Da mesi circolano storie e notizie sul fatto che persone
richiedenti asilo e rifugiate, accolte di diritto in Italia,
conducano una vita confortevole in hotel “di lusso” ricevendo una paga
quotidiana, mentre “gli italiani sono senza lavoro”. Si tratta di
affermazioni false o nel migliore dei casi incomplete, nate dalle
dichiarazioni di alcuni politici e rilanciate da testate inaffidabili,
che eppure fanno ormai parte del dibattito sui migranti.
Qualche esempio
All’inizio di marzo il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini,
ha pubblicato sulla propria pagina Facebook un post in cui diceva:
«Vi piacerebbe fare qualche giorno di vacanza in
montagna? Se siete “presunti profughi”, potete! In Trentino, sul Monte
Bondone, i gestori di un hotel (sulle piste da sci, con palestra e
solarium) vi aspettano. Il signor Luca infatti dice “siamo in grado di
ospitare 50 persone, abbiamo 26 stanze e 20 appartamenti grandi… saremmo
in grado di fornire loro anche i pasti, dando a disposizione il
personale”. Che cuore d’oro… chi paga? Voi».
Sui social network e nei dibattiti televisivi, Salvini insiste molto
su questo argomento: parla cioè di centinaia di persone alloggiate come
fossero in vacanza in alberghi di lusso a spese dei contribuenti.
Queste cose sono state riprese e
enfatizzate anche in diversi
servizi televisivi e da
alcuni giornali di
destra, con notizie che raccontavano come alcune persone appena
sbarcate si fossero ad esempio rifiutate di alloggiare in alcune
strutture perché «la collocazione era stata ritenuta troppo lontana
dalle grandi città» o perché mancavano servizi come wi-fi e tv.
Quest’ultimo esempio in particolare fa riferimento a quanto accaduto in
Toscana all’inizio di maggio, quando alcune persone richiedenti asilo si
sono effettivamente rifiutate di scendere dall’autobus che le aveva
portate fino a lì e prendere posto nella struttura che le avrebbe dovute
ospitare.
Precisa però il
Corriere:
Inizialmente i volontari hanno raccontato che i profughi
non volevano l’albergo perché non c’erano alcuni servizi come wi-fi e
tv, ma la questura ha chiarito che il rifiuto era legato a motivi
religiosi e perché in quell’albergo c’erano anche ospiti delle donne.
Un altro esempio: l’Hotel Royal di Cattolica
citato
lo scorso novembre da Salvini e descritto come un 3 stelle con piscina e
spiaggia si chiama in realtà Royal Sands Children’s, non ha la piscina e
è stato donato da una famiglia di Cattolica all’Associazione Comunità
Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi. Dal settembre del 2001
la struttura è gestita da una coppia che fa parte dell’associazione e
che è responsabile anche di una “casa famiglia” che accoglie persone con
vari problemi: fa dunque parte del sistema di accoglienza pianificato
dallo Stato italiano.
“Hotel di lusso”
Il sistema di accoglienza in Italia è articolato e complicato, e non è
molto chiaro a quali strutture faccia direttamente riferimento Salvini
quando parla di “hotel di lusso”. Sul sito del ministero dell’Interno si
dice:
«i cittadini stranieri entrati in modo irregolare in
Italia sono accolti nei centri per l’immigrazione dove ricevono
assistenza, vengono identificati e trattenuti in vista dell’espulsione
oppure, nel caso di richiedenti protezione internazionale, per le
procedure di accertamento dei relativi requisiti».
Queste strutture si dividono in: centri di primo soccorso e
accoglienza (Cpsa), centri di accoglienza (Cda), centri di accoglienza
per richiedenti asilo (Cara) e centri di identificazione ed espulsione
(Cie).
I
Cpsa accolgono i migranti al momento del loro
arrivo in Italia. Qui vengono fornite le prime cure mediche necessarie,
vengono fotosegnalati, possono richiedere la protezione internazionale e
poi, a seconda della loro condizione, vengono trasferiti nelle altre
tipologie di centri. I centri di accoglienza (
Cda),
dice il ministero, «garantiscono prima accoglienza allo straniero
rintracciato sul territorio nazionale per il tempo necessario alla sua
identificazione e all’accertamento sulla regolarità della sua permanenza
in Italia». Chi richiede la protezione internazionale viene invece
inviato nei centri di accoglienza per richiedenti asilo (
Cara),
per l’identificazione e l’avvio delle procedure necessarie. Chi non fa
richiesta di protezione internazionale o non ne ha i requisiti viene
trattenuto infine nei centri di identificazione ed espulsione (
Cie).
Va precisato che queste stesse strutture, per le quali è fissata per
legge una durata massima di permanenza, vengono invece utilizzate anche
come centri di accoglienza di lunga durata.
Parallelamente a queste strutture ci sono i centri del cosiddetto
Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (
Sprar)
per i richiedenti asilo, rifugiati e destinatari di protezione
sussidiaria. Lo Sprar è stato istituito nel 2002 in seguito a un
accordo stipulato dal ministero dell’Interno, dall’ANCI e dall’Alto
Commissariato Onu per i Rifugiati (UNHCR), che hanno cercato di mettere
ordine nei programmi di accoglienza in precedenza gestiti a livello
locale. Il ministero dell’Interno emana periodicamente un
bando
per l’assegnazione dei posti, gli enti locali interessati – con le
organizzazioni del terzo settore selezionate a livello locale –
partecipano al bando e i progetti vengono approvati se “idonei” in base a
una serie di parametri piuttosto rigidi. In pratica, enti locali e
associazioni mettono a disposizione dei posti letto e lo Stato sceglie
di quali usufruire attraverso un bando, che tiene conto dei costi e di
altri criteri. Secondo i
dati
del ministero dell’Interno i posti finanziati per gli anni 2014-2016
sono 20.744: tra questi rientrano anche, tra le varie strutture, alcuni
alberghi. Nella grandissima parte dei casi, stando alle informazioni
disponibili, si tratta di strutture distanti dagli hotel in cui si
passano le vacanze (tanto che i loro gestori hanno deciso di destinarle
allo Sprar invece che al pubblico): ma vengono considerate comunque tra
le migliori e più adeguate sistemazioni che lo Stato oggi possa mettere a
disposizione di chi richiede asilo e protezione.
C’è infine un ultimo tipo di centri. Nel tempo sono nate infatti altre strutture per l’accoglienza in
contesti “straordinari” che hanno assunto via via nomi differenti: ci sono stati i centri Ena per far fronte alla cosiddetta “
emergenza nord-Africa”
nel 2011 o, in anni più recenti, i Cas (Centri di accoglienza
straordinari). Di volta in volta si è dato mandato alle prefetture di
trovare strutture per l’accoglienza: palestre, alberghi, appartamenti,
B&B e altri posti sparsi in tutta Italia e gestiti da cooperative,
associazioni e soggetti del terzo settore.
Queste strutture “informali”, nate a fronte di un’emergenza, vengono
messe a disposizione per un’accoglienza che si limita a garantire il
vitto e l’alloggio e sono state molto
criticate: ma non perché si tratti di strutture lussuose, bensì in molti casi
per il motivo opposto.
Nonostante queste strutture siano state “attivate” per un’accoglienza
di emergenza, e dunque si presume di breve durata, diventano in molti
casi posti in cui i richiedenti asilo trascorrono settimane senza che
siano garantiti loro servizi fondamentali, come quello per esempio
dell’assistenza sanitaria e legale. In molti casi, poi,
si tratta di strutture inadeguate: il Tropicana, un vecchio night club a Ragusa, ne è un esempio. In questo video di
Al Jazeera si vede chiaramente che non si tratta di un albergo di lusso.
I centri per l’accoglienza sono finanziati attraverso il
Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo
(FNPSA), un fondo ordinario che prevede specifiche risorse iscritte nel
bilancio di previsione del ministero dell’Interno, donazioni di privati
e enti e le assegnazioni annuali dei
fondi europei. Attualmente
per ogni richiedente asilo vengono versati in media 35 euro al giorno.
Lo Sprar costa la stessa cifra dei Cas e dei Cara: 35 euro per ospite.
Non si tratta di un importo fisso, né definito per legge, e può variare
da regione a regione in base al costo della vita e all’affitto delle
strutture: in ogni caso si tratta di denaro che non viene versato
direttamente agli ospiti ma che viene corrisposto ai gestori di tutti i
centri. Questo denaro serve a coprire le spese per il vitto, l’alloggio,
la pulizia, la manutenzione, in alcuni casi la formazione degli
operatori e così via: quindi è anche con questo denaro che vengono
pagate le persone che lavorano nei centri, per esempio i dipendenti
delle imprese di pulizie. Da questa parte solo una piccola somma viene
data ai migranti per le spese quotidiane: si tratta del cosiddetto
pocket money e consiste, in media, in 2,50 euro al giorno a persona.