venerdì 1 febbraio 2019

Il prof. Sinagra: “Sea Watch andrebbe sequestrata e gli immigrati rimpatriati”

Il prof. Sinagra: “Sea Watch andrebbe sequestrata e gli immigrati rimpatriati”
Il professor Augusto Sinagra

Trieste, 31 gen – Viste le numerose polemiche sul caso Sea Watch, e il caos che si sta generando soprattutto per il procedimento penale intrapreso dai PM di Agrigento nei confronti del ministro dell’Interno Matteo Salvini, oggi cerchiamo di mettere un po’ d’ordine in questa vicenda. Lo facciamo col prof. Augusto Sinagra, docente all’Università “La Sapienza” di Roma, dove insegna Diritto dell’Unione europea presso la facoltà di Scienze Politiche. Classe 1941, nato a Catania, famosa, assieme a Palermo, per la grande cultura giuridica che da sempre si sviluppa nell’isola, si laurea con lode all’Università di Palermo. Dopo 15 anni di magistratura, dal 1965 al 1980, lascia con la qualifica di Consigliere di Corte d’Appello per dedicarsi ad una prestigiosa carriera accademica. È stato docente di diritto internazionale all’università di Trieste, di Genova e di Chieti. Il curriculum accademico del prof. Sinagra vanta anche molte docenze di grande spessore come quelle presso la Scuola Ufficiali dei Carabinieri a Roma, quella presso la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione della Presidenza del Consiglio dei e quello alla Libera Università Internazionale degli Studi Sociali (LUISS) “G. Carli” di Roma. Oltre ad una grande carriera accademica e, dal 1980, a una importante attività come avvocato cassazionista, è stato anche consulente dell’Ufficio Studi e Documentazione della Camera dei Deputati, consulente giuridico al Ministero degli Affari Esteri, presso il Servizio del Contenzioso Diplomatico e presso l’Ufficio del Delegato Italiano per gli Accordi in materia di Proprietà Industriale ed Intellettuale (partecipando per conto del Governo italiano a numerose conferenze e riunioni internazionali, anche in ambito comunitario).
Partiamo dal caso della Sea Watch. Secondo lei si tratta di un problema di tipo giuridico?
In più occasioni ho fatto presente una mia riflessione che può apparire paradossale ma che riflette la verità delle cose: lo dico con ironia, ma i giuristi spesso sono soggetti socialmente pericolosi. E guardi che lo dico da giurista. Voler dare una spiegazione in termini giuridici a situazioni che precedono o sovrastano lo schema giuridico è una operazione che poi porta a conclusioni inverosimili. La situazione della immigrazione illegale e incontrollata nella quantità e nella qualità è un qualcosa che va oltre gli schemi giuridici esistenti. Si tratta di un problema politico sulla base di una considerazione semplice. Lo schema giuridico preesistente ha riguardo a situazioni o conosciute al momento della introduzione della disciplina giuridica riconducibili ad una idea di normalità. Qui siamo in presenza di una situazione che non riveste alcun carattere di normalità, non soltanto per la quantità e la qualità dei soggetti che pensano di entrare illegalmente sul territorio dello Stato, ma si tratta di una vicenda che come ha osservato l’ex magistrato, Carlo Nordio, ha riguardo ad una pre-organizzazione di queste situazioni, nel senso di corrispondere a un progetto politico preordinato all’invasione e non finalizzato al salvataggio e alla tutela. È chiaramente finalizzato alla destabilizzazione dello Stato non soltanto in termini di ordine pubblico o di tenuta delle istituzioni democratiche, ma preordinato al disfacimento dell’ordine economico dello Stato. Questa invasione che si vorrebbe incontrollata con tutti i porti aperti, non soltanto è una idiozia intrinseca perché l’Italia in termini di estensione e di popolazione non può far fronte a tutti, ma è una operazione finalizzata a “cinesizzare” il mercato del lavoro portando i salari al livello più basso possibile per favorire capitale di rapina e smantellare lo Stato Sociale. Di fronte a questa situazione ragionare in termini giuridici citando la convenzione di Montego Bay, il regolamento Dublino 3, la legge italiana in materia di immigrazione e le prese di posizione del Consiglio europeo, è una operazione assolutamente idiota a voler esprimere un giudizio pacato. Per questo dico che i giuristi, che cercano di affrontare il problema da un punto di vista squisitamente giuridico, continuano a porre la questione nei termini sbagliati.
Come valuta allora l’attività dei pubblici ministeri di Agrigento che hanno deciso di muovere un’accusa così importante al Ministro Salvini?
Guardi, quello che è successo ha del paradossale. I 3 giudici di Catania si sono arrogati il potere di valutare l’esimente della necessità dell’ordine pubblico o della utilità o necessità di consultazione tra il governo italiano e le istituzioni europee in quei quattro giorni durante i quali si sarebbe consumato il reato di sequestro di persona. Questo è il ribaltamento dello Stato di diritto. Se si continua a ragionare in termini giuridici si sbaglia. Quando si mette mano all’interpretazione delle norme giuridiche, purtroppo, è possibile arrivare ad ogni conclusione.
Ma in questo caso c’è una base giuridica normativa?
Le rispondo sinteticamente. Si tratta di stupidaggini. Partiamo prima di tutto dal fatto che il magistrato Luigi Patronaggio, che fa il Pubblico Ministero ad Agrigento, non solo ha violato ogni regola di competenza territoriale, perché lui era ad Agrigento ma la nave si trovava a Catania; volendo andare oltre questo aspetto, è bene ricordare che lo stesso dott. Patronaggio si recò a Catania e constatò di persona il sequestro perché questa fu l’accusa iniziale mossa dallo stesso Pubblico Ministero. E, dopo aver appurato che si stava consumando un reato, cosa ha fatto? Invece di ordinare alla polizia giudiziaria, posta alle sue dipendenze, di porre termine al reato in atto di sequestro di persona, non ha fatto nulla. Se l’impostazione è questa, allora io esigo che l’accusa mossa al Ministro Salvini (che è campata per aria, sia chiaro) venga estesa anche al Pubblico Ministero dott. Patronaggio per concorso nel reato di sequestro di persona.
Quindi se non ragionano in termini giuridici, cosa c’è alla base?
Dubito che ci sia un ragionamento giuridico alla base dell’azione del Pubblico Ministero di Agrigento. Prima di tutto perché il dott. Patronaggio ha violato le regole sulla competenza territoriale come dicevo. Secondo poi, perché se lui fosse stato convinto che si stesse consumando il delitto di sequestro di persona avrebbe avuto l’obbligo giuridico di ordinare alla polizia giudiziaria di porre termine alla perduranza del delitto ascritto al Ministro Salvini facendo scendere i poveri naufraghi dalla nave.
E sul processo a Salvini cosa pensa? Dovrebbe farsi processare per porre la parola fine a questa tarantella?
Salvini non deve difendere la sua persona ma le prerogative ministeriali. Il Pubblico Ministero non può gestire delle prerogative che spettano al Ministro dell’Interno per sue posizioni politiche personali. Per questo, secondo me, dovrebbe opporsi alla richiesta di autorizzazione a procedere.
Quindi secondo lei sarebbe sbagliato permettere la celebrazione del processo al Ministro?
Certo, perché parliamo di un problema politico. E la magistratura deve smetterla di occuparsi di politica. Quest’ultima la si fa nelle aule parlamentari o nelle stanze del Governo, non nei tribunali. Da sempre i magistrati tentano di fare politica; chiaramente non mi riferisco a tutti i giudici perché molti fanno il loro lavoro in modo corretto e leale; ma una parte della magistratura deve smetterla di intromettersi in questioni politiche con l’azione giudiziaria.
Tornando al caso Sea Watch, correttamente lei ha osservato che ad oggi qualsiasi ragionamento in termini giuridici è inutile. Se volessimo, tuttavia, provare ad addentrarci nella sfera giuridica, che tipo di ragionamento potremmo fare?
Se fossi obbligato a farlo, e lei lo sta facendo contro la mia volontà perché, come le dicevo, è stupido ragionare in termini giuridici su una questione politica, allora le rispondo. Questa nave, la Sea Watch, batte bandiera olandese. È noto a chiunque abbia letto un manuale di diritto internazionale, che ogni nave che batte una bandiera, di qualunque Stato si tratti, è da considerarsi come una comunità viaggiante di quello Stato, nel senso che la nave, pure in acque territoriali di uno Stato terzo, è territorio dello Stato della bandiera. In termini di giurisdizione, quando la nave è in mare alto gli Stati terzi possono intervenire coattivamente nei confronti di quest’ultima quando la nave pone in atto illeciti di carattere internazionale come ad esempio tratta di essere umani, contrabbando, traffico o commercio di armi. Quando, viceversa, la nave si trova in acque territoriali di uno stato terzo, come nel caso della Sea Watch, lo Stato della costa può intervenire sulla nave quando sulla stessa o con la stessa vengono posti in essere atti penalmente rilevanti o incidenti sull’ordine pubblico dello Stato della costa.
E quindi?
Quindi, in questo momento, la Sea Watch è strumento di immigrazione illegale nel territorio della Repubblica Italiana. Pertanto il profilo giuridico per impedire lo sbarco di questi 47 soggetti è riferibile alla norma nazionale che vieta l’immigrazione illegale, cosa che, tra l’altro, è in linea con le decisioni assunte in sede di Consiglio europeo (già indicate nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea) che prevede il contrasto all’immigrazione illegale. Si aggiunga, poi, che i poveri naufraghi salvati fortunosamente dai marosi si trovano a vederli nelle fotografie, alti, grossi, aitanti e muniti di smartphone. Tutto questo lascerebbe pensare che non si tratti di quella figura di naufrago conosciuta non soltanto nella esperienza romanzesca di Emilio Salgari, ma anche attraverso le norme giuridiche. Ricordo che il naufrago è chi effettivamente si è trovato involontariamente e fortunosamente in una situazione di pericolo che mette a rischio la propria vita. In questi casi pare accertato l’intesa illecita tra la Sea Watch e il suo proprietario con gli scafisti. E a questo si aggiunga anche la questione del porto sicuro più vicino. Con mare mosso, il comandante di questa nave anziché raggiungere il porto più vicino, e quindi quello più sicuro, che è quello della Tunisia a sole 40 miglia nautiche, cambia direzione col mare in tempesta e mettendo a rischio la vita dei cosiddetti naufraghi da lui salvati, e si fa 240 miglia puntando verso l’Italia. È evidente che l’obiettivo era di corrispondere ad un pagamento ricevuto a fronte di un impegno contrattuale di portare questa gente in Italia e solo in Italia. Ma pensano che siamo così fessi da non vedere tutto questo?
Quindi è sbagliato domandarsi se il Ministro può o non può chiudere i porti…
Certo che è sbagliato, perché il Ministro dell’Interno deve impedire lo sbarco ad ogni costo e nel rispetto delle norme dell’Unione europea, del diritto internazionale generale e di quella interna che nella specie riflette esigenze di ordine pubblico interno.
Se lei fosse il Ministro dell’Interno cosa farebbe? Perché il problema è che casi come quello della Sea Watch si ripresenteranno in modo ciclico…
Ovviamente. Sono convinto che il mese prossimo ci sarà un altro caso Sea Watch. Se fossi nel Ministro chiuderei i porti alla immigrazione clandestina. E, lo ribadisco, vanno tenuti chiusi per non favorire il traffico di schiavi, le organizzazioni criminali degli scafisti e i comportanti illeciti di talune Organizzazioni Non Governative. Nel caso specifico della Sea Watch, va impedito lo sbarco e la nave rimandata in mare alto affinché vada dove vuole; in alternativa è possibile intervenire sulla nave, sequestrarla, arrestare il capitano e l’equipaggio e rimpatriare i 47 naufraghi là dove erano partiti.
Però, mi perdoni, questa è una soluzione tampone; o meglio, è la soluzione al caso specifico. Se volessimo pensare ad una soluzione più strutturale?
Allora l’Italia deve prendere in considerazione il blocco navale delle coste. È evidente che per far fronte ad una situazione straordinaria, servono mezzi straordinari. Forse qualcuno se n’è dimenticato, ma nel 1997 fu proprio il Governo Prodi a imporre il blocco navale delle coste ai tempi dell’immigrazione albanese. E quella volta nessuno disse cotica nonostante questo causò la morte di oltre 100 albanesi. Perché adesso nei confronti della Libia non si può fare?
Beh, qualcuno sostiene che si tratterebbe di un atto di guerra…
Ma quale atto di guerra. Il blocco non riguarderebbe le navi che svolgono un’attività lecita, ma esclusivamente coloro che si danno ad attività illecite.

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