Si tratterebbe - secondo il Corriere - di Roberto De Pascali, consigliere Pd del Comune di Vinovo ed ex candidato sindaco. "Pare che uno dei “lanciatori” sia figlio di un consigliere comunale PD!", ha ironizzato Matteo Salvini su Facebook,

Questa mattina i carabinieri hanno rintracciato la vettura - ancora sporca di uova sulla fiancata destra - e hanno scoperto che veniva usata soprattutto dal figlio 19enne dell'intestatario. Che ha confessato di essere il responsabile insieme a due coetanei dei lanci. Secondo gli inquirenti, i tre agivano per mera goliardia, colpendo a caso chi capitava a tiro.



2. IL PAPÀ DI DAISY MINACCIA: "NOI VIA DALL'ITALIA" MA ORA SPUNTANO DUE ARRESTI E UNA CONDANNA
Laura Tecce per ''il Giornale''

DAISY OSAKUE DAISY OSAKUE
«Daisy è nata in Italia, come i suoi fratelli di 14 e 8 anni. Da adesso in poi farò attenzione che non tornino a casa dopo le 20. Siamo arrivati dalla Nigeria 24 anni fa, è capitato di essere vittime di episodi razzisti verbali, ma non ci faccio caso. Le persone parlano, non bisogna darci troppo peso».

Così Iredia Osakue, il papà di Daisy, la giovane atleta della Nazionale italiana di atletica leggera colpita dal lancio di uova a Moncalieri. Addirittura ha dichiarato che vorrebbe «andarsene dall'Italia», nonostante le indagini che hanno portato all'identificazione degli aggressori, come è stato più volte sottolineato dagli inquirenti, hanno del tutto escluso l'aggravante razzista invocata dalla stessa ragazza e dal padre nelle interviste a stampa e tv in quanto dello stesso tipo di violenza sono state vittime anche tre signore non di colore all'uscita del ristorante e un pensionato che ha visto imbrattato il muro esterno della propria abitazione.

Ciò che invece emerge da una sentenza di primo grado del 9 ottobre 2007, emessa dal gup Cristina Palmesino al termine di un processo con il rito abbreviato, è che Iredia Osakue è stato condannato a 5 anni e 4 mesi per associazione a delinquere di stampo mafioso, tentata rapina e spaccio di droga. L'uomo sarebbe stato a capo di un'organizzazione, chiamata «Eiye», che ha base in Nigeria ma molte ramificazioni in Europa. Al centro del processo la lotta con l'organizzazione rivale «Black Axe» con cui si contendeva il controllo del Torinese. Al gruppo venivano attribuiti diversi reati: truffa, intimidazioni, tentati omicidi, lesioni, estorsioni ed esercitava la violenza fisica «con armi bianche e da sparo», con «frustate attraverso lo strumento africano detto kobu-kobu al fine di costringere connazionali ad affiliarsi o di punire chi sgarrava».

In un articolo di Repubblica datato 2002 si parla di una retata dei carabinieri di Moncalieri in cui furono arrestati per «sfruttamento della prostituzione Odion Obadeyi, 28, Lovely Albert, 30 anni, il convivente di quest'ultima, Iredia Osakue, 29 anni, tutti e tre clandestini, e Silvano Gallo, 50 anni, di Nichelino, che aveva formato una gang specializzata nello sfruttamento di decine di prostitute di colore il cui ingresso clandestino in Italia era favorito da un phone center di San Salvario».

I carabinieri di Moncalieri confermano che l'uomo arrestato per sfruttamento della prostituzione nel 2002 è lo stesso Iredia Osakue, padre della discobola azzurra Daisy, e Lovely Albert, altro non sarebbe che la madre della giovane, che oggi avrebbe cambiato nome in Magdeline. Oggi l'uomo è il titolare di un centro pratiche per immigrati, la Daad Agency di Moncalieri, che gestisce dai permessi di soggiorno ai ricongiungimenti familiari, nonché mediatore culturale in una cooperativa che gestisce l'accoglienza, la cooperativa sociale Sanitalia service che gestisce 15 strutture in Piemonte.

E i vigili urbani di Torino avrebbero riarrestato, nel 2006, un Iredia Osakue per una vicenda legata alla tratta delle ragazze nigeriane.
DAISY OSAKUE 1 DAISY OSAKUE 1



3. IL PADRE DI DAISY OSAKUE ERA UN CAPO DELLA MAFIA NIGERIANA
Francesco Borgonovo per ''la Verità''

Nell' intervista che ha rilasciato qualche giorno fa alla Stampa, Iredia Osakue - padre di Daisy, campionessa di lancio del disco ferita a un occhio da un uovo a Moncalieri - appariva amareggiato e anche piuttosto critico. «A me sembra che gli episodi inquietanti in Italia aumentino», ha detto. «Nell' ultimo anno. Si urla, la politica usa toni che fomentano: le parole sono frecce.
Questo episodio mette i brividi, se continua così non so se potremo restare qui». Iredia sembrava avercela, in particolare, con l' attuale governo.

Secondo lui, l' Italia non è un Paese razzista. «È un Paese che mi ha aiutato e sono grato», ha spiegato, «solo che ora sta lasciando spazio ai razzisti. La colpa è a volte anche nostra. Noi extracomunitari dobbiamo capire che è importante imparare l' italiano subito, studiare bene.

All' inizio mi sembrava impossibile ma sapere la lingua ti tiene più lontano dai guai».
Daisy Osakue Daisy Osakue
Che avesse un passato complicato, a quanto pare, era noto ai cronisti torinesi. Sulla Stampa, Giulia Zonca ha scritto che «Osakue fa il mediatore culturale al centro accoglienza di Asti, da ragazzo sognava di diventare ispettore privato, in Nigeria ha studiato criminologia, nel 1995 è emigrato in Italia, ha avuto i suoi problemi e cambiato strada».

Questo passato si è ripresentato ieri, con tutta la sua carica drammatica. Dopo le dichiarazioni di Daisy Osakue sul razzismo e dopo le affermazioni di Iredia sull' addio all' Italia, qualcuno ha recuperato un articoletto di Repubblica datato 2002 da cui emerge una brutta storia.
Il 17 gennaio del 2002, si legge nel pezzo, «a Moncalieri i militari hanno arrestato due maman nigeriane, Odion Obadeyi, 28 e Lovely Albert, 30 anni, il convivente di quest' ultima, Iredia Osakue, 29 anni, tutti e tre clandestini e Silvano Gallo, 50 anni, di Nichelino che aveva formato una gang specializzata nello sfruttamento di decine di prostitute di colore il cui ingresso clandestino in Italia era favorito da un phone center di San Salvario».

Insomma, il padre di Daisy è stato arrestato per sfruttamento della prostituzione assieme alla sua convivente. Costei potrebbe in effetti essere Magdalyne Albert, madre della giovane atleta, la quale - stando al suo profilo Facebook - vive a Verona. La Albert era una «maman», cioè una delle donne che si occupano di organizzare il commercio delle ragazze avviate alla prostituzione.
Daisy Osakue Daisy Osakue
Le vicende giudiziarie di Iredia Osakue, però, non finiscono qui. Il suo nome ricompare nelle carte di un mega processo contro la mafia nigeriana che si è tenuto a Torino nell' ottobre del 2007. Stiamo parlando di uno dei primi grandi procedimenti contro il crimine organizzato di origine africana presente nel nostro Paese. Gli imputati erano 20, tutti nigeriani.

Nella sentenza emessa dal gup Cristina Palmesino, si legge che Osakue è stato condannato «a una pena totale di anni 8 di reclusione» che, per effetto del rito abbreviato, sono diventati «anni 5 mesi 4 di reclusione». Dalle carte, si evince che Osakue ricopriva il ruolo di «capo coordinatore di Torino» di una gigantesca organizzazione nigeriana. Si tratta di «un' associazione di tipo mafioso denominata Eiye, facente parte del più ampio sodalizio radicato in Nigeria e diffuso in diversi Stati europei ed extraeuropei finalizzato alla commissione di un numero indeterminato di delitti contro il patrimonio attraverso la commissione di truffe mediante la prospettazione di contraffazione monetaria e contro la persona, opponendosi e scontrandosi con gruppi rivali variamente denominati per assumere e mantenere il predominio nell' ambito della comunità nigeriana».

Daisy Osakue Daisy Osakue
Questa organizzazione faceva «ricorso all' esercizio di violenza sia fisica che mediante l' uso di armi bianche e da sparo» e si contrapponeva a un altro gruppo mafioso, sempre nigeriano, ovvero quella specie di setta chiamata Black Axe. Gli scontri fra le due fazioni mafiose, spiegava il giudice, «si sono sostanziati in aggressioni fisiche, con minacce, percosse, lesioni anche conseguenti a frustate con lo strumento africano detto Kobu Kobu e ustioni provocate con ferri da stiro roventi appoggiati sulla nuda pelle, tentati omicidi».

Il processo del 2007 in cui fu coinvolto Osakue contribuì a far esplodere la questione «mafia nigeriana» in Italia.
Qualche anno dopo, nel 2010, a Torino si tenne un altro grosso procedimento, che portò a condanne per 36 stranieri, per un totale di quasi 400 anni di carcere. Davanti al giudice erano finiti i «soldati» degli Eiye e della Black Axe, molti dei quali reclutati in patria, a Benin City, e poi emigrati in Italia, dove hanno continuato a farsi la guerra.

Ma torniamo a Iredia Osakue. Negli atti del processo il suo nome compare a ripetizione. Si spiega che egli era «una figura di spicco dell' organizzazione Eiye in Italia, con collegamenti con i capi delle organizzazioni nigeriane». Già nel 2005 era stato sentito dai carabinieri, dai quali si presentò spontaneamente «per rendere dichiarazioni in relazione al tentato omicidio commesso ai danni di Omojevwe, in cui risultava indagato il fratello di Osakue, Oniawu Salu Magnus appartenente ai Black Axe». Inizialmente, Iredia aveva negato di far parte dell' organizzazione mafiosa, poi cambiò versione.
Daisy Osakue Daisy Osakue
Nel 2007, spiegò agli inquirenti di essere un membro degli Eiye. «Noah Idemudia», disse Osakue, «alla fine del 2003 mi ha chiesto di diventare suo vice. Debbo precisare che Idemudia era un ebaka (capo) già in Nigeria presso la sua Università di Epoma. Anch' io ero membro degli Eiye in Nigeria e avevo conosciuto Idemudia nel 2001 quando era tornato in Nigeria».

Alla fine del processo, Osakue viene ritenuto colpevole di associazione mafiosa, detenzione e cessione di cocaina, tentata rapina. È recidivo, ma fornisce informazioni sul gruppo di cui fa parte, e forse anche per questo la condanna non è spaventosa. Stando alle carte, è stato interdetto «in perpetuo dai pubblici uffici» e ha passato un anno in libertà vigilata.
Ieri abbiamo contattato Iredia per chiedergli la sua versione dei fatti e per capire se abbia affrontato altri procedimenti.

Ci ha risposto e ha promesso che avrebbe spiegato tutto, poi ha smesso di rispondere al telefono. Nessuna dichiarazione nemmeno dall' avvocato che, all' epoca, seguì il suo processo.
A quanto sembra, Osakue ha cambiato vita. Risulta che lavori come mediatore culturale per la cooperativa Sanitalia service e che gestisca una sua attività, la Daad agency con sede a Torino, la quale si occupa di servizi per gli immigrati nigeriani. Il passato fatto di clandestinità, sfruttamento della prostituzione, droga e scontri armati sembra lontano. E per questo, Iredia deve dire grazie all' Italia, il Paese che lo ha accolto e gli ha dato una nuova vita. Alla faccia del razzismo.

Marx sull’immigrazione. Lavoratori, salari e status legale

C’è un pensiero diffuso, che si dichiara anche di sinistra se non direttamente comunista e che in questi ultimi anni utilizza anche il marxismo per argomentare la necessità di difendersi dagli immigrati come esercito di manodopera di riserva che consente di far diminuire salari e diritti degli autoctoni. Un pensiero scivoloso che rischia di produrre una sorta  di “trumpismo  di sinistra.Dal sito di Rifondazione Comunista prendiamo un testo estremamente interessante e denso recentemente  pubblicato negli Stati Uniti e tradotto da Maurizio Acerbo, che ringraziamo. La sua lettura, legata alla società americana, offre utili spunti di riflessione anche nella nostra vecchia Europa.
Marx sull’immigrazione. Lavoratori, salari e status legale
di David L. Wilson
Pubblichiamo la traduzione di un articolo dalla rivista socialista americana Montly Review. Oggi il tema dell’immigrazione è al centro del dibattito e dello scontro politico negli USA come in Europa.
Il 9 aprile 1870, Karl Marx scrisse una lunga lettera a Sigfrid Meyer e August Vogt, due dei suoi collaboratori negli Stati Uniti.1 In essa Marx toccava una serie di temi, ma il suo obiettivo principale era la “questione irlandese”, compresi gli effetti dell’immigrazione irlandese in Inghilterra. Questa discussione pare sia stata la più estesa trattazione di Marx sull’immigrazione, e mentre rappresenta difficilmente un’analisi completa, rimane interessante come un campione del pensiero di Marx sull’argomento, almeno in un giorno nel 1870.
Dati i dibattiti intensi e spesso amari sull’immigrazione che si stanno svolgendo negli Stati Uniti e in Europa, la lettera a Meyer e Vogt ha ricevuto sorprendentemente poca attenzione dalla sinistra moderna. I sostenitori dei diritti degli immigrati, in particolare, hanno ignorato i pensieri di Marx sulla questione, in particolare la sua osservazione – che riflette la sua valutazione del modo in cui il sistema capitalista opera – che l’afflusso di immigrati irlandesi sottopagati in Inghilterra forzava verso il basso i salari dei lavoratori inglesi nativi. In realtà, molti sostenitori attuali dei diritti degli immigrati si sono schierati dalla parte degli economisti liberali che insistono sul fatto che l’immigrazione aumenta in realtà i salari per i lavoratori nativi.2

Marx sull’immigrazione irlandese
Nella sua lettera del 1870, Marx accusava la politica inglese verso l’Irlanda di essere basata principalmente sugli interessi economici dei capitalisti industriali inglesi e dell’aristocrazia terriera. L’aristocrazia inglese e la borghesia, scriveva, hanno avuto “un interesse comune…a trasformare l’Irlanda in pura e semplice terra da pascolo che fornisce carne e lana ai prezzi piú bassi possibili per il mercato inglese”. Per i capitalisti c’era anche un interesse
nel ridurre la popolazione irlandese con l’espulsione e l’emigrazione forzata, ad un piccolo numero tale che il capitale inglese (capitale investito in terreni in locazione per l’agricoltura) può funzionare lì con “sicurezza”. Essa ha i medesimi interessi a disboscare le terre d’Irlanda, che aveva a disboscare i distretti agricoli di Inghilterra e Scozia. Le 6.000-10.000 sterline dei proprietari assenteisti e delle altre rendite irlandesi che oggi affluiscono ogni anno a Londra, sono pure da mettere in conto.
Ma, Marx continuava, la borghesia inglese aveva anche “interessi molto più importanti nella presente economia d’Irlanda” – l’ immigrazione forzata di lavoratori irlandesi in Inghilterra:
Attraverso la continua e crescente concentrazione dei contratti di affitto l’Irlanda fornisce il suo sovrappiú al mercato del lavoro inglese e in tal modo comprime i salari nonché la posizione materiale e morale della classe operaia inglese.3
E ora la cosa piú importante di tutte! Ogni centro industriale e commerciale in Inghilterra possiede ora una classe operaia divisa in due campi ostili, proletari inglesi e proletari irlandesi. L’operaio comune inglese odia l’operaio irlandese come un concorrente che comprime il livello di vita. In relazione al lavoratore irlandese egli si considera un membro della nazione dominante e di conseguenza diventa uno strumento degli aristocratici inglesi e capitalisti contro l’Irlanda, rafforzando così il loro dominio su se stesso. Egli nutre pregiudizi religiosi, sociali e nazionali contro l’operaio irlandese. Il suo atteggiamento verso di lui è più o meno identico a quello dei “bianchi poveri” verso i negri negli ex Stati schiavisti degli U.S.A. L’irlandese lo ripaga con gli interessi della stessa moneta. Egli vede nell’operaio inglese il corresponsabile e lo strumento idiota del dominio inglese sull’Irlanda.
Questo antagonismo viene alimentato artificialmente e accresciuto dalla stampa, dal pulpito, dai giornali umoristici, insomma con tutti i mezzi a disposizione delle classi dominanti. Questo antagonismo è il segreto dell’impotenza della classe operaia inglese, a dispetto della sua organizzazione. Esso è il segreto della conservazione del potere da parte della classe capitalistica. E quest’ultima lo sa benissimo.
Marx scrisse questi passaggi quasi 150 anni fa, e lui non era certo infallibile: nella stessa lettera suggeriva ottimisticamente che l’indipendenza per l’Irlanda poteva accelerare “la rivoluzione sociale in Inghilterra.” Ma una grande parte della sua analisi suona straordinariamente contemporanea.
I paralleli diventano evidenti se sostituiamo i paesi del Bacino dei Caraibi all’Irlanda e gli Stati Uniti all’Inghilterra. Proprio come la politica inglese ha devastato l’agricoltura su piccola scala in Irlanda, i programmi neoliberisti promossi dagli Stati Uniti come l’accordo di libero scambio nordamericano (NAFTA) hanno sradicato i piccoli produttori in Messico, America Centrale, e nelle isole dei Caraibi, e questo a sua volta ha spinto milioni di sfollati a cercare lavoro negli Stati Uniti. Una volta qui, gli attuali immigrati sono costretti, come i loro predecessori irlandesi in Inghilterra, a lavori sottopagati e condizioni di vita scadenti, solo per affrontare l’ostilità da parte dei lavoratori nativi che li vedono come concorrenti. Antagonismi su questa competizione sono ulteriormente alimentati da pregiudizi razziali ed etnici, “artificialmente tenuti in vita e intensificati dalla stampa”.
Ma Marx affermava anche che l’immigrazione irlandese spingeva verso il basso i salari dei lavoratori inglesi. Le forze anti-immigrati negli Stati Uniti fanno affermazioni simili oggi. Questo colloca Marx dalla parte di gente come Donald Trump e l’ex sceriffo dell’Arizona Joe Arpaio?
trump vs immigrant workers
I giudizi degli economisti sui salari
L’effetto dell’immigrazione sui salari è infatti un punto chiave di contesa nel dibattito attuale sugli immigrati negli Stati Uniti, con nativisti che regolarmente sostengono che l’immigrazione riduce la paga dei lavoratori nati negli Stati Uniti, e attivisti per i diritti degli immigrati che ribattono che l’immigrazione ha solo una piccola influenza negativa o anche un effetto positivo sui salari dei nativi.
Entrambe le parti citano il lavoro di economisti accademici. I nativisti citano George Borjas, un professore conservatore cubano americano della Kennedy School of Government di Harvard. Nel 2013, Borjas ha scritto che dal 1990 al 2010 l’immigrazione probabilmente “ha ridotto i guadagni medi annuali dei lavoratori americani di 1,396$ nel breve periodo …. L’impatto varia per fasce di qualifica professionale, e quello di chi ha abbandonato la scuola superiore è il gruppo più colpito negativamente”.4 Attivisti per i diritti per gli immigrati preferiscono citare Giovanni Peri, un professore della Università di Davis in California, che ha sostenuto nel 2010 che si prevede che l’immigrazione complessiva negli Stati Uniti tra il 1990 e il 2007 abbia portato un aumento di circa 5100 dollari “un aumento di circa 5,100 $ nel conto annuale del lavoratore medio degli Stati Uniti in costante 2005 dollari.” 5
Gli attivisti sulla questione sono naturalmente rapidi nel citare gli studi accademici che sostengono la propria positione.6 Sono meno desiderosi di guardare sotto il cofano e analizzare come gli studiosi sono arrivati a questi numeri. Calcolare l’effetto dell’immigrazione sui salari è un’impresa complicata. Ci sono una varietà di possibili approcci empirici. Un metodo cerca di correlare i salari con i livelli di immigrazione in un determinato periodo. Ad esempio, molti ritengono che la stagnazione dei salari reali dal 1970 è collegata all’aumento dell’immigrazione in quel periodo. Tuttavia, ci sono molte altre cause – l’indebolimento del movimento dei lavoratori, le perdite di posti di lavoro a causa di automazione e delocalizzazioni, e così via – e questi sono difficili da quantificare. A meno della scoperta di un universo alternativo, semplicemente non c’è alcun modo sicuro per fare un modello di previsione sui livelli salariali in assenza di immigrazione.
Un altro approccio empirico è quello di confrontare l’evoluzione dei salari in diverse parti del paese. Ad esempio, se i salari aumentano in una città mentre aumenta l’immigrazione, mentre allo stesso tempo i salari cadono in un’altra città che fa esperienza di un declino dell’immigrazione, poi l’aumentata immigrazione può essere un fattore che spinge i salari su.
Questo secondo approccio è quello che sia Borjas che Peri preferiscono, utilizzando sofisticati metodi statistici per il controllo di altri fattori, come la tendenza degli immigrati a stabilirsi in luoghi con alti salari, o di lavoratori nati negli Stati Uniti ad allontanarsi da zone in cui essi si confrontano con la concorrenza degli immigrati. Ma i due economisti giungono a risultati opposti, e in entrambi i casi, possono dimostrare solo una correlazione, non un causa.7 In definitiva, i dati da soli non ci forniranno mai una conclusione indiscutibile.
I modelli teorici degli economisti
Per far fronte a questo problema, Borjas e Peri integrano i loro studi empirici con modelli basati sulla teoria economica, soprattutto in termini di domanda e offerta. Quando gli immigrati entrano nel mondo del lavoro, aumentano l’offerta di lavoro, senza immediatamente aumentare la domanda; il risultato a breve termine è una tendenza per i salari a scendere. Nel corso del tempo, i livelli salariali dovrebbero stabilizzarsi, dal momento che i nuovi immigrati aumentano anche la domanda di beni e servizi, e quindi di lavoro, ma questi effetti variano tra i diversi settori della forza lavoro. Gran parte dell’immigrazione verso gli Stati Uniti dal 1970 al 2008 ha coinvolto lavoratori con poca istruzione e limitata conoscenza della lingua inglese, che hanno cercato lavori manuali in un momento in cui la domanda di lavori di questo genere si stava restringendo. Il risultato è stato un eccesso di offerta di lavoratori manuali, che poi prevedibilmente ha spinto giù i salari per i lavoratori nativi nelle stesse categorie di lavoro. Questa è la base per l’argomento di Borjas che l’immigrazione riduce i salari.
Peri e i suoi collaboratori raffinano questo modello di base della domanda e dell’offerta utilizzando un principio che chiamano “Complementarietà”. A loro avviso, gli immigrati a basso salario non si limitano a sostituire lavoratori nativi: data la loro minore conoscenza della lingua inglese, gli immigrati prendono posti di lavoro che richiedono capacità di comunicazione minimali, incoraggiando i lavoratori nati nel paese a usare le loro maggiori capacità di comunicazione a indirizzarsi verso posti di lavoro di livello superiore. Per esempio, come Peri ha scritto nel 2010,
quando i giovani immigrati con livelli di scolarizzazione bassi ottengono lavori nelle costruzioni ad alta intensità di manualità, le imprese di costruzioni che li utilizzano hanno l’opportunità di espandersi. Questo aumenta la domanda di supervisori, coordinatori, progettisti, e così via. Quelle sono occupazioni con maggiore intensità di comunicazione e sono in genere fornite da personale nato negli Stati Uniti che si è allontanato dal lavoro manuale di costruzione. Questa attività complementare di specializzazione spinge tipicamente i lavoratori nati negli Stati Uniti verso lavori meglio pagati, migliora l’efficienza della produzione, e crea posti di lavoro.8
Per Peri e i suoi collaboratori, questo fattore più che compensa gli effetti della semplice domanda e offerta. Secondo i loro modelli, un afflusso di immigrati a basso salario porterà verso il basso i salari leggermente per i lavoratori nativi meno istruiti, e deprimerà i salari in modo significativo per gli altri lavoratori immigrati già presenti nel paese. Tuttavia, Peri scrive, i benefici per i lavoratori più istruiti degli Stati Uniti superano le perdite per i meno istruiti; secondo i calcoli di Peri, nel lungo periodo, il reddito del lavoratore medio aumenta del 0,6-0,9 per cento per ogni aumento di un uno per cento nel popolazione immigrata.9
immingrant workers
Quello che sfugge agli economisti
Anche se raggiungono conclusioni opposte, le analisi di entrambi Borjas e Peri condividono un grave difetto: la loro ipotesi che gli unici fattori che determinano i livelli salariali sono l’offerta e la domanda di lavoro e i livelli di istruzione e di competenze dei lavoratori immigrati. Nel mondo reale, naturalmente, ci sono molte altre forze al lavoro. Le donne e gli afro-americani sono pagati meno degli uomini bianchi, ma questo non è a causa di un eccesso di offerta di donne e afroamericani. Allo stesso modo, non è perché i lavoratori sindacalizzati sono più istruiti che guadagnano più delle loro controparti non sindacalizzate.
La maggior parte dei lavoratori immigrati sono persone di colore, ed è difficile immaginare che la discriminazione razziale non influisca su quanto sono pagati. Un modo con cui gli scienziati sociali cercano di avvicinarsi a queste questioni è con la tecnica di decomposizione di Oaxaca-Blinder, un metodo statistico che analizza il divario salariale tra i diversi gruppi identificando i fattori noti che impattano i livelli salariali , come i livelli di istruzione e di competenze, e sbrogliano i fattori sconosciuti che possono essere attribuiti alla discriminazione. Utilizzando una decomposizione di Oaxaca-Blinder, uno studio del 2016 ha trovato che, anche per la terza generazione di messicani americani, solo il 58,3 per cento del livello del salario di un lavoratore è spiegato da fattori noti come l’istruzione e l’esperienza di lavoro. La discriminazione rimane ancora peggiore per le persone di origine africana; per questi lavoratori, i fattori noti rappresentano soltanto il 48,3 per cento della differenza nei salari.10
Gli economisti accademici tendono a ignorare il ruolo che lo status giuridico può svolgere nella determinazione dei livelli salariali, anche se un terzo dei lavoratori immigrati del paese – circa 8,1 milioni dal 2012 – sono privi di documenti, secondo il Pew Research Center.11 Questi lavoratori affrontano un ulteriore ostacolo: essi sono stati resi “illegali”, e di conseguenza vivono sotto la costante minaccia della persecuzione e della deportazione.
Secondo la legge degli Stati Uniti, i lavoratori senza documenti godono la maggior parte degli stessi diritti degli altri, ma non hanno il diritto di essere qui: in qualsiasi momento, un immigrato non autorizzato può essere arrestato, imprigionato, e destinato alla deportazione. La paura sovrasta tutti gli aspetti del rapporto di lavoro di questi lavoratori e della loro vita in generale. La minaccia di espulsione è un’arma sempre a disposizione per i datori di lavoro quando i lavoratori non autorizzati cercano di far valere i propri diritti – per chiedere salari più alti, riferire le violazioni nel luogo di lavoro, chiedere un risarcimento per gli infortuni sul lavoro, e formare un sindacato. E per legge questi lavoratori non hanno accesso all’assicurazione contro la disoccupazione o a qualsiasi altra parte della sfilacciata rete di sicurezza sociale, in modo che hanno di fronte difficoltà significative se perdono il loro posto di lavoro. Scioperare è rischioso per la maggior parte dei lavoratori; per il clandestino richiede un livello speciale di coraggio.
E’ possibile, quindi, quantificare la “penalizzazione salariale” che la mancanza di status giuridico impone ai lavoratori senza documenti? Diversi studi hanno affrontato questa domanda, per lo più con la decomposizione di Oaxaca-Blinder. Dato il gran numero di variabili, questi studi hanno prodotto stime ampiamente divergenti della disparità salariale, che vanno dal 6 per cento a più del 20 per cento.12 Ma sono tutti d’accordo che la mancanza di status legale ha un preciso impatto negativo sulla retribuzione degli immigrati. E questo effetto funziona senza alcun riferimento all’offerta e alla domanda, o alla “complementarietà” di Peri. Anche se non vi è un eccesso di offerta di lavoratori a basso salario, gli immigrati senza documenti saranno comunque pagati sensibilmente meno dei loro colleghi nati negli Stati Uniti, e meno rispetto ai lavoratori immigrati con status giuridico.
Questo produce inevitabilmente una sostanziale pressione al ribasso sui salari per i lavoratori nati negli Stati Uniti in categorie di lavoro con alti tassi di partecipazione da parte di clandestini. Ad esempio, una ricerca del 2005 ha rilevato che i lavoratori irregolari rappresentavano il 36 per cento di tutti i lavoratori di isolamento e il 29 per cento di tutti gli installatori di tetti e muri a secco.13 Anche se la penalizazione del salario per questi lavoratori è sul lato basso – al 6,5 per cento, dice – deprime senza dubbio i salari per gli altri lavoratori in questi lavori nell’edilizia.
“Una classe lavoratrice divisa”
Un altro fattore che gli economisti ignorano è proprio quello Marx considerava “il più importante di tutti”: il modo in cui l’immigrazione può essere utilizzata per creare “una classe lavoratrice divisa in due campi ostili”. Marx potrebbe aver esagerato quando definiva l’antagonismo tra lavoratori inglesi e irlandesi “il segreto dell’impotenza della classe operaia inglese”, e negli Stati Uniti di oggi, il pregiudizio anti-immigrazione è solo una delle forze che impediscono alla maggior parte della popolazione di far valere la propria forza. Il razzismo contro gli afroamericani – insieme a sessismo, omofobia, e molti altri pregiudizi – continua a svolgere il suo ruolo storico nell’impedire ai lavoratori di unirsi e organizzarsi. Ma la xenofobia è anche un fattore importante, soprattutto nei periodi in cui i tassi di immigrazione sono elevati.
Potrebbe non esserci un modo semplice per quantificare l’effetto sui salari, ma possiamo trovare almeno un esempio lampante di quanto possa essere efficace il sentimento anti-immigrati nel mettere il movimento dei lavoratori contro gli interessi dei suoi membri. L’Immigration Reform and Control Act del 1986 (IRCA) per la prima volta ha istituito sanzioni per i datori di lavoro che assumono lavoratori non autorizzati. Secondo i sostenitori della legge, queste “sanzioni sui datori di lavoro” dovrebbero ridurre l’immigrazione non autorizzata, interrompendo l’accesso degli immigrati ai posti di lavoro degli Stati Uniti. In realtà, le sanzioni hanno semplicemente fornito un altro strumento per il super-sfruttamento dei lavoratori irregolari. I requisiti di documentazione dell’IRCA forniscono un pretesto per incursioni sul luogo di lavoro, e spingono molti lavoratori irregolari nell’economia sotterranea, dove si trovano ad affrontare ancora più problemi nel difendere i loro diritti del lavoro. Anche i legittimi datori di lavoro possono ridurre la paga ai lavoratori immigrati – e pertanto possibilmente privi di documenti – per compensare il rischio di essere multati, mentre altri datori di lavoro ora usano abitualmente subappaltatori che assumono il rischio su se stessi e pagano i lavoratori anche meno.14 Rispondendo ai sentimenti anti-immigrati tra i membri dei suoi sindacati, l’AFL-CIO ha sostenuto questa misura anti-lavoro nella fase preparatoria dell’IRCA. Non è stato fino al 2000 che la federazione del lavoro, infine, ha rinunciato alle sanzioni dei datori di lavoro ed si è espressa a sostegno della legalizzazione dei lavoratori non autorizzati.15
Combattere lo sfruttamento, non l’immigrazione
Marx non si dilungò le ragioni che lo inducevano a scrivere che l’immigrazione irlandese aveva ridotto i salari dei lavoratori inglesi. Egli sottintendeva che la causa era un eccesso di offerta di lavoratori manuali, ma sue altre affermazioni indicano che egli considerava la xenofobia inglese e l’antagonismo risultante tra i lavoratori un problema ancora maggiore. Il punto importante, tuttavia, è che non stava dando la colpa della diminuzione dei salari agli stessi immigrati; per lui i colpevoli erano il sistema coloniale che spingeva i lavoratori irlandesi in Inghilterra, e lo sfruttamento di questi lavoratori una volta arrivati.
Le stesse considerazioni valgono oggi negli Stati Uniti. La differenza principale è l’aggiunta dello status giuridico come fattore di regolazione dei livelli salariali – leggi che ora rendono il lavoro “illegale” per milioni di lavoratori immigrati. I sostenitori dei diritti degli immigrati possono ritenere opportuno citare gli economisti accademici come Peri che minimizzano o negano la pressione al ribasso esercitata sui salari dallo sfruttamento dei lavoratori irregolari. Non è così. Come ha notato l’economista della Columbia University Moshe Adler, questo approccio non fa nulla per convincere i molti cittadini statunitensi che lavorano in occupazioni con un gran numero di immigrati privi di documenti – e quindi “sanno in prima persona che [lo sfruttamento dei lavoratori immigrati] esercita una pressione diretta verso il basso sui propri stipendi”.16
Lungi dal contribuire al movimento, citando Peri non fanno che aumentare la diffidenza e il risentimento di questi lavoratori verso i difensori della classe media dei diritti degli immigrati.17 Cosa ancor più importante, questo approccio distrae l’attenzione dagli sforzi per affrontare i problemi reali: le cause profonde dell’immigrazione nella politica estera degli Stati Uniti, il super-sfruttamento dei lavoratori immigrati, e gli interessi comuni di immigrati e lavoratori nativi.
Nel 2010, la Dignity Campaign, una coalizione di circa quaranta organizzazioni per i diritti del lavoro e degli immigrati, ha proposto un approccio globale sottolineando questi problemi. Più di recente, la piattaforma della campagna presidenziale 2016 del senatore Bernie Sanders ha fatto alcuni passi nella stessa direzione, mentre la piattaforma del Movement for Black Lives ha formulato raccomandazioni importanti nel mese di agosto 2016 per la lotta contro l’ingiustizia e il razzismo sistemico nelle leggi sull’immigrazione.18 Il clima politico è diventato particolarmente favorevole per l’organizzazione in questo senso a partire dal crollo finanziario del 2008. Paradossalmente, anche la campagna presidenziale di Trump 2016 può aver contribuito: ha incoraggiato il diritto nativista, ma ha anche reso un ampio settore della popolazione più consapevole del razzismo sottostante alla xenofobia anti-immigrati.
Nella sua lettera del 1870, Marx descriveva ciò che poi considerò la priorità assoluta per l’organizzazione dei lavoratori in Inghilterra: “far capire ai lavoratori inglesi che per loro l’emancipazione nazionale dell’Irlanda non è una questione di giustizia astratta o sentimento umanitario, ma la prima condizione della propria emancipazione sociale“. Le sue parole conclusive di consiglio per Meyer e Vogt erano simili: “Voi avete un vasto campo d’azione in America, per operare nella stessa direzione, la coalizione degli operai tedeschi con quelli irlandesi (naturalmente anche con gli inglesi e gli americani che lo vorranno) è il più grande successo che voi possiate conseguire ora”. Questa prospettiva internazionalista e di classe non ha perso nulla del suo buon senso nel secolo e mezzo trascorso da quando è stata scritta.
Note
1 Karl Marx e Frederick Engels,Collected Works, vol. 43, Letters 1868–70 (London: Lawrence and Wishart, 2010): 471–76. In italiano Opere Complete, vol. 43, Lettere: gennaio 1868-luglio 1870 (Editori Riuniti, 1975).
2 Per esempio, il pro-immigrazione American Immigration Council (AIC) scrisse nel 2012 che “l’immigrazione dà un piccolo incremento salariale alla vasta maggioranza dei lavoratori indigeni” AIC, “Value Added: Immigrants Create Jobs and Businesses, Boost Wages of Native-Born Workers, Employment and Wages,” January 1, 2012, http://americanimmigrationcouncil.org .
3 Il tedesco moralisch, tradotto qui come “morale” può riferirsi a morale (stato d’animo) cosi come a principi etici. Marx sembra usare la parola in un senso ancora più largo: per esempio, nel Capitale, vol. 1, capitolo 10, lui discute “i limiti morali della giornata lavorativa”. Egli specificava che questi “limiti morali” includono “tempo per l’istruzione, per lo sviluppo intellettuale, per adempiere a funzioni sociali e per le relazioni con gli altri, per il libero gioco dell’attività fisica e mentale, perfino il tempo festivo domenicale”.
4 George Borjas, “Immigration and the American Worker,” Center for Immigration Studies, aprile 2013, http://cis.org. Borjas spiega diffusamente le sue posizioni in Heaven’s Door: Immigration Policy and the American Economy (Princeton, NJ: Princeton University Press, 1999).
5 Giovanni Peri, “The Effect of Immigrants on U.S. Employment and Productivity,” Economic Letter, Federal Reserve Bank of San Francisco, 30 agosto 2010, http://www.frbsf.org. For a fuller discussion of Peri’s methodology, vedi Giovanni Peri e Chad Sparber, “Task Specialization, Immigration, and Wages,”American Economic Journal: Applied Economics 1, no. 3 (2009): 135–69.
6 vedi, per esempio, Neil Munro, “Report: Immigration boosts economy, widens wealth gaps, analysis finds,” Daily Caller, 9 aprile 2013, http://dailycaller.com; e Mark Engler, “Labor Day: Immigrants Build the U.S. Economy”, Dissent, 3 settembre 2010, http://dissentmagazine.org.
7 Per un esempio di queste dispute, vedere David Frum, “The Great Immigration-Data Debate”, Atlantic,  19 gennaio 2016.
8 Peri, “The Effect of Immigrants on U.S. Employment and Productivity.”
9 Ibid.
10 Pedro P. Orraca-Romano e Erika García Meneses, “Why Are the Wages of the Mexican Immigrants and their Descendants So Low in the United States?”Estudios Económicos 31, no. 2 (2016): 305–37, http://estudioseconomicos.colmex.mx.
11 Jeffrey S. Passel and D’Vera Cohn, “Share of Unauthorized Immigrant Workers in Production, Construction Jobs Falls Since 2007”, Pew Hispanic Center, 26 marzo 2015, Table 1, http://pewhispanic.org.
12 Patrick Oakford, Administrative Action on Immigration Reform: The Fiscal Benefits of Temporary Work Permits (Washington, D.C.: Center for American Progress, 2014), 14–17, http://cdn.americanprogress.org; Francisco L. Rivera-Batiz, “Undocumented Workers in the Labor Market: An Analysis of the Earnings of Legal and Illegal Immigrants in the U.S.”, Journal of Population Economics12, no. 1 (1999): 91–116.
13 Jeffrey S. Passel, “The Size and Characteristics of the Unauthorized Migrant Population in the U.S.: Estimates Based on the March 2005 Current Population Survey”, Pew Hispanic Center, March 7, 2006, http://pewhispanic.org.
14 Douglas S. Massey e Kerstin Gentsch, “Undocumented Migration to the United States and the Wages of Mexican Immigrants,”International Migration Review48, no. 2 (2014): 482–99.
15 Teófilo Reyes, “AFL-CIO, in Dramatic Turnaround, Endorses Amnesty for Undocumented Immigrants”, Labor Notes, 1 aprile 2000; David Bacon, “The AFL-CIO reverses course on immigration”, LaborNet Newsline, 17 ottobre 1999.
16 Moshe Adler, “The Effect of Immigration on Wages: A Review of the Literature and Some New Data”, Empire State College, May 1, 2008, http://esc.edu; “Pitting Worker Against Worker”, TruthDig, 30 aprile 2010, http://truthdig.com.
17 Gli attivisti per i diritti degli immigrati dovrebbero anche notare che Peri supporta programmi di forte sfruttamento di “guest worker” (lavoratore straniero con permesso per un tempo limitato), e ha anche proposto che il governo federale metta all’asta visti di lavoro per le aziende, una pratica che “suona come mettere all’asta schiavi”, secondo il vice-direttore di Le Monde diplomatique Benoît Bréville. Vedi Giovanni Peri, “The Economic Windfall of Immigration Reform”, Wall Street Journal, February 12, 2013; e Benoît Bréville, “Getting In and Getting On,”Le Monde diplomatique, July 2013.
18 Dignity Campaign, “The Dignity Campaign Proposal”, http://dignitycampaign.net; “A Fair and Humane Immigration Policy”, http://berniesanders.com; Movement for Black Lives, “End the War on Black People”, http://policy.m4bl.org.

Immigrazione Ong



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Caro buonista paladino dell'accoglienza indiscriminata ad ogni costo, lo sai perché i migranti clandestini africani vogliono venire tutti in Italia? Lo sai perché i politici nostrani e le ONG si impegnano senza sosta per farli sbarcare tutti in Sicilia? Ovviamente la nostra penisola è un ponte naturale che favorisce l'esodo di questa gente verso l'Italia ma hai notato che salvo rarissime eccezioni sono tutti giovani uomini in salute e senza documenti? Se veramente scappassero dalla fame e/o dalla guerra sarebbero così vigliacchi da aver abbandonato donne, bambini ed anziani al loro destino. La verità è che alcuni imprenditori e criminali senza scrupoli fanno di tutto per importare mano d'opera a bassissimo costo da sfruttare col caporalato, da avviare alla prostituzione, al traffico di organi o da avviare al crimine nella Mafia Nigeriana che ha messo radici in Italia negli ultimi anni. Per non parlare del business dei migranti che porta nella casse di svariate Onlus e associazioni no profit milioni di euro. Questa gente disperata viene in Italia sognando di stabilirsi qui ma ignorano che, visto la disoccupazione dilagante, non troveranno mai un lavoro regolare e saranno "posteggiati' a tempo indefinito in hotel e strutture, talvolta di lusso, a spese altrui. Alcuni di loro però non si accontentano di essere mantenuti e così si lasciano andare a tutta una serie di comportamenti violenti che alcune volte sfociano in atti di una barbarie inaudita a danno di povere ragazze italiane sapendo che, qui in Italia saranno tollerati o addirittura giustificati ma nel loro paese d'origine sarebbero puniti con la pena di morte. Quindi, cari buonisti senza scrupoli, quando un'altra donna sarà aggredita, stuprata o peggio uccisa e smembrata senza pietà ricordatevi che tutto ciò potrebbe capitare a vostra moglie, vostra sorella o vostra figlia. Chiunque viene in Italia, clandestino o regolare che sìa, deve rispettare le nostre Leggi, le nostre tradizioni ed i nostri usi e costumi. E non osate paragonarli agli italiani che dal secondo dopoguerra emigravano in Australia, Stati Uniti, Sud America e Nord Europa in cerca di un lavoro, tutti con passaporto, biglietto di viaggio e vaccinazioni regolarmente eseguite in ottemperanza delle norme e delle Leggi della nazione che li avrebbe accolti.

Ida Magli e la difesa dell'Italia.

IDA MAGLI IN DIFESA DELL’ITALIA - ancora sul LABORATORIO PER LA DISTRUZIONE E IL METICCIATO.
Nel 2014 IDA MAGLI pubblicò il libro “Difendere l’Italia”, un grido di dolore per la cancellazione della cultura e della identità nazionale. Che così riassumeva Fabrizio Fiorini in una recensione:
«il Laboratorio per la Distruzione ha preso il comando dei governi e dei politici d’Europa ai quali è delegato soltanto il compito di realizzare, in totale asservimento, l’omogeneizzazione e l’unificazione dei popoli e degli Stati, distruggendoli nell’unificazione europea».
[Link al testo completo: https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php…]
Stesse identiche cose si possono leggere in un approfondito articolo di FRANCESCO LAMENDOLA, intitolato "Succubi della forma più bassa di sfruttamento" che partendo dai problemi creati dall’immigrazione incontrollata e dal ‘meticciato’ fa un quadro (tragico) dell’attuale situazione; ponendo l’accento sull’ignoranza, disinformazione e instupidimento di massa perseguite in tutto il mondo in modo consapevole e razionale.
Scrive Lamendola:
«I governi si possono comprare o intimidire o lusingare (dopotutto sono formati da uomini, e gli uomini, oggi, hanno quasi tutti pochi ideali e moltissima avidità, cioè hanno quasi tutti un prezzo); i popoli si possono addomesticare, mediante il lavaggio del cervello operato dai mass-media, dalla scuola, dall’università, dallo spettacolo.
Per questo motivo il grande potere finanziario è riuscito a impadronirsi, direttamente o indirettamente, di tutto il meccanismo dell’informazione e dei sistemi scolastici e le agenzie educative, col risultato che, nell’arco di due o tre generazioni, le teste hanno iniziato a non funzionare più, e le persone ad accettare per buone tutte le menzogne o le suggestioni provenienti dai giornali, dalle televisioni, dal cinema e dalle aule scolastiche, e in pratica hanno smesso di adoperare il proprio cervello.
Anche l’immissione sul mercato di giochi elettronici, di una tecnologia elettronica sempre più pervasiva, sempre più multiforme e sempre più accessibile dal punto di vista economico, ha contribuito a questo risultato.
Ci si chiederà chi ci guadagni da tutto questo, e per quale scopo si favorisca questa sovversione del quadro materiale e morale dell’umanità.
A che scopo sostituire gli europei con gli africani e gli asiatici; a che scopo sostituire la famiglia naturale con le cosiddette famiglie arcobaleno; a che scopo distruggere tutti i punti di riferimento, tutti i doveri verso se stessi e i propri cari, ogni rispetto verso la propria patria e la propria civiltà, ogni senso di appartenenza alla propria fede religiosa?
E a che scopo instupidire le persone, favorendo la diffusione di programmi televisivi sempre più stupidi, di una musica demenziale, di fumetti aberranti, di giochi diseducativi; a che scopo favorire la diffusione abnorme del telefonino cellulare, sino a rendere le persone totalmente dipendenti da esso, come fosse una droga, e ormai quasi incapaci di comunicare direttamente, faccia a faccia, come l’umanità ha sempre fatto sino alla penultima generazione.
Ebbene, chi abbia l’interesse, lo abbiamo già detto: i superbanchieri della grande finanza internazionale; perché lo facciano è presto detto: perché più seminano il caos, più vedono distrutte le identità e le culture, più vedono meticciarsi gli Stati, più vedono dilagare le pratiche contro natura, più gli uomini si mettono a far le donne e le donne, gli uomini; più i cristiani perdono l’essenza della loro fede e la scuola abdica alla propria funzione educativa e la famiglia viene sommersa da nuove istituzioni mostruose, come coppie ufficiali d’invertiti che si procurano dei bambini mediante la pratica dell’utero in affitto, e più essi potranno agire indisturbati, e vedranno immensamente agevolati i loro disegni di dominio mondiale».

mercoledì 10 luglio 2019

Missili francesi tra le forze di Haftar: ora Macron non può più mentire









Guerra /

Lorenzo Vita
10 luglio 2019









Parigi lo ammette: i missili Javelin trovati nella base dei combattenti di Haftar a Gharian, in Libia, erano effettivamente francesi. Confermando la rivelazione del New York Times, il ministero della Difesa francese non ha potuto negare quanto sostenuto dai reporter americani: “I missili Javelin trovati a Gharian appartengono effettivamente ai militari francesi, che li hanno acquistati negli Stati Uniti”. Queste le scarne dichiarazioni con cui Parigi ha fatto un’ammissione che potrebbe scatenare un nuovo scontro sulla Libia e in cui l’Italia potrebbe essere molto interessata. Perché è chiaro che la presenza di quei missili che hanno caratterizzato per 26 anni i conflitti mediorientali (dalla prima Guerra del Golfo all’invasione dell’Iraq nel 2003) non possono non provocare imbarazzo nella cancelliera francese, che da sempre continua a ribadire di non essere coinvolta in alcun modo nel conflitto tra la parte orientale e quella occidentale del Paese nordafricano.

La domanda dei reporter del Nyt è una sola: perché quattro missili anticarro made in Usa, acquistati dalla Francia nel 2010, sono stati trovati nel Comando generale del maresciallo della Cirenaica. Secondo le fonti francesi, i missili facevano parte di un lotto di 260 razzi venduti da Washington a Parigi. Le stesse fonti hanno poi confermato che queste armi sarebbero state usate per proteggere “le forze francesi schierate in Libia per operazioni di intelligence e di terrorismo”. Una conferma che dimostra due cose: la prima, che i francesi sono presenti con le forze speciali in territorio libico già dal 2010; la seconda, che esse fossero presenti proprio a Gharian, nodo cruciale dell’assedio di Tripoli da parte delle truppe del generale Haftar.


Una duplice ammissione, quindi. Una confessione che fa comprendere quanto sia radicata la presenza della Francia in Libia e quanto Nicolas Sarkozy, François Hollande e Emmanuel Macron abbiano puntato in maniera molto forte sul conflitto libico, crocevia di interessi strategici che riguardano non solo il petrolio, ma anche immigrazione, terrorismo e rapporti diplomatici con tutte le potenze coinvolte nel ginepraio di Tripoli. Italia compresa. E le parole francesi sul fatto che questi missili fossero danneggiati e inutilizzabili sono abbastanza inutili rispetto invece al tema fondamentale espresso in quelle parole di Parigi. La Francia è in Libia e quelle armi, stranamente, sono finite proprio a chi è sempre sospettato di essere la longa manus dell’Eliseo nel conflitto: il generale Haftar. E adesso le conseguenze potrebbero essere estremamente gravi, come confermato dallo stesso ministro dell’Interno Matteo Salvini che, in riferimento a quanto rivelato dal quotidiano americano, ha detto all’Agi: “Sarebbe un fatto gravissimo, chiederemo spiegazioni: dobbiamo lavorare tutti insieme per pacificare la Libia, non per armare gruppi che poi attaccano obiettivi civili”.

Ora, a scoperta dei missili francesi a Gharian non è altro che l’ultimo tassello di un mosaico che non può non mostrare al mondo che la Francia sostiene Haftar. Sia chiaro, non è l’unica. Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto, ad esempio, hanno da sempre manifestato il loro pieno sostegno alle truppe del generale della Cirenaica. Così come è appurato che il Qatar e la Turchia siano direttamente coinvolte nel sostegno al governo di Fayez al Sarraj, che si vede da mesi assediato proprio ai confini della sua capitale dalle milizie di Haftar e quelle a lui collegate.

Il problema è che mentre le potenze mediorientali fanno il loro gioco, in teoria (almeno sulla carta) Macron e il suo governo dovrebbero essere non solo in linea con le Nazioni Unite e il piano di Ghassan Salamè, ovvero la pacificazione del Paese, ma anche rispettare gli accordi sull’embargo. Che evidentemente non rispetta. Da un lato, quindi, Parigi ha mentito per anni anche davanti all’evidenza, visto che sarebbero bastati i morti delle truppe speciali francesi di tre anni fa a far capire che in quella guerra non poteva non esserci lo zampino francese. Dall’altro lato, la Francia di fatto ha scavalcato tutte le alleanze che la vedono partecipe: Onu, Nato e Unione europea. Queste tre organizzazioni sostengono, almeno da un punto di vista formale, la pacificazione tra le fazioni. E soprattutto condannano qualsiasi tipo di intervento militare e politico a sostegno delle milizie. Visto che formalmente è a Tripoli che siede il governo riconosciuto dalla comunità internazionale. Ma forse dovremmo ringraziare Parigi: almeno ci toglie dall’impasse di considerare ancora attendibili le dichiarazioni di alcuni esecutivi.
🇱🇾 🇫🇷 🇮🇹 ARMI FRANCESI IN LIBIA. UN COMMENTO
commento di Leonardo Gnisci
Il Ministero della Difesa francese avrebbe confermato le rivelazioni del New York Times che ha riportato la notizia di missili Javelin di provenienza francese (acquistati dagli USA) trovati nella base delle milizie di Haftar a Ghalian, punto strategico dell’offensiva del generale della Cirenaica verso Tripoli.
Tali armi sarebbero state usate, secondo fonti francesi, per proteggere le forze transalpine schierate in Libia per operazioni di antiterrorismo e di intelligence.
Elementi questi che inducono a riflettere circa il ruolo rivestito dalla Francia nell’attuale crisi politico-istituzionale libica. In effetti, malgrado la linea di mediazione e di pacificazione sostenuta dall’ONU, dall’UE e dalla NATO, Parigi sembrerebbe remare contro qualsiasi tentativo di soluzione non violenta della crisi, frustrando gli sforzi diplomatici del Segretario Generale delle Nazioni Unite Guterres e le buone intenzioni di chi, come l’Italia, cerca di proporsi come interlocutore di entrambe le parti in conflitto, stimolando un dialogo costruttivo che si traduca in un eventuale compromesso tra i governi di Tobruk (non riconosciuto) e di Tripoli.
Ad ogni modo, va detto che tale notizia non fa altro che confermare ciò che era evidente sin dal Marzo 2011, vale a dire la costante presenza in Libia dei servizi segreti francesi (già attivi nel Paese nordafricano dal 2010) che ancora oggi, attraverso un supporto logistico e militare alle milizie non governative fedeli ad Haftar rendono vana qualsiasi velleità di moderazione della contesa.
Oltre a ciò, la gravità di una simile notizia risulta ancora più significativa se si considera che solo una settimana fa un bombardamento aereo che Al-Sarraj ha ricondotto alle forze di Haftar, ha mietuto 44 vittime civili (ferendone circa 130) nel centro di detenzione per migranti di Tajoura, nella periferia orientale di Tripoli.
Infine, va tenuto altresì conto del riverbero negativo che il rinvenimento di tali missili può comportare nelle relazioni diplomatiche tra Parigi e Roma, come già accennato, in prima linea nel cercare di trovare una soluzione di compromesso alla crisi del Paese Nordafricano. Dal canto suo, il ministro dell’Interno italiano Salvini ha fatto immediatamente sapere che un simile fatto risulta gravissimo e che verranno chieste spiegazioni direttamente all’Eliseo.
In ultima analisi, quel che appare certo al netto di tale episodio è la forte probabilità che la conferma della longa manus francese nel risiko libico da una parte sia suscettibile di acuire la freddezza che si respira tra i governi di Roma e Parigi, dall’altra di fornire tuttavia maggior credito all’azione mediatrice italiana nell’ex colonia, considerato l’aperto e ufficiale sostegno al governo di Sarraj ufficialmente riconosciuto dalla comunità internazionale, la quale non potrà più chiudere un occhio nei confronti delle manovre ambigue e di disturbo della Francia nel contesto di una guerra civile che rischia con il passare del tempo di mietere sempre più vittime civili a discapito della difesa della democrazia, dell’ordine e dei diritti umani.

 
E’ passata quasi sotto silenzio la notizia del ritrovamento di missili Javelin di provenienza francese nell’arsenale del generale Haftar.
Avete presente il generale Haftar, quello che ha appena bombardato il centro profughi a Tripoli?
E avete presente la Francia, il paese che ha maggiormente contribuito all’attuale situazione di guerra civile in Libia?
Ecco, quelli là.
Essendo in vigore un embargo del commercio delle armi verso la Libia, la spiegazione francese ha preso la forma di quel grande classico che è: “Pezo el tacòn del buxo” (peggio la toppa del buco).
Quei missili, infatti, sarebbero stati lasciati lì dai militari francesi, in quanto difettosi, in attesa di essere distrutti.
Con ciò la Francia ammette di avere, o aver avuto, militari armati con missili di ultima generazione (parliamo di ordigni del valore di 150.000 dollari al pezzo) sul territorio libico, cosa che finora aveva sempre negato.
Il rumore di unghie sugli specchi ha comunque attraversato tutto il Mediterraneo.
Siamo ora assai desiderosi di sentire da parte di Macron, dall’alto della sua manifesta competenza, qualche suggerimento su come ‘restare umani’ per le telecamere facendo pure ottimi affari.


Pagateci la multaaaa!!!!!
Capito si?
Non gli basta che per anni abbiamo pagato per mantenere migliaia di immigrati ora vogliono pure che gli paghiamo le multe....
Sempre più in un film di Mel Brooks 😂



di Paola Orrico



Da spose bambine a mogli sottomesse, ed inesistenti. Sono circa 14 milioni all’anno le bambine che vengono sottoposte all’abominio di quello, che, secondo la Shari’a, viene definito “matrimonio“. Famosi e terribili sono i versetti 65:4 del Corano, nei quali si affronta il tema del “matrimonio con femmine in età pre-mestruale”, e che citano Maometto, il profeta, come “modello” di vita; Maometto, infatti, sposò la figlia del fratello, cioè la nipotina Aisha, quando questa aveva solo sei anni, concedendole la “gentilezza” di aspettare a consumare il matrimonio quando lei, di anni, ne compì nove.

Ancora oggi, nel 2015, questa pratica odiosa, non ha smesso di essere considerata una tradizione religiosa in molte parti del mondo, prettamente di religione musulmana. Come se servisse ancora una prova ulteriore, del disprezzo per il genere femminile e della totale inesistenza dei diritti al femminile, in questi Paesi. Una bambina, qui, nasce e muore, senza fare rumore. Le si insegna, sin da piccola a vivere in silenzio, a non pretendere nulla; a non ambire a studiare, evolversi mentalmente, a costruirsi una vita autonoma. Ella nasce succube dell’uomo. Prima del padre, poi, del marito.

La piaga delle cosiddette “spose bambine” è da alcuni anni oggetto di ricerche da parte dell’Unicef e delle Nazioni Unite. Il fenomeno però, in Medio Oriente, è difficilmente inquadrabile. La situazione peggiore, secondo l’Icrw (International center of research on women), una organizzazione statunitense, si registra nello Yemen.

Al 15% delle donne in Yemen, la famiglia, trova marito prima dei 15 anni. Il fenomeno è spesso facilitato dalla povertà delle famiglie, che ricevono in cambio del consenso al matrimonio, soldi e beni di prima necessità. L’età delle piccole spose, s’aggira attorno ai sette-otto anni; una età, in cui, nei Paesi civilizzati, le bambine si dilettano con le “Barbie” e non diventano bambole sotto le mani di uno sposo adulto.

Quei corpi infantili, a cui precocemente s’impongono rapporti sessuali, da parte dei mariti-orchi, provocano loro lacerazioni, danni fisici inimmaginabili, spesso la morte. Come nel caso della bambina yemenita, Yamat , di nove anni, morta durante la prima notte di nozze.

Nella maggior parte dei casi, la gravidanza ed il parto, in bambine di età inferiore ai quindici anni, registrano un altissimo tasso di mortalità delle puerpere e del loro bambino. Nella migliore delle ipotesi, ossia in caso di sopravvivenza, frequenti sono viceversa le patologie invalidanti ed ineliminabili, a loro danno (ricordiamo l’estrema povertà ed ignoranza in cui vengono fatte vivere, queste poverette), quali fistole vescico-vaginali o retto-vaginali, a seguito delle lacerazioni prodotte dall’espulsione del feto.

È facile indignarsi di fronte a queste atrocità; meno facile, per taluni, riuscire a prendere una posizione seria e credibile, in tal senso. Il dramma delle spose bambine non viene seriamente condannato né evidenziato, spesso per non apparire “razzisti” o anti-islamici; quasi che l’indignarsi per pratiche a dir poco barbariche, rappresenti , per taluni, mostrarsi irrispettosi verso le religioni altrui.

E questo è il grande imbroglio del nostro tempo. Non prendiamo posizioni nette. Per noialtri, che di battaglie di civiltà ne abbiamo condotte e vinte tante, è naturale continuare a combattere tali oscenità. Il nostro dna libertario e rispettoso dei diritti altrui, ormai, s’è stabilizzato da tempo; ci auspichiamo che, se esiste per davvero un Islam moderato, e non di facciata, si faccia vivo e impari a combattere, illuminando quelle zone di buio profondo e di crudeltà primitive, che per noi, sono lontane anni luce. Fortunatamente.

La domanda a questo punto è una sola: esistono veramente gli islamici progressisti? Esiste un Islam razionale e caritatevole, permeato di spirito umanistico, difensore dei diritti umani, timorato di Dio e rispettoso della vita, democratico, illuminato e moderno? Oppure no, non esiste, e i cosiddetti islamici moderati sono soltanto una finzione propagandistica? Perché ormai non è più tollerabile oltre il continuo silenzio delle comunità musulmane occidentali rispetto ai crimini perpetrati dai fratelli islamici negli Stati orientali e africani. Non è più tollerabile oltre l’omertà che avvolge in modo mafioso i centinaia di centri culturali islamici delle città libere d’Occidente che si guardano bene dal denunciare e condannare certa cultura barbarica in cui vivono molti Stati musulmani.

Ogni giorno, costantemente, vengono pubblicati da fonti umanitarie internazionali resoconti atroci di ciò che accade nell’islam. Queste notizie sono talmente tante da finire per passare inosservate, sepolte da un’inflazione di tragedie umane. Non passano 24 ore, per esempio, che in Paesi musulmani non venga impiccato qualcuno, minorenni compresi, spesso per crimini insignificanti. Donne e uomini vengono lapidati regolarmente, in pubbliche piazze, con pietre di grandezza sufficiente a far morire di dolore ma senza uccidere all’istante. Poi amputazioni, flagellazioni, istigazioni su ragazzini kamikaze al suicidio e all’omicidio, e di questo tenore tante altre assurdità.

Oggi, però, parliamo di un’altra follia consentita dalle tradizioni primitive islamiche: le spose bambine. È arrivata dallo Yemen la notizia sconvolgente di Nojoud, una bambina di otto anni (sic!) presentatasi da sola in tribunale dicendo di essere stata costretta dal padre a sposare un uomo trentenne che l’aveva picchiata e forzata ad avere rapporti sessuali. Secondo le Nazioni Unite nel mondo musulmano ci sono 60 milioni di “spose bambine”, la cui età è inferiore ai 13 anni. Il marito è sempre un uomo molto più anziano, mai incontrato prima, spesso un parente. Nojoud ha chiesto e ottenuto il divorzio, ma purtroppo la maggior parte delle altre piccole spose come lei non saranno così fortunate.

L’Icwr ha compilato una “classifica” dei venti Paesi in cui i matrimoni di minorenni sono più diffusi: il Niger è al primo posto, seguito da Ciad, Bangladesh, Mali, Guinea, Repubblica centrafricana, Nepal, Mozambico, Uganda, Burkina Faso, India, Etiopia, Liberia, Yemen, Camerun, Eritrea, Malawi, Nicaragua, Nigeria, Zambia. La “top 20” è basata su questionari standardizzati che non sono però disponibili per tutti i Paesi. Resta fuori dalle statistiche, ad esempio, gran parte del Medio Oriente. Queste bambine non potranno mai studiare né guadagnare lavorando, sebbene lavoreranno tutta la vita come bestie.