L'ITALIA COLONIALE
Attualità e storie dimenticate dalle ex Colonie italiane – Diretto da Alberto Alpozzi

dovrebbero leggere
A Genale, poco a sud di Mogadiscio, quando la Somalia era chiamata italiana, vi era la sede dell’Azienda Agricola Sperimentale. Qui, negli ’20 e ’30 del ‘900, si trovava una vasta zona di concessioni agricole, sorrette dal Governo italiano.

La prima azienda sperimentale a Genale venne creata nel 1912 da Romolo Onor che vi condusse i primi studi tecnici ed economici sull’agricoltura in Somalia.
Nel 1918, alla sua morte l’Azienda cadde in disgrazia e quasi abbandonata. Fu il primo Governatore fascista, il Quadrumviro della marcia su Roma, Cesare Maria de Vecchi di Val Cismon che ne intuì l’importanza e la risollevò, facendone un grosso centro di colonizzazione unico nel suo genere. Fu infatti il primo esperimento di colonizzazione sorretto totalmente dallo Stato, assegnando i terreni a coloni italiani.
L’Ufficio Agrario e l’ufficio di Colonizzazione
ordinavano e disciplinavano le concessioni e curavano e distribuivano
l’acqua per l’irrigazione.
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Insieme alla diga, inaugurata il 27 Ottobre 1926,
vennero realizzati un nuovo canale principale di 7 chilometri e cinque
secondari, creando complessivamente una rete di 55 chilometri di nuove canalizzazioni, insieme a 200 chilometri di strade camionabili terminate poi nel 1928.
Parallelamente alle opere per l’irrigazione l’intero comprensorio, circa 18 mila ettari, venne indemaniato, inquadrato e colonizzato, suddividendolo in 83 concessioni divise in cinque zone.
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Ma come funzionava la manodopera nelle
concessioni e quali erano le direttive del governatore fascista per
gestire il comprensorio?
Così scriveva il de Vecchi in una CIRCOLARE del 14 GIUGNO 1926 (vedi “Orizzonti d’Impero”, Mondadori 1935, pagg. 320-327) indirizzata al Residente di Merca:
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“Le popolazioni indigene hanno risposto allo
sforzo dello Stato con una ubbidienza, una disciplina ed uno slancio, di
cui non si può a meno di tenere conto oggi ed in avvenire, quando si
ricordi che appena poco più di due anni addietro il Governo stentava a
mettere assieme in questa regione duecento uomini per il lavoro dei
bianchi, che si rassegnavano a lasciar perire ogni impresa per la
deficienza della mano d’opera, mentre oggi abbiamo al lavoro
nella zona circa settemila persone, senza che mai avvenga il benché
minimo incidente da parte delle masse lavoratrici, buone, serie e fedeli;
si deve avere ragione di profondo compiacimento, sia per i risultati
della politica compiuta, sia per il giudizio sulle popolazioni.”

Ho riservata da ultima la questione delle mano d’opera.
Ho detto più sopra che il Governo della Colonia ha creduto opportuno di
organizzare e guidare questo servizio, ottenendo così quello che può
essere ritenuto un miracolo in confronto ai convincimenti prima
radicatasi in Colonia ed in Patria nella materia.

Non mi fermo sulla questione del trattamento limitandomi a ricordare che in Somalia vige per legge il Codice penale italiano per bianchi e neri; che il Giudice della Colonia conosce molto bene il suo dovere e che io sono fermamente deciso a non ammettere da chicchessia la benché minima violazione della legge. Ma la precisa informazione che qui intendo dare perché tutti la conoscano, si è che non
tarderanno molto tempo ad essere emanate altre chiare disposizioni di
legge protettive del lavoro e quindi della mano d’opera anche agricola
nella intera Colonia, e che la organizzazione e l’impiego
dell’ascendente enorme del Governo e del Governatore sugli indigeni
hanno lo scopo umanitario, disciplinare e fascista di un graduale
avviamento al lavoro di queste popolazioni, e non mai di qualsiasi coazione che crei larvate schiavitù o servitù della gleba, e meno che mai a semplice uso od abuso e servizio di privati.”
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Singolare come nessun
libro di storia coloniale abbia mai ripreso questa circolare fascista,
fascistissima, del 1926 del Governatore de Vecchi a tutela dei
lavoratori somali, affinché non venissero sfruttati e maltrattati, che
non si creasse una qualsivoglia forma di sfruttamento o di caporalato e
che sottolineava come in Colonia vigesse il Codice Penale italiano e che
era valido per bianchi e neri.
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