Il prof. Sinagra: “Sea Watch andrebbe sequestrata e gli immigrati rimpatriati”
Trieste, 31 gen – Viste le numerose polemiche sul caso Sea Watch, e il caos che si sta generando soprattutto per il procedimento penale intrapreso dai PM di Agrigento nei confronti del ministro dell’Interno Matteo Salvini, oggi cerchiamo di mettere un po’ d’ordine in questa vicenda. Lo facciamo col prof. Augusto Sinagra, docente all’Università “La Sapienza” di Roma, dove insegna Diritto dell’Unione europea presso la facoltà di Scienze Politiche.
Classe 1941, nato a Catania, famosa, assieme a Palermo, per la grande
cultura giuridica che da sempre si sviluppa nell’isola, si laurea con
lode all’Università di Palermo. Dopo 15 anni di magistratura, dal 1965
al 1980, lascia con la qualifica di Consigliere di Corte d’Appello per
dedicarsi ad una prestigiosa carriera accademica. È stato docente di
diritto internazionale all’università di Trieste, di Genova e di Chieti.
Il curriculum accademico del prof. Sinagra vanta anche molte docenze di
grande spessore come quelle presso la Scuola Ufficiali dei Carabinieri a
Roma, quella presso la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione
della Presidenza del Consiglio dei e quello alla Libera Università
Internazionale degli Studi Sociali (LUISS) “G. Carli” di Roma. Oltre ad
una grande carriera accademica e, dal 1980, a una importante attività
come avvocato cassazionista, è stato anche consulente
dell’Ufficio Studi e Documentazione della Camera dei Deputati,
consulente giuridico al Ministero degli Affari Esteri, presso
il Servizio del Contenzioso Diplomatico e presso l’Ufficio del Delegato
Italiano per gli Accordi in materia di Proprietà Industriale ed
Intellettuale (partecipando per conto del Governo italiano a numerose
conferenze e riunioni internazionali, anche in ambito comunitario).
Partiamo dal caso della Sea Watch. Secondo lei si tratta di un problema di tipo giuridico?
In
più occasioni ho fatto presente una mia riflessione che può apparire
paradossale ma che riflette la verità delle cose: lo dico con ironia, ma
i giuristi spesso sono soggetti socialmente pericolosi. E guardi che lo
dico da giurista. Voler dare una spiegazione in termini giuridici a
situazioni che precedono o sovrastano lo schema giuridico è una
operazione che poi porta a conclusioni inverosimili. La situazione della
immigrazione illegale e incontrollata nella quantità e nella qualità è
un qualcosa che va oltre gli schemi giuridici esistenti. Si tratta di un
problema politico sulla base di una considerazione semplice. Lo schema
giuridico preesistente ha riguardo a situazioni o conosciute al momento
della introduzione della disciplina giuridica riconducibili ad una idea
di normalità. Qui siamo in presenza di una situazione che non riveste
alcun carattere di normalità, non soltanto per la quantità e la qualità
dei soggetti che pensano di entrare illegalmente sul territorio dello
Stato, ma si tratta di una vicenda che come ha osservato l’ex
magistrato, Carlo Nordio, ha riguardo ad una pre-organizzazione di
queste situazioni, nel senso di corrispondere a un progetto politico
preordinato all’invasione e non finalizzato al salvataggio e alla
tutela. È chiaramente finalizzato alla destabilizzazione dello Stato non
soltanto in termini di ordine pubblico o di tenuta delle istituzioni
democratiche, ma preordinato al disfacimento dell’ordine economico dello
Stato. Questa invasione che si vorrebbe incontrollata con tutti i porti
aperti, non soltanto è una idiozia intrinseca perché l’Italia in
termini di estensione e di popolazione non può far fronte a tutti, ma è
una operazione finalizzata a “cinesizzare” il mercato del lavoro
portando i salari al livello più basso possibile per favorire capitale
di rapina e smantellare lo Stato Sociale. Di fronte a questa situazione
ragionare in termini giuridici citando la convenzione di Montego Bay, il
regolamento Dublino 3, la legge italiana in materia di immigrazione e
le prese di posizione del Consiglio europeo, è una operazione
assolutamente idiota a voler esprimere un giudizio pacato. Per questo
dico che i giuristi, che cercano di affrontare il problema da un punto
di vista squisitamente giuridico, continuano a porre la questione nei
termini sbagliati.
Come valuta allora l’attività dei
pubblici ministeri di Agrigento che hanno deciso di muovere un’accusa
così importante al Ministro Salvini?
Guardi, quello
che è successo ha del paradossale. I 3 giudici di Catania si sono
arrogati il potere di valutare l’esimente della necessità dell’ordine
pubblico o della utilità o necessità di consultazione tra il governo
italiano e le istituzioni europee in quei quattro giorni durante i quali
si sarebbe consumato il reato di sequestro di persona. Questo è il
ribaltamento dello Stato di diritto. Se si continua a ragionare in
termini giuridici si sbaglia. Quando si mette mano all’interpretazione
delle norme giuridiche, purtroppo, è possibile arrivare ad ogni
conclusione.
Ma in questo caso c’è una base giuridica normativa?
Le
rispondo sinteticamente. Si tratta di stupidaggini. Partiamo prima di
tutto dal fatto che il magistrato Luigi Patronaggio, che fa il Pubblico
Ministero ad Agrigento, non solo ha violato ogni regola di competenza
territoriale, perché lui era ad Agrigento ma la nave si trovava a
Catania; volendo andare oltre questo aspetto, è bene ricordare che lo
stesso dott. Patronaggio si recò a Catania e constatò di persona il
sequestro perché questa fu l’accusa iniziale mossa dallo stesso Pubblico
Ministero. E, dopo aver appurato che si stava consumando un reato, cosa
ha fatto? Invece di ordinare alla polizia giudiziaria, posta alle sue
dipendenze, di porre termine al reato in atto di sequestro di persona,
non ha fatto nulla. Se l’impostazione è questa, allora io esigo che
l’accusa mossa al Ministro Salvini (che è campata per aria, sia chiaro)
venga estesa anche al Pubblico Ministero dott. Patronaggio per concorso
nel reato di sequestro di persona.
Quindi se non ragionano in termini giuridici, cosa c’è alla base?
Dubito
che ci sia un ragionamento giuridico alla base dell’azione del Pubblico
Ministero di Agrigento. Prima di tutto perché il dott. Patronaggio ha
violato le regole sulla competenza territoriale come dicevo. Secondo
poi, perché se lui fosse stato convinto che si stesse consumando il
delitto di sequestro di persona avrebbe avuto l’obbligo giuridico di
ordinare alla polizia giudiziaria di porre termine alla perduranza del
delitto ascritto al Ministro Salvini facendo scendere i poveri naufraghi
dalla nave.
E sul processo a Salvini cosa pensa? Dovrebbe farsi processare per porre la parola fine a questa tarantella?
Salvini
non deve difendere la sua persona ma le prerogative ministeriali. Il
Pubblico Ministero non può gestire delle prerogative che spettano al
Ministro dell’Interno per sue posizioni politiche personali. Per questo,
secondo me, dovrebbe opporsi alla richiesta di autorizzazione a
procedere.
Quindi secondo lei sarebbe sbagliato permettere la celebrazione del processo al Ministro?
Certo,
perché parliamo di un problema politico. E la magistratura deve
smetterla di occuparsi di politica. Quest’ultima la si fa nelle aule
parlamentari o nelle stanze del Governo, non nei tribunali. Da sempre i
magistrati tentano di fare politica; chiaramente non mi riferisco a
tutti i giudici perché molti fanno il loro lavoro in modo corretto e
leale; ma una parte della magistratura deve smetterla di intromettersi
in questioni politiche con l’azione giudiziaria.
Tornando
al caso Sea Watch, correttamente lei ha osservato che ad oggi qualsiasi
ragionamento in termini giuridici è inutile. Se volessimo, tuttavia,
provare ad addentrarci nella sfera giuridica, che tipo di ragionamento
potremmo fare?
Se fossi obbligato a farlo, e lei lo
sta facendo contro la mia volontà perché, come le dicevo, è stupido
ragionare in termini giuridici su una questione politica, allora le
rispondo. Questa nave, la Sea Watch, batte bandiera olandese. È noto a
chiunque abbia letto un manuale di diritto internazionale, che ogni nave
che batte una bandiera, di qualunque Stato si tratti, è da considerarsi
come una comunità viaggiante di quello Stato, nel senso che la nave,
pure in acque territoriali di uno Stato terzo, è territorio dello Stato
della bandiera. In termini di giurisdizione, quando la nave è in mare
alto gli Stati terzi possono intervenire coattivamente nei confronti di
quest’ultima quando la nave pone in atto illeciti di carattere
internazionale come ad esempio tratta di essere umani, contrabbando,
traffico o commercio di armi. Quando, viceversa, la nave si trova in
acque territoriali di uno stato terzo, come nel caso della Sea Watch, lo
Stato della costa può intervenire sulla nave quando sulla stessa o con
la stessa vengono posti in essere atti penalmente rilevanti o incidenti
sull’ordine pubblico dello Stato della costa.
E quindi?
Quindi,
in questo momento, la Sea Watch è strumento di immigrazione illegale
nel territorio della Repubblica Italiana. Pertanto il profilo giuridico
per impedire lo sbarco di questi 47 soggetti è riferibile alla norma
nazionale che vieta l’immigrazione illegale, cosa che, tra l’altro, è in
linea con le decisioni assunte in sede di Consiglio europeo (già
indicate nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea) che prevede
il contrasto all’immigrazione illegale. Si aggiunga, poi, che i poveri
naufraghi salvati fortunosamente dai marosi si trovano a vederli nelle
fotografie, alti, grossi, aitanti e muniti di smartphone. Tutto questo
lascerebbe pensare che non si tratti di quella figura di naufrago
conosciuta non soltanto nella esperienza romanzesca di Emilio Salgari,
ma anche attraverso le norme giuridiche. Ricordo che il naufrago è chi
effettivamente si è trovato involontariamente e fortunosamente in una
situazione di pericolo che mette a rischio la propria vita. In questi
casi pare accertato l’intesa illecita tra la Sea Watch e il suo
proprietario con gli scafisti. E a questo si aggiunga anche la questione
del porto sicuro più vicino. Con mare mosso, il comandante di questa
nave anziché raggiungere il porto più vicino, e quindi quello più
sicuro, che è quello della Tunisia a sole 40 miglia nautiche, cambia
direzione col mare in tempesta e mettendo a rischio la vita dei
cosiddetti naufraghi da lui salvati, e si fa 240 miglia puntando verso
l’Italia. È evidente che l’obiettivo era di corrispondere ad un
pagamento ricevuto a fronte di un impegno contrattuale di portare questa
gente in Italia e solo in Italia. Ma pensano che siamo così fessi da
non vedere tutto questo?
Quindi è sbagliato domandarsi se il Ministro può o non può chiudere i porti…
Certo
che è sbagliato, perché il Ministro dell’Interno deve impedire lo
sbarco ad ogni costo e nel rispetto delle norme dell’Unione europea, del
diritto internazionale generale e di quella interna che nella specie
riflette esigenze di ordine pubblico interno.
Se lei
fosse il Ministro dell’Interno cosa farebbe? Perché il problema è che
casi come quello della Sea Watch si ripresenteranno in modo ciclico…
Ovviamente.
Sono convinto che il mese prossimo ci sarà un altro caso Sea Watch. Se
fossi nel Ministro chiuderei i porti alla immigrazione clandestina. E,
lo ribadisco, vanno tenuti chiusi per non favorire il traffico di
schiavi, le organizzazioni criminali degli scafisti e i comportanti
illeciti di talune Organizzazioni Non Governative. Nel caso specifico
della Sea Watch, va impedito lo sbarco e la nave rimandata in mare alto
affinché vada dove vuole; in alternativa è possibile intervenire sulla
nave, sequestrarla, arrestare il capitano e l’equipaggio e rimpatriare i
47 naufraghi là dove erano partiti.
Però, mi
perdoni, questa è una soluzione tampone; o meglio, è la soluzione al
caso specifico. Se volessimo pensare ad una soluzione più strutturale?
Allora
l’Italia deve prendere in considerazione il blocco navale delle coste. È
evidente che per far fronte ad una situazione straordinaria, servono
mezzi straordinari. Forse qualcuno se n’è dimenticato, ma nel 1997 fu
proprio il Governo Prodi a imporre il blocco navale delle coste ai tempi
dell’immigrazione albanese. E quella volta nessuno disse cotica
nonostante questo causò la morte di oltre 100 albanesi. Perché adesso
nei confronti della Libia non si può fare?
Beh, qualcuno sostiene che si tratterebbe di un atto di guerra…
Ma
quale atto di guerra. Il blocco non riguarderebbe le navi che svolgono
un’attività lecita, ma esclusivamente coloro che si danno ad attività
illecite.
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