venerdì 11 gennaio 9:45 - di Martino Della Costa
Al
migrante spacciatore non sono bastate, anzi,
neppure sono valse a molto, le due condanne inanellate in primo grado
per reati legati al traffico di droga: ai giudice che avevano in esame
il caso del ricorso presentato in Cassazione da un immigrato alle prese
con il rinnovo del permesso di soggiorno scaduto serviva, come
riportato, tra gli altri, in queste ore, anche da
Il Giornale
sul suo sito, «un giudizio di pericolosità sociale in concreto». E così,
la Suprema Corte, non solo si è vista costretta dall’applicazione delle
norme vigenti, ad accogliere le richieste dello straniero, rigettando
l’ordine di espulsione emanato dal Prefetto di Ancona, ma ha anche
dichiarato che la due condanne per droga non costituiscono una
condizione necessaria e sufficiente per asserire e dimostrare la
«pericolosità sociale» dello straniero, almeno non tanto da decretarne
«la conseguente espulsione». E così il ricorrente viene riabilitato e
rimborsato…
I giudici accolgono il ricorso del migrante spacciatore: non dovrà essere espulso
Ma andiamo con ordine: dunque, il migrante, sottoposto a procedimento
di espulsione, viene ripescato dai giudici della Suprema Corte a cui si
è rivolto per rigettare l’esecuzione del provvedimento richiesto dalla
prefettura di Ancona che, come riporta sempre
il Giornale,
«presa visione della sua fedina penale» e resasi conto «che sulle sue
spalle pendevano due condanne penali (non definitive) per droga», «non
solo gli ha negato il documento, ma ha anche emesso un conseguente
ordine di espulsione dall’Italia». Ordine rimesso in discussione e
annullato dalla Cassazione a cui il migrante si è rivolto per presentare
ricorso e su cui il ricorrente ha avuto soddisfazione e ragione. O
meglio, per l’esattezza, ripercorrendo come fanno
Il Tempo prima,
Il Giornale poi, le vicissitudini giudiziarie dello straniero in questione, accade che:
il 21 giugno 2017 il prefetto di Ancona decreta l’ordine di espulsione. Il migrante presenta
ricorso al giudice di Pace che, a quel punto,
respinge la richiesta del ricorrente
asserendo che le due condanne per droga siano di per sé sufficienti a
stabilire la sua «pericolosità sociale» e a motivarne l’espulsione dal
Belpaese. È a questo punto che l’immigrato, lungi dal darsi per vinto,
si rivolge alla
Corte di Cassazione che, accogliendo la
richiesta del rinnovo del permesso presentata dallo straniero per
«motivi di coesione familiare», non solo annulla l’espulsione
del migrante spacciatore, ma specifica anche che «secondo il
“Testo unico sull’immigrazione”, modifica del 2007, in caso di
“richiesta di rilascio del permesso di soggiorno per motivi di coesione
familiare” non è più prevista “l’applicabilità del meccanismo di
automatismo espulsivo in virtù della sola condanna dello straniero per
alcuni reati».
I paradossi della legge fanno sì che al danno si unisca anche la beffa…
Un paradosso in nome del quale la sentenza della Suprema Corte,
applicando norme vigenti, stabilisce che la prefettura non può ritenere a
priori “socialmente pericoloso” il migrante in oggetto
“SOLO”
sulla base di condanne ottenute per alcuni reati. O meglio, come scrive
sempre il quotidiano milanese diretto da Sallusti, qualora i giudici
volessero negargli il permesso di soggiorno sono tenuti a «dare un
“giudizio di pericolosità sociale effettuato in concreto”». E dato che,
al danno si unisce quasi sempre anche la beffa, come riferiscono
Il Tempo e
Il Giornale,
avendo la Prefettura di Ancona emesso un decreto basato
«esclusivamente sulla presunzione di pericolosità dell’immigrato», a
prescindere dalle «ragioni di coesione familiare» e producendo, ma non
“in concreto”, un giudizio di pericolosità sociale,
la
Cassazione ha accolto il ricorso dello straniero che ora potrà anche
incassare le somme dovute per le spese processuali, affibbiate a carico
di Prefettura e Ministero dell’Interno…
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