Sangue e violenze nella provincia del Kasai, che si è schierata apertamente contro la rielezione del presidente uscente Kabila. Attaccati anche vescovado e seminario.

In evidenza la provincia del Kasai e, a est del Kasai, la città di Kananga
L'agguato ai poliziotti
L'episodio più sanguinoso di questo conflitto interno risale alla scorsa settimana, quando una formazione dei ribelli del Kasai ha teso un agguato a un convoglio militare, disarmando i poliziotti e uccidendone 40 per decapitazione. A 6 poliziotti è stata risparmiata la vita perché parlavano thsiluba, il dialetto locale. Nello scontro si mischiano dunque componenti politiche ed etiche, motivazioni locali e regionali.
Spinte separatiste in tutto il Congo
La rivolta nel Kasai ha già causato centinaia di morti e almeno 200mila sfollati interni. Ma non è l’unica nella Repubblica democratica del Congo: spinte secessioniste esistono nella ricca provincia del Katanga, nel Sud, disordini avvengono anche nella zona orientale, nel Kivu del Sord e del Sud, e nell’Ituri a Nord. Non va dimenticato, in tutto questo, che l'immenso territorio del Congo custodisce ancora enormi ricchezze naturali.
Uccisioni di massa in Kasai ordinate dal governo
Secondo fonti bene informate, e testimonianze che giungono dalla Chiesa locale, in tutto il Kasai stanno avvenendo in questi giorni eccidi e decapitazioni ai danni dei ribelli. Lo stesso presidente Kabila avrebbe inviato nella regione alti esponenti dell'esercito con l'obiettivo di infiltrarsi tra i ribelli per boicottarne i piani. Fallito questo progetto, sono stati mandati veri e propri "tagliagole" che hanno avviato un progetto di decapitazione di massa, nel silenzio del governo.
Attacchi violenti contro la Chiesa
A fare le spese di questo clima di violenze è anche la Chiesa, nelle sue proprietà e nelle persone che la rappresentano. Nei giorni scorsi, nella capitale Kinshasa, i militari hanno saccheggiato il vescovado, distrutto il convento delle suore e il seminario minore. Non si sa dove siano rifugiati le suore e il vescovo. I soldati hanno fatto irruzione anche alla locale università, dove insegnano alcuni sacerdoti cattolici, e hanno rapito diversi studenti.
L'appello dei sacerdoti
Per denunciare questa situazione esplosiva, e rompere il silenzio mediatico su quanto sta avvenendo in Congo, alcuni sacerdoti hanno inviato i loro appelli e la loro testimonianza. Don Mandefu, docente all'università di Kananga, scrive su Facebook: «Finché non sarà stata fatta la verità sugli eventi luttuosi che da quasi un anno insanguinano il Kasai, il mio profilo resterà nero in segno di protesta. Finché le Nazioni Unite e tutte le organizzazioni internazionali dei diritti dell'uomo non avranno accesso al Kasai per condurvi un'inchiesta dettagliata affinché siano stabilite le responsabilità di questo massacro e siano severamente puniti gli autori intellettuali e materiali, questo profilo resterà nero. Denuncio con indignazione lo sterminio evidente pianificato e organizzato della gioventù del Kasai per ragioni che solo il potere in atto conosce e che solo un'indagine indipendente può spiegare. Il troppo è troppo. Basta. Come tutti i popoli del mondo, anche il popolo del Kasai ha diritto alla vita, indipendentemente dalle sue opinioni, e non deve continuare a subire l'olocausto che gli viene imposto».Un altro appello arriva, via audio, da padre Jannod, anch'egli docente all'università di Kananga. «I militari sono venuti a prendere i miei studenti» denuncia nella registrazione audio qui allegata. «Ho detto al generale: stanno solo studiando! Ma lui ha replicato che li considerava miliziani ribelli»
Cara Kyenge anzichè girare con la scorta per fare la spesa e piuttosto che parlare male degli italiani torna al paese tuo e aiuta la tua gente
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