giovedì 14 marzo 2019

La nuova responsabilità civile dei magistrati: legge n. 18/2015.

Intervista al Consigliere Roberto Carrelli Palombi

La necessità di adeguare l’ordinamento italiano agli orientamenti sovranazionali ha condotto al varo della recentissima riforma della disciplina sulla responsabilità civile dei magistrati. 
La legge approvata alla Camera il 24 febbraio scorso ha, infatti, dopo numerosi tentativi ed espedienti in itinere, modificato la legge Vassalli n. 117/1988.
Nel dettaglio e schematizzando i punti salienti della novella, se è stato conservato il principio della responsabilità indiretta dei magistrati, oggetto di modifica sono stati il regime dei termini entro cui proporre l’azione di risarcimento del danno contro lo Stato e la soglia della misura di rivalsa; è stato abrogato il c.d. “filtro di ammissibilità” ed infine rimodellate le fattispecie di colpa grave.
Per il principio della responsabilità indiretta, il cittadino che ritenga di aver subito un danno ingiusto a causa della contestata condotta giudiziaria - comportamento, atto o provvedimento - potrà continuare ad agire esclusivamente nei riguardi dello Stato, nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri; sarà lo Stato successivamente a rivalersi sul giudice responsabile. È fatta salva l’ipotesi di cui all’art. 13, comma 1, della legge Vassalli, che prevede che il cittadino, laddove il danno causato dal magistrato nell’esercizio delle sue funzioni consegua ad un fatto costituente reato, possa esperire l’azione civile per il risarcimento nei confronti del magistrato stesso e dello Stato secondo le norme ordinarie.
Il mancato esercizio del diritto di regresso comporta responsabilità contabile.
Le tempistiche entro le quali esperire l’azione di risarcimento del danno contro lo Stato sono state ampliate a seguito della riforma del comma 2 dell’art. 4 della legge n. 117/1988. La suddetta azione - che pur dopo la riforma può essere esercitata solo quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di gravame o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari e sommari e comunque quando il provvedimento che si presume causa di pregiudizio non sia piùmodificabile o revocabile, ovvero se tali rimedi non sono previsti, quando sia esaurito il grado del procedimento nell’ambito del quale si èverificato il fatto che ha cagionato il danno - va proposta nel termine decadenziale di tre anni, in luogo dei precedenti due, a partire dal momento in cui èpossibile esperirla, ovvero dopo tre anni dalla data in cui il fatto èavvenuto (nel caso in cui il grado del procedimento in cui si è verificato il fatto non sia ancora concluso), o, nei casi ex art. 3, entro tre anni dalla scadenza del termine entro il quale il magistrato avrebbe dovuto provvedere sull’istanza.
In ordine alla rivalsa dello Stato sul giudice-persona fisica, l’art. 7 l. 117/1988, come modificato dalla l. 18/2015, prevede che la relativa azione debba essere obbligatoriamente esercitata entro due anni dal risarcimento avvenuto sulla base di titolo giudiziale o di titolo stragiudiziale, nel caso di diniego di giustizia, ovvero qualora la violazione manifesta della legge nonchédel diritto dell’Unione europea ovvero il travisamento del fatto o delle prove, di cui all’art. 2, commi 2, 3 e 3-bis, siano stati determinati da dolo o negligenza inescusabile.
La misura della rivalsa èstata elevata. La precedente soglia di un terzo dello stipendio del magistrato è stata sostituita con una che “non può superare una somma pari alla metà di una annualità dello stipendio, al netto delle trattenute fiscali, percepito dal magistrato al tempo in cui l’azione di risarcimento è proposta, anche se dal fatto è derivato danno a piùpersone e queste hanno agito con distinte azioni di responsabilità. Tale limite non si applica al fatto commesso con dolo”. Si tratta della nuova previsione dell’art. 8, comma 3, della l. 117/1988, susseguente alla modifica di cui alla l. 18/2015.
In punto di elemento soggettivo di responsabilità, è opportuno precisare una intenzionale differenziazione tra i magistrati ed altri operatori che collaborano presso gli organi di giustizia.
Ai sensi dell’art. 2, comma 1, l. 117/1988 i magistrati rispondono per dolo o colpa grave qualora da un loro atto, comportamento o provvedimento inerente le funzioni giudiziarie ovvero in conseguenza di diniego di giustizia sia derivato a taluno un danno ingiusto.
Rilevante la modifica del comma 2 dell’art. 2. “Fatti  salvi  i  commi  3  e  3-bis”- riferiti rispettivamente ai casi di colpa grave e di violazione manifesta della legge o del diritto dell’Unione Europea -  “ed  i  casi  di  dolo, nell’esercizio delle  funzioni  giudiziarie  non  può  dar  luogo  a responsabilità l’attivitàdi interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove”. In altri termini viene ridefinita la “clausola di salvaguardia”: se nell’attività ermeneutica e valutativa il giudice ha agito con dolo o colpa grave, si riespande nella sua pienezza la responsabilità civile, venendo meno la ratio della sua esclusione.
Come accennato, le ipotesi di colpa grave sono state ampliate. Se con la legge Vassalli la colpa grave era ammessa solo se il giudice avesse negato un fatto palesemente esistente o affermato un fatto inesistente, essa puòora scattare anche in presenza di violazione manifesta della legge, del diritto comunitario o in caso di travisamenti di fatti e prove. Il travisamento rilevante ai fini di cui si discute è, tuttavia, solo quello macroscopico, che non richiede particolari indagini di merito.
Il comma 3 dell’art. 2 soggiunge che l’adozione di una misura cautelare personale o reale fuori dai casi previsti dalla legge costituirà motivo valido per riconoscere colpa grave nella condotta del magistrato.
In ordine alle ipotesi in cui ritenere integrata la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione  europea, il comma  3-bis dell’art. 2 cit. indica, quali parametri, il grado di chiarezza e di precisione delle norme violate; la inescusabilità e gravità dell’inosservanza; altresìla mancata  osservanza dell’obbligo di  rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267, terzo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea ed il contrasto dell’atto o provvedimento con  l’interpretazione  espressa  dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea.
Invero si deve a plurimi interventi della Corte suddetta l’introduzione della violazione del diritto dell’Unione europea e la scorrettezza nella valutazione di fatti e prove quale motivo di responsabilitàcivile del magistrato italiano, seppur da farsi valere ancora in via indiretta. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea  aveva, infatti, piùvolte rimarcato la propria contrarietà rispetto ad una legge, quale era appunto la legge Vassalli, che escludeva la responsabilitàdel magistrato per casi siffatti.
I giudici popolari rispondono, invece, esclusivamente per dolo, mentre i cittadini estranei alla magistratura che formano o concorrono a formare organi giudiziari collegiali rispondono a titolo sia di dolo che per negligenza inescusabile per travisamento del fatto o delle prove
Da ultimo, con l’abrogazione dell’art. 5 della l. 117/1988 èstato abolito il c.d. “filtro di ammissibilità”, con la conseguenza che presentata la domanda di risarcimento per danno ingiusto non ci sarà alcun controllo preliminare da parte del tribunale. L’effetto della riforma è, dunque, la totale pretermissione di quella delibazione preliminare di ammissibilità, consistente in un controllo dei presupposti, del rispetto dei termini e della valutazione della fondatezza dell’azione risarcitoria verso lo Stato, che il Tribunale del distretto di corte d’appello, sentite le parti, doveva compiere, decidendo, solo in caso di esito positivo, di far proseguire il processo.
Il Consigliere Carrelli Palombi ha cortesemente accettato di offrire una sua personale opinione sulla riforma de quo.
Gentile Consigliere, qual è la Sua valutazione in merito allabolizione del filtro di ammissibilitàRitiene che fosse preferibile un preliminare controllo da parte del tribunale o, al contrario, che sia un sistema maggiormente efficace e soddisfacente quello attraverso cui viene presentata direttamente la domanda risarcitoria per il pregiudizio patito dal cittadino a causa della condotta giudiziaria considerata scorretta?
Per rispondere alla Sua domanda occorre fare una premessa: la normativa in tema di responsabilità civile dei magistrati è deputata a regolamentare due opposte esigenze: in primo luogo si tratta di assicurare una possibilitàdi risarcimento ai soggetti che ritengono di essere stati lesi in conseguenza di atti o comportamenti di magistrati gravemente negligenti; quindi, secondo altra visuale, per un certo verso opposta alla prima, occorre preservare l’esercizio dell’attività giurisdizionale da ogni indebito condizionamento esterno. In questa direzione la Corte Costituzionale ha più volte evidenziato come la garanzia costituzionale dell’indipendenza della Magistratura postuli il riconoscimento di uno spazio di assoluta autonomia di valutazione dei fatti e delle prove e di imparziale interpretazione delle norme di diritto, al di fuori da ogni condizionamento istituzionale o professionale, anche informale, ovvero derivante da personali aspettative o timori.
Detto questo in termini generali, occorre rilevare che nella normativa previgente il filtro di ammissibilità rispondeva all’esigenza di stroncare sul nascere azioni pretestuose o che si presentavano palesemente infondate, evitandosi così di screditare inutilmente la magistratura.
All’esito di un’analisi effettuata dall’A.N.M. presso i principali uffici giudiziari italiano è stato accertato che, nella maggior parte dei casi, i giudizi di responsabilità sono stati azionati senza il minimo rispetto delle condizioni di ammissibilità previste dalla legge: ad esempio per mancato esperimento dei mezzi di impugnazione o degli altri rimedi previsti dalla legge oppure per la proposizione delle domande oltre il termine di decadenza previsto dalla legge.
Ora certo l’eliminazione di questo filtro di ammissibilità impedirà l’effettuazione di una rapida ed immediata scrematura fra le azioni pretestuose o quelle manifestamente infondate e quelle che, invece, appaiono fondate su ragioni meritevoli di un giudizio a cognizione piena. Ciò non rappresenta certo una novità positiva, non soltanto per il singolo magistrato, ma principalmente per l’interesse dello Stato, che viene convenuto in giudizio per il tramite della Presidenza del Consiglio dei Ministri. In sostanza con il nuovo sistema introdotto appare concreto il rischio che lo Stato possa essere inutilmente citato in giudizio o che il magistrato possa essere vittima di azioni temerarie o vessatorie. 
Occorre, quindi, come preannunciato dal Ministro della Giustizia, riflettere all’esito della prima applicazione del nuovo sistema normativo, onde verificare il tipo ed il numero di azioni intraprese contro lo Stato per danni da attività giudiziaria ed eventualmente introdurre meccanismi processuali, da inquadrarsi nella specie della lite temeraria o dell’abuso del diritto,  che impediscano un uso strumentale e pretestuoso dell’azione e costituiscano un vero disincentivo ad iniziative volte a rivedere, con strumenti non consentiti, gli esiti di vicende processuali già definiti.
Linnalzamento della misura di rivalsa è probabilmente dettato da una volontà deterrente. Secondo Lei sussistevano le ragioni, a monte, per inasprire la misura del diritto di regresso dello Stato nei confronti del singolo giudice? In altri termini e più in generale, crede che le ipotesi di dolo o colpa grave nellambito dellagere giudiziario siano state negli anni tanto frequenti da spingere il Legislatore a varare una riforma di tal genere?
Ritengo rientri nella discrezionale facoltàdi scelta del Legislatore intervenire sulla misura della rivalsa che lo Stato e’ tenuto a richiedere al singolo Magistrato nelle ipotesi individuate. Pero, a mio avviso,  il problema  non sta tanto nella misura della rivalsa, che e’stata si innalzata da un terzo ad un mezzo dello stipendio annuale percepito dal magistrato al momento in cui e’stata proposta l’azione di risarcimento e nella previsione che la rivalsa viene eseguita attraverso trattenute sullo stipendio in rate mensili calcolate nella misura di un terzo dello stipendio netto, quanto, piuttosto, nell’ampliamento delle ipotesi di colpa grave che, in caso di dolo o di negligenza inescusabile, impongono di esercitare l’azione di rivalsa contro il magistrato. Difatti, in tale ambito,  sono state introdotte delle nuove limitazioni alla cosiddetta clausola di salvaguardia in base alla quale non può  dar luogo a responsabilità, nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, l’attività di interpretazione delle norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove,  che possono porsi in conflitto con i principi costituzionali di indipendenza della Magistratura e di soggezione dei giudici soltanto alla legge. Preoccupa, in particolare, la nuova definizione delle ipotesi di colpa grave contenuta nel novellato art. 2 della legge n. 117 del 1988: segnatamente si stabilisce che, costituisce colpa grave la violazione manifesta della legge o del diritto dell’Unione europea, il travisamento del fatto o delle prove, l’affermazione di un fatto la cui esistenza e’ incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento o la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento, o l’emissione di un provvedimento cautelare personale o reale fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.  Deve, a questo riguardo, osservarsi che un qualsiasi sindacato sull’attività valutativa ed interpretativa posta in essere dal magistrato, ivi compresa la complessa attivitàdi ricostruzione del fatto e di valutazione delle prove, nell’ambito della quale vige il principio del libero convincimento del giudice, non puònon incidere, comunque, sull’autonomia e indipendenza del potere giudiziario, che rappresenta uno dei pilastri sui quali e’ fondato lo stato di diritto.  In questa direzione si e’, in maniera costante, espressa la Corte di Cassazione, nell’applicare la normativa previgente, affermando che la sopra citata clausola di salvaguardia non puòtollerare letture riduttive, in quanto la sua esistenza e’ giustificata dal carattere fortemente valutativo dell’attività giudiziaria ed e’deputata ad attuare l’indipendenza del giudice e, con essa, del giudizio. Si e, ancora piùspecificamente, affermato che l’esercizio della funzione giurisdizionale, per quanto attiene all’accertamento del fatto ed all’individuazione ed interpretazione della norma ad esso applicabile, non puòessere, in ogni caso, fonte di responsabilitàper il magistrato, neppure sotto i profili dell’opinabilità della soluzione adottata, dell’inadeguatezza della relativa motivazione o dell’assenza di esplicita e convincente confutazione delle tesi opposte; ciò in quanto non può essere consentito, attraverso l’azione di responsabilità ed al di la dei rimedi processuali previsti, introdurre una inammissibile revisione del giudizio interpretativo o valutativo espresso dal magistrato nel corso del giudizio. In sostanza, anche in seguito a ripetuti interventi della Corte Costituzionale, si e’ ritenuto che non possono introdursi, nella regolamentazione da parte del Legislatore dell’attività del giudice e quindi anche della sua responsabilità per danni da attività giudiziaria, dei vincoli che possano tradursi in una sua soggezione, formale o sostanziale, verso altri organi o soggetti, perché, per precetto costituzionale, il giudice e’ e deve rimanere, a garanzia di tutti i cittadini, soggetto soltanto alla legge. Tali principi, a mio avviso, dovranno essere applicati anche sotto il vigore della nuova legge, eventualmente valutando se le nuove ipotesi di responsabilità possano entrare in conflitto con i principi costituzionali sopra enunciati.
Da ultimo mi corre l’obbligo di evidenziare un equivoco di fondo dal quale  appare essere scaturito  l’intervento del Legislatore e che spesso, nel dibattito che ha preceduto l’approvazione della legge da parte dei due rami del Parlamento, e’ stato oggetto di strumentalizzazioni difficilmente comprensibili dai non addetti ai lavori. Si e’ detto, appunto, che l’intervento sulla responsabilitàcivile dei magistrati era imposto dall’Unione Europea. In realtà lo Stato italiano, come gli altri stati membri, sulla base della giurisprudenza della Corte europea, era tenuto ad introdurre, in attuazione degli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione, una specifica ipotesi di responsabilità dello Stato e consegnante diritto al risarcimento per il cittadino in caso di danni  allo stesso derivati in conseguenza della violazione del diritto comunitario. Ciò, pero, non riguardava affatto la paventata necessita una più stringente o comunque diversa regolamentazione della responsabilità dei magistrati ai quali quelle violazioni sono ascrivibili, in quanto la questione del titolo di responsabilità del singolo magistrato e’ del tutto irrilevante per il diritto dell’Unione europea ed attiene esclusivamente al diritto interno del singolo Stato membro.



Responsabilità civile dei magistrati

Come è regolamentata la responsabilità civile dei magistrati. Guida aggiornata all'ultima riforma della materia, in vigore dal 2015

La responsabilità civile dei magistrati nell'ambito dell'esercizio delle funzioni giudiziarie è disciplinata dalla legge n. 117 del 13 aprile 1988 (c.d. "legge Vassalli"), approvata a seguito del referendum abrogativo della previgente normativa (d.p.r. n. 497/1987) considerata eccessivamente limitativa.
Tale legge ha cercato di contemperare la responsabilità civile dei giudici con l'esigenza di salvaguardare la loro indipendenza e la loro autonomia; tuttavia, nel tempo ha dimostrato di rispondere solo in parte agli obiettivi originari fissati con il referendum, realizzando di fatto una responsabilità più virtuale che reale, tanto da portare, a seguito di un lungo dibattito, alimentato anche dalle sollecitazioni della Corte di Giustizia Europea, a una nuova riforma operata dalla legge n. 18 del 27 febbraio 2015, in vigore dal 19 marzo 2015.

Il dibattito sulla riforma della responsabilità dei magistrati


Di fronte ai risultati prodotti dalla legge Vassalli, giudicati da più parti non rispondenti agli obiettivi originari perseguiti dal referendum, sono stati presentati nel tempo svariati progetti di legge, volti a introdurre modifiche sia sotto il profilo sostanziale che sotto quello procedurale, al fine di contemperare l'esigenza di una reale applicabilità della responsabilità civile dei magistrati con quella di non comprometterne le necessarie autonomia e indipendenza.
I vari disegni di legge si sono mossi sostanzialmente nell'ottica di una introduzione di forme dirette di responsabilità del magistrato, almeno in caso di dolo; di una semplificazione del procedimento per la responsabilità in caso di colpa grave; di una garanzia di terzietà dell'organo giudicante con la previsione di una composizione mista (anche composta anche da cittadini); della revoca del limite della posta risarcitoria (un compiuto excursus sui progetti di legge che si sono susseguiti in materia è visibile sul sito della Camera a questa pagina www.camera.it/...magistrati).
Nel difficile dibattito sul tema si è incisivamente inserita anche la Corte di Giustizia dell'Unione europea, che si è pronunciata in più occasioni (causa C-224/01 "Kobler"; causa C-173/03 "Traghetti del Mediterraneo SpA" conclusa con sentenza del 13.6.2006) riguardo alla mancata rispondenza della legge Vassalli alle norme del diritto comunitario, soprattutto in merito all'esclusione della responsabilità del magistrato nei casi di interpretazione di norme di diritto o della valutazione di fatti e prove e all’imposizione di requisiti poco rigorosi (nelle ipotesi di responsabilità ammesse) nei confronti della violazione manifesta del diritto vigente. Ciò ha comportato, infine, l’avvio da parte della CGUE di una procedura di infrazione, conclusa con una sentenza di condanna per l'Italia (Commissione c. Italia 24.11.2011) per violazione degli obblighi di adeguamento dell’ordinamento interno al principio di responsabilità degli Stati membri, di fronte alle ipotesi di violazione del diritto dell’Unione Europea da parte degli organi giurisdizionali di primo grado.

La riforma del 2015


La necessità di un intervento legislativo, diventata ormai ineludibile, ha portato il Governo alla presentazione di una proposta di legge di riforma della disciplina (n. AC.2738) che, dopo un iter parlamentare lungo e travagliato, è stata definitivamente approvata il 24 febbraio 2015.
La legge n. 18/2015, nell'ottica di adeguare l’ordinamento italiano alle indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia Europea, ha quindi modificato in più punti la l. n. 117/1988, mantenendo tuttavia inalterato il principio della responsabilità indiretta dei magistrati, invocato da più parti, e agendo sostanzialmente sotto il profilo della limitazione della c.d. “clausola di salvaguardia”, della ridefinizione in senso più ampio delle fattispecie di colpa grave, eliminando altresì il filtro endoprocessuale di ammissibilità della domanda e rendendo obbligatoria e più stringente la disciplina della rivalsa dello Stato verso il magistrato responsabile.

Il danno ingiusto e la responsabilità indiretta


La legge n. 117/1988 prevede, all'art. 2, che chiunque abbia subito un danno ingiusto, a causa di un comportamento, atto o provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato "può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali” (art. 2, comma 1).
A seguito della riforma viene ampliato lo spettro delle ipotesi del risarcimento dei danni, patrimoniali e non, attraverso l’eliminazione della norma di chiusura (precedentemente prevista dal comma 1 dell’art. 2) che limitava i danni risarcibili a quelli “che derivino da privazione della libertà personale”.
Rimane, invece, invariato, il principio di responsabilità indiretta, per cui il cittadino che ha subito un danno ingiusto a causa del magistrato dovrà agire, tramite l’apposita azione, esclusivamente nei riguardi dello Stato, il quale si rifarà in un secondo momento sul giudice responsabile, fatta salva l’ipotesi di cui all'art. 13, comma 1, della l. n. 117/1988, che prevede che il cittadino, laddove il danno causato dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni consegua ad un fatto costituente reato, possa esperire l'azione civile per il risarcimento nei confronti del magistrato e dello Stato secondo le norme ordinarie.
Quanto al requisito dell’ingiustizia, il danno deve rappresentare l'effetto di un comportamento, atto o provvedimento giudiziario posto in essere da un magistrato con "dolo" o "colpa grave" nell'esercizio delle sue funzioni oppure conseguente "a diniego di giustizia".

La colpa grave del magistrato


Fino all'entrata in vigore della l. n. 19/2015, l’art. 2, comma 3, della legge Vassalli includeva nella colpa grave: la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile; l'affermazione e la negazione, determinate da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa (ovvero sussistente) dagli atti del procedimento; l'emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge o senza motivazione.
Con la riforma, il legislatore ha provveduto a ridisegnare le fattispecie di colpa grave, novellando l’intero comma 3 e aggiungendo un comma 3-bis all’art. 2 della legge Vassalli.
In particolare, prendendo spunto dalle indicazioni emerse dalla giurisprudenza - secondo la quale la colpa grave si concretizza in una violazione “grossolana e macroscopica della norma ovvero in una lettura di essa contrastante con ogni criterio logico, che comporta l'adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore, la manipolazione assolutamente arbitraria del testo normativo e lo sconfinamento dell'interpretazione nel diritto libero" (cfr. ex multis, Cass. n. 7272/2008) - il legislatore del 2015 ha soppresso innanzitutto il riferimento alla “negligenza inescusabile” prima previsto, stabilendo così che i comportamenti dei magistrati che rientrano nelle ipotesi di colpa grave sono tali ope legis.
Le ipotesi di colpa grave previste dal novellato comma 3 dell’art. 2 sono le seguenti:
- la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione Europea (in luogo della grave violazione di legge precedentemente prevista);
- il travisamento del fatto o delle prove;
- l’affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento, o, viceversa, la negazione di un fatto incontrastabilmente esistente;
- l’emissione di un provvedimento cautelare personale o reale fuori dai casi consentiti dalla legge o senza motivazione.
Nel nuovo comma 3-bis, inoltre, la legge precisa i presupposti di cui tenere conto ai fini della determinazione dei casi in cui sussiste la violazione manifesta della legge e del diritto dell’Unione Europea, per la quale deve tenersi conto “del grado di chiarezza e precisione delle norme violate; dell'inescusabilità e della gravità dell’inosservanza”, oltre che, con riferimento solamente alla violazione manifesta del diritto dell’Ue, “della mancata  osservanza  dell'obbligo  di  rinvio pregiudiziale  ai  sensi  dell'articolo  267,  terzo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nonché del contrasto dell'atto o del provvedimento con l'interpretazione espressa dalla Corte di giustizia dell'Unione europea”.

Responsabilità civile del magistrato e diniego di giustizia


L'art. 3 della legge Vassalli disciplina, invece, il “diniego di giustizia” che dà luogo alla responsabilità civile del magistrato.
Secondo il comma 1, lasciato inalterato dalla riforma, esso si configura nei casi di ritardi, rifiuti od omissioni del magistrato nel compimento di uno o più atti di ufficio, quando “trascorso il termine di legge per il compimento dell'atto, la parte ha presentato istanza per ottenere il provvedimento e sono decorsi inutilmente, senza giustificato motivo, trenta giorni dalla data di deposito in cancelleria”.
Inoltre, nel caso in cui il ritardo o l'omissione, immotivati e ingiustificati, riguardino direttamente la libertà personale dell'imputato, la scadenza è diminuita improrogabilmente a cinque giorni, a partire dal deposito dell'istanza, o è coincidente con lo stesso giorno in cui si è verificata una situazione (o è decorso un termine) che renda incompatibile la permanenza della misura restrittiva della libertà personale (art. 3, comma 3, l. n. 117/1988).

La clausola di salvaguardia

La legge Vassalli, anche nella nuova veste, prevede l’applicazione della c.d. “clausola di salvaguardia” di cui all’art. 2, comma 2, la quale stabilisce che “non può dar luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove". In tali ipotesi, la tutela delle parti è esclusivamente di natura endoprocessuale, potendo attuarsi attraverso l'impugnazione del provvedimento giurisdizionale che si assume essere viziato.
Tuttavia, pur confermando che il giudice non può essere chiamato a rispondere per l’esercizio dell’attività interpretativa della legge e valutativa del fatto e delle prove, la riforma ha comunque delimitato l’ambito di applicazione della clausola in esame, escludendo dalle ipotesi di irresponsabilità del magistrato i casi di dolo e colpa grave (per come delineata dalla l. n. 18/2015).

Campo di applicazione della legge Vassalli


L'art. 1, comma 1, della l. n. 117/1998 delinea il campo di applicazione della responsabilità civile dei magistrati, sancendo che le disposizioni legislative "si applicano a tutti gli appartenenti alle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile, militare e speciali, che esercitano l'attività giudiziaria, indipendentemente dalla natura delle funzioni, nonché agli estranei che partecipano all'esercizio della funzione giudiziaria".
Il comma successivo estende il campo di applicazione anche ai magistrati che esercitano le proprie funzioni in organi collegiali.

Responsabilità civile dei magistrati: la domanda di risarcimento

Per quanto concerne l'azione in giudizio, chi ha subito il danno ingiusto per effetto del comportamento di un magistrato non può agire direttamente nei confronti di quest'ultimo, ma deve rivolgersi contro lo Stato, nella persona del Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 4).
La competenza spetta al tribunale del capoluogo del distretto della Corte d'appello, da determinarsi a norma dell'art. 11 c.p.p. e dell'art. 1 delle disp. att. c.p.p.
L'azione, poi, può essere esercitata soltanto quando siano stati già esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari e sommari e in ogni caso quando non è più possibile modificare o revocare il procedimento, ovvero se tali rimedi non sono previsti, quando sia esaurito il grado del procedimento nell'ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno.
A proposito delle tempistiche, l'azione, a seguito della riforma del comma 2 dell’art. 4 della l. n. 117/1988, va proposta entro tre anni (in luogo dei precedenti due), a pena di decadenza, a partire dal momento in cui è possibile esperirla, ovvero dopo tre anni dalla data in cui il fatto è avvenuto (nel caso in cui il grado del procedimento in cui si è verificato il fatto non sia ancora concluso), o, nei casi previsti dall’art. 3, entro tre anni dalla scadenza del termine entro il quale il magistrato avrebbe dovuto provvedere sull'istanza.
In nessun caso, comunque, il termine può decorrere nei confronti della parte che, a causa del segreto  istruttorio,  non  abbia  avuto  conoscenza  del fatto.
La l. n. 18/2015 è intervenuta anche sul c.d. “filtro di ammissibilità”, ovvero la previsione contenuta nell’art. 5 della l. n. 117/1988, oggi abrogato, secondo la quale il tribunale del distretto di corte d’appello, sentite le parti, doveva dichiarare l’ammissibilità o meno della domanda e disporre per la prosecuzione del processo.
Per effetto dell’abrogazione, dunque, viene cancellata la delibazione preliminare di ammissibilità (consistente in un controllo dei presupposti, del rispetto dei termini e della valutazione della fondatezza) dell’azione di risarcimento verso lo Stato.

La rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato


A seguito dell'accertamento della responsabilità del magistrato, ed entro due anni (in luogo di un anno, come previsto dalla precedente normativa) dal risarcimento avvenuto sulla base di titolo giudiziale o stragiudiziale, lo Stato esercita obbligatoriamente l'azione di rivalsa nei confronti dello stesso, ex art. 7, comma 1, l. n. 117/1988, novellato dalla l. n. 18/2015, nel caso di diniego di giustizia ovvero per violazione manifesta della legge o del diritto dell’Unione Europea nonché per travisamento del fatto o delle prove quando determinati da dolo o negligenza inescusabile.
Viene confermata dalla riforma la sola responsabilità per dolo dei giudici popolari ed estesa quella dei cittadini estranei alla magistratura che formano o concorrono a formare organi giudiziari collegiali, prima prevista per dolo e colpa grave (solo per l’ipotesi di affermazione o negazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa o meno dagli atti del procedimento), anche all’ipotesi di travisamento del fatto o delle prove.
L'azione è promossa dal Presidente del Consiglio dei Ministri davanti al Tribunale del capoluogo del distretto della Corte d'appello, da determinarsi a norma dell'art. 11 c.p.p. e dell'art. 1 delle norme di attuazione del codice di procedura penale (art. 8 l. n. 117/1988).
Quanto alla misura della rivalsa, il comma 3 dell'art. 8 - come modificato dall’art. 5 della l. n. 18/2015 che ha elevato la soglia precedentemente prevista - dispone che la stessa "non può superare una somma pari alla metà di una annualità dello stipendio, al netto delle trattenute fiscali, percepito dal magistrato al tempo in cui l'azione di risarcimento è proposta, anche se dal fatto è derivato danno a più persone e queste hanno agito con distinte azioni di responsabilità". Tale limite è escluso, tuttavia, se il fatto è stato commesso con dolo.
Analoghe disposizioni si applicano anche agli estranei che partecipano all'esercizio delle funzioni giudiziarie. Per costoro, la misura della rivalsa è calcolata in rapporto allo stipendio iniziale annuo, al netto delle trattenute fiscali, che compete al magistrato di tribunale, ovvero, se l'estraneo percepisce uno stipendio (o un reddito di lavoro autonomo) inferiore, è calcolata in rapporto allo stesso al tempo della proposizione dell'azione di risarcimento.

Responsabilità disciplinare e contabile del magistrato


La riforma ha novellato anche l’art. 9 della legge Vassalli, relativo all’esercizio dell’azione disciplinare nei confronti del magistrato ritenuto responsabile dei fatti che hanno dato causa alla domanda di risarcimento.
In particolare, la disposizione di cui all’art. 9 prevede oggi che il procuratore generale presso la Corte di cassazione per i magistrati ordinari e il titolare dell’azione disciplinare negli altri casi si attivino in ogni caso per l’esercizio di tale azione (salvo che non sia stata già proposta) senza dover attendere la comunicazione di ammissibilità della domanda di cui al vecchio comma 5 dell’art. 5, eliminata a seguito della soppressione del filtro e dell’abrogazione dello stesso articolo.
Con riferimento, invece, all'azione diretta nei confronti del magistrato e dello Stato, nel caso di reati commessi dal giudice nell'esercizio delle proprie funzioni, la riforma ha integrato il contenuto dell’art. 13 della l. n. 117/1988, prevedendo nel nuovo comma 2-bis, la responsabilità contabile per il mancato esercizio dell’azione di regresso da parte dello Stato verso il magistrato.
Ai fini dell'accertamento di tale responsabilità, entro il 31 gennaio di ogni anno, inoltre, gravano in capo al presidente del consiglio e al ministro della giustizia gli oneri informativi, nei confronti della corte dei conti, sulle condanne al risarcimento dei danni derivanti da fatti costituenti reato emesse nel corso dell’anno precedente e sull'esercizio della conseguente azione di regresso.


 

Giustizia

La riforma della responsabilità civile dei magistrati nella legge n. 18 del 2015

La legge 27 febbraio 2015, n. 18  , ha modificato la disciplina della responsabilità civile dei magistrati, anche al fine di adeguare l'ordinamento italiano alle indicazioni della Corte di Giustizia dell'Unione Europea. La legge modifica la legge n. 117 del 1988 (cd. legge Vassalli) sulla responsabilità civile dei magistrati e si caratterizza per:
  • il mantenimento dell'attuale principio della responsabilità indiretta del magistrato (l'azione risarcitoria rimane azionabile nei confronti dello Stato);
  • la limitazione della clausola di salvaguardia che esclude la responsabilità del magistrato;
  • la ridefinizione delle fattispecie di colpa grave;
  • l'eliminazione del filtro endoprocessuale di ammissibilità della domanda;
  • una più stringente disciplina della rivalsa dello Stato verso il magistrato.
La posizione della Corte di Giustizia dell'Unione europea
La legge è diretta, in particolare, a dare seguito alla sentenza del 24 novembre 2011 con la quale la Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE) ha condannato l'Italia per violazione degli obblighi di adeguamento dell'ordinamento interno al principio generale di responsabilità degli Stati membri dell'Unione europea, in caso di violazione del diritto dell'Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado.
Tale decisione, insieme alla precedente del 2006 della stessa CGUE (Grande Sezione, Sentenza 13 giugno 2006, Traghetti del Mediterraneo) ha portato a due procedure di contenzioso con la Commissione europea.
Due profili dell'art. 2 della legge Vassalli - secondo la Corte - contrastavano con il diritto dell'Unione Europea: il primo è che il danno risarcibile provocato da un giudice non possa derivare anche da interpretazioni di norme di diritto o da valutazioni di fatti e prove; il secondo è che, in casi diversi dall'interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove, possano essere imposti, per la concretizzazione della responsabilità dei giudici, "requisiti più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione di una manifesta violazione del diritto vigente".
La risarcibilità del danno patrimoniale e non patrimoniale
La legge n. 18 del 2015   interviene in più punti sull'art. 2 della legge 117/1988, relativo alla responsabilità del giudice per dolo o colpa grave.
Anzitutto, viene estesa la risarcibilità del danno non patrimoniale anche al di fuori dei casi delle ipotesi di privazione della libertà personale per un atto compiuto dal magistrato.
In base alle modifiche il danno, patrimoniale e non patrimoniale, deve rappresentare l'effetto di un comportamento, atto o provvedimento giudiziario posto in essere da un magistrato con "dolo" o "colpa grave" nell'esercizio delle sue funzioni ovvero conseguente a "diniego di giustizia". Rimane inalterata la definizione legislativa del diniego di giustizia: il rifiuto, l'omissione o il ritardo del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio quando, trascorso il termine di legge per il compimento dell'atto, la parte ha presentato istanza per ottenere il provvedimento e sono decorsi inutilmente, senza giustificato motivo, trenta giorni dalla data di deposito in cancelleria (termine prorogabile in casi particolari con decreto motivato). Se il termine non è previsto, debbono in ogni caso decorrere inutilmente trenta giorni dalla data del deposito in cancelleria dell'istanza volta ad ottenere il provvedimento. Quando l'omissione o il ritardo senza giustificato motivo concernono la libertà personale dell'imputato, il termine è ridotto a cinque giorni, improrogabili.
La clausola di salvaguardia
La legge delimita l'applicazione della cd. clausola di salvaguardia, che prima prevedeva che "non può dar luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove". Sono a tal fine fatte salve alcune ipotesi.
Pertanto, pur confermando in via generale che il magistrato non è chiamato a rispondere per l'attività di interpretazione della legge e di valutazione del fatto e delle prove, la legge esclude da tale ambito di irresponsabilità i casi di dolo, di colpa grave (come individuati dalla legge 117) e di violazione manifesta della legge e del diritto della UE (come definita dalla medesima legge). Nelle citate ipotesi, quindi, anche l'attività interpretativa di diritto e valutativa del fatto e delle prove può dare luogo a responsabilità del magistrato.
Le ipotesi di colpa grave
La legge n. 18 del 2015 ridefinisce, poi, le fattispecie di colpa grave.
Fino all'entrata in vigore della legge costituivano colpa grave:
a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;
b) l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;
c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;
d) l'emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.
I comportamenti del magistrati che costituiscono colpa grave sono tali ope legis, essendo stato soppresso il riferimento (di natura soggettiva) alla "negligenza inescusabile", prima previsto per la grave violazione di legge, per l'affermazione di un fatto inesistente e per la negazione di un fatto esistente.
Costituisce, in particolare, nuova fattispecie di colpa grave il "travisamento del fatto o delle prove". La nuova fattispecie si aggiunge alla negazione di un atto esistente e all'affermazione di un fatto inesistente.
E' previsto infatti che costituisce colpa grave del magistrato:
  • la "violazione manifesta della legge nonché del diritto dell'Unione europea" (tale formulazione sostituisce la "grave violazione di legge" e riprende le indicazioni della sentenza della CGUE Traghetti del mediterraneo);
  • il travisamento del fatto o delle prove;
  • l'affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;
  • la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;
  • l'emissione di un provvedimento cautelare personale o reale fuori dei casi previsti dalla legge oppure senza motivazione.
La violazione manifesta della legge  e del diritto UE
La legge n. 18 del 2015  precisa poi i presupposti di cui tenere conto per la determinazione dei casi in cui sussiste la violazione manifesta della legge e del diritto dell'Unione europea che costituiscono ipotesi di colpa grave del magistrato. Si tratta di una casistica non esaustiva. Viene infatti precisato che si tiene conto "in particolare" dei seguenti elementi:
  • del grado di chiarezza e precisione delle norme violate;
  • dell'inescusabilità e gravità della inosservanza. Il riferimento alla inescusabilità, rimosso dal comma 3 vigente, è reintrodotto quindi tra gli elementi sintomatici della violazione manifesta della legge e del diritto UE.
Inoltre, per il caso della sola violazione manifesta del diritto dell'Unione europea, si dovrà tenere conto anche:
  • dell'inosservanza dell'obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione europea (CGUE);
  • del contrasto interpretativo cioè del contrasto dell'atto o del provvedimento emesso dal giudice con l'interpretazione adottata dalla stessa CGUE.
Con riguardo alle fattispecie di violazione manifesta della legge e del diritto dell'Unione europea, resta fermo l'eventuale giudizio di responsabilità del magistrato per danno erariale davanti alla Corte dei conti. La giurisprudenza costituzionale e quella di legittimità hanno escluso che - a fronte della disciplina prevista dalla legge 117/1988 con l'azione di rivalsa, davanti al giudice ordinario, dello Stato nei confronti del magistrato autore di danno erariale – sia proponibile una concorrente azione davanti alla Corte dei conti.
La domanda di risarcimento: i termini
La legge aumenta da 2 a 3 anni i termini per la proposizione della domanda di risarcimento contro lo Stato, da esercitare nei confronti del Presidente del Consiglio.
Prima dell'entrata in vigore della legge, l'azione di risarcimento del danno contro lo Stato doveva essere esercitata nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri. Competente è il tribunale del capoluogo del distretto della corte d'appello. L'azione di risarcimento del danno deve essere proposta a pena di decadenza entro due anni che decorrono dal momento in cui l'azione è esperibile. Il termine è, invece, di tre anni dalla data del fatto che ha cagionato il danno se in tal termine non si è concluso il grado del procedimento nell'ambito del quale il fatto stesso si è verificato. In tali casi, l'azione deve essere promossa entro due anni dalla scadenza del termine entro il quale il magistrato avrebbe dovuto provvedere sull'istanza.
La soppressione del filtro giudiziale
E' abrogato il filtro di ammissibilità della domanda di risarcimento davanti al tribunale del distretto di corte d'appello.
L'art. 5 della legge 117 prevedeva che vi fosse una delibazione preliminare di ammissibilità della domanda di risarcimento verso lo Stato (controllo presupposti, rispetto termini e valutazione manifesta infondatezza) da parte del tribunale distrettuale. A tale fine il giudice istruttore, alla prima udienza, rimetteva le parti dinanzi al collegio che era tenuto a provvedere entro 40 gg. dal provvedimento di rimessione del giudice istruttore. L'inammissibilità era dichiarata con decreto motivato, impugnabile davanti alla corte d'appello che pronunciava anch'essa in camera di consiglio con decreto motivato entro 40 gg. dalla proposizione del reclamo. Contro il decreto di inammissibilità della corte d'appello poteva essere proposto ricorso per cassazione. Se la domanda era dichiarata ammissibile, il tribunale disponeva la prosecuzione del processo ed ordinava la trasmissione di copia degli atti ai titolari dell'azione disciplinare.
Dai dati che il Ministero della giustizia ha consegnato alla Commissione giustizia del Senato (coincidenti con quelli della relazione tecnica allegata al d.d.l. del Governo S. 1626) emerge che dall'entrata in vigore della legge 117 del 1988 ad oggi - su oltre 400 ricorsi per risarcimento proposti - solamente 7 si sono conclusi con un provvedimento che ha riconosciuto il risarcimento per dolo o colpa grave da parte di magistrati (v. Senato, seduta dell'Assemblea del 19 novembre 2014).
L'azione di rivalsa
E' modificato l'art. 7 della legge 117/1988   relativo all'azione di rivalsa dello Stato verso il magistrato, spettante al Presidente del Consiglio dei ministri. Sono introdotte le seguenti novità:
  • l'azione deve essere esercitata entro 2 anni (attualmente un anno) dal risarcimento avvenuto sulla base del titolo giudiziale o stragiudiziale nei riguardi dello Stato;
  • la rivalsa verso il magistrato è resa obbligatoria (si tratta dell'esplicito rafforzamento di un obbligo, tuttavia, già esistente);
  • per coordinamento con l'abrogazione dell'art. 5 è eliminato il riferimento alla domanda di ammissibilità dell'azione;
  • sono stati ancorati i presupposti della rivalsa al diniego di giustizia, alla violazione manifesta della legge e del diritto della UE o al travisamento del fatto o delle prove, di cui all'art. 2, commi 2, 3 e 3-bis, stabilendosi, tuttavia, che l'elemento soggettivo della condotta dannosa del magistrato debba essere esclusivamente il dolo o la negligenza inescusabile.
Inoltre:
  • è espunto il riferimento alla soppressa figura del conciliatore;
  • viene confermata la sola responsabilità dolosa dei giudici popolari (delle corti d'assise);
  • si prevede che gli estranei alla magistratura membri di organi giudiziari collegiali (ad es.. gli esperti dei tribunali dei minorenni) rispondono, oltre che per dolo, per negligenza inescusabile per travisamento del fatto o delle prove (attualmente tale responsabilità è stabilita per dolo e colpa grave, quest'ultima solo se derivante dall'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento nonché dalla negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento).
Sono poi ridefiniti i limiti quantitativi della rivalsa. Essa non può eccedere una somma pari alla metà di un'annualità di stipendio (la normativa vigente prevede un terzo), al netto delle trattenute fiscali, percepito dal magistrato al tempo in cui è proposta l'azione risarcitoria. Questo limite non si applica al fatto commesso con dolo, nel qual caso ovviamente l'azione risarcitoria è totale. L'esecuzione della rivalsa, invece, se effettuata mediante trattenuta sullo stipendio non può comportare complessivamente il pagamento per rate mensili in misura superiore al terzo dello stipendio netto (attualmente non può superare un quinto).
La responsabilità disciplinare e contabile
La legge n. 18 del 2015 modifica poi l'art. 9 della legge Vassalli, coordinando la disciplina dell'azione disciplinare a carico del magistrato (conseguente all'azione di risarcimento intrapresa) con la soppressione del filtro di ammissibilità della domanda. Viene integrato il contenuto dell'art. 13 della legge 117/1988 (Responsabilità civile per fatto costituente reato), prevedendosi la responsabilità contabile per il mancato esercizio dell'azione di regresso dello Stato verso il magistrato.
L'art. 13 della legge 117 prevede, in tale ipotesi, l'azione diretta nei confronti del magistrato e dello Stato, quale responsabile civile, in caso di reati commessi dal magistrato medesimo nell'esercizio delle proprie funzioni. All'azione di regresso dello Stato che sia tenuto al risarcimento nei confronti del danneggiato si procede altresì secondo le norme ordinarie relative alla responsabilità dei pubblici dipendenti.
Ai fini dell'accertamento di tale responsabilità, sono stabiliti, in capo al Presidente del Consiglio e al Ministro della giustizia, oneri informativi annuali nei confronti della Corte dei conti, in relazione alle condanne emesse nell'anno precedente per risarcimento del danno derivante da reato ed alle conseguenti azioni di regresso verso il magistrato.

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