Dura quattro anni, ormai, la lotta del trentaseienne Francesco Carbone, ex responsabile della ditta in appalto all’azienda Poste Italiane su Verona , nei confronti dei dirigenti di Poste Italiane.
Tutto ciò ha inizio quando il responsabile della ditta appaltante Carbone avanzò delle lamentele per quanto riguarda delle lacune lavorative come: nessun tipo di sicurezza e igiene sul posto di lavoro, dipendenti obbligati a fare lavori che non gli competevano per contratto, presenza di lavoratori in nero, straordinari sottopagati in nero, mezzi di trasporto mal messi e spesso senza revisione, continui insulti e minacce dal personale e dai dirigenti.
In risposta ai diritti che rivendicava, Carbone ricevette solo minacce e vessazioni dall’amministratore della ditta appaltante e dagli alti dirigenti di Poste Italiane. Inutile, si rivelò, anche la denuncia dei fatti al dirigente della Cigl, il quale gli consigliò di non disturbare gli alti dirigenti di Poste Italiane in quanto avrebbe perso il posto di lavoro.
Il permanere di Carbone nella volontà di ottenere i diritti dovuti lo portò non solo ad essere emarginato da colleghi mediante minaccie di perdere il posto di lavoro nel caso il proprio responsabile avesse continuato, ma portò il Direttore del Triveneto di Poste Italiane a vietare a Carbone di accedere in tutti gli uffici di Poste Italiane e a consegnare il pass di entrata. Successivamente, Carbone verrà allontanato come elemento indesiderato perdendo il posto di lavoro.
Fino ad oggi, tutte le denuncie di Carbone esposte alla Procura della Repubblica sono state tutte, magicamente, archiviate. Magicamente perché numerose sono le prove che testimoniano il dire di Carbone in vari formati: cartaceo, video, ecc. tutto agli occhi di tutti, in bella mostra sul web. Proprio sul social network facebook sono raccolte le numerose prove nel gruppo “IN NOME DEL POPOLO ITALIANO”.
Un video postato sul gruppo mostra Carbone al “Festival della Legalità”del 4 ottobre 2010, che pone la propria questione ai tre alti esponenti della Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza presenti alla manifestazione, (il video in questione è visionabile sotto l’articolo) il Questore di Palermo Maragoni si dimostra disponibile invitando Francesco Carbone l’indomani a presentarsi da egli. Il giorno dopo, presentatosi in Questura, Carbone spiega la questione al capo della Digos che gli risponderà che il fatto non è di loro competenza.
La vicenda è stata esposta anche a dei parlamentari, unica “apertura” è stata mostrada da Italia dei Valori. L’On. Borghesi tramite mail gli disse di fargli pervenire tutta la documentazione, ma per evitare che ciò non avvenisse, Carbone, giunto fino alla sede del partito a Roma, non solo non è stato accolto, ma è stato anche invitato ad uscire dalla sede. L’On. Barbato, colui ha affermato di volere “uno stato dei diritti dei cittadini” e che i parlamentari dell’Italia dei Valori sono “molto sensibili e vigili” nel voler tutelare ciò, ebbene sì, dopo aver parlato due giorni prima con Carbone al cellulare durante la protesta dell’ex responsabile dell’appaltante davanti al Parlamento, ha negato di non conoscere Carbone e , solo dopo che quest’ultimo gli riferiva che la telefonata effettuata due giorni prima era stata registrata, si è degnato di rispondergli dicendo che la competenza non era sua e che doveva rivolgersi all’ On. Pedica. Infine, ad occuparsi della faccenda è stato l’On. Lannutti mediante un’interrogazione parlamentare sul caso che non ha mai ottenuto risposta.
Desta molta curiosità come mai dopo quattro anni nessun magistrato abbia portato il caso di Francesco Carbone in un tribunale, come mai dei cittadini che possiedono delle piccole fabbriche, aziende, esercizi commerciali,ecc. qualora non rispettino le norme basilari che prevede la legge italiana, vengono giustamente sanzionati; mentre in un’azienda radicata su tutto il territorio nazionale come quella di Poste Italiane, in quattro anni, tutti i fascicoli aperti in merito alle denuncie di Francesco Carbone, sono stati posti al Modello 45 , ovvero, fatti non contenenti reato. Eppure visionando i video pubblicati da Carbone, anche una persona priva di qualsiasi nozione giuridica capirebbe che vengono violate le norme di legge.
Tornando indietro la curiosità si soddisfa con delle minacce che ricevette Carbone quando era ancora dipendente dell’appaltante, quando dei dirigenti della medesima ditta gli dissero che era inutile che egli si mettesse contro Poste Italiane e l’appaltante in quanto erano coperti dal fatto che proprietari della medesima ditta erano i nipoti dell’ex capo della polizia e dei servizi segreti Ferdinando Masone, e che gli appaltanti del centro sud del servizio postale facevano tutti riferimento all’ex Ministro della Giustizia Clemente Mastella.
Intanto, Francesco Carbone porta avanti la famiglia mediante dei lavoretti che gli consentono di andare avanti, non si arrende e continua a combattere contro le ingiustizie che lo costringevano a lavorare nell’illegalità e che lo hanno costretto a dimettersi alle sue rimostranze. Ad una domanda che gli è stata posta sul perché, secondo lui, nessuno ancora si è degnato di portare in tribunale la sua denuncia, lui risponde affermando < cane non mangia cane >. Dal 25 luglio ha iniziato a protestare davanti al Palazzo di Giustizia mediante l’esposizione di grandi striscioni e cartelloni contenenti la propria storia reclamando il diritto di avere un processo.
Un caso, questo, che pone seri dubbi sull’affermazione esposta in tutti i tribunali italiani, ovvero “La legge è quale per tutti”. È assurdo pensare, che per far valere i propri diritti ed arrivare fino in fondo con la vicenda, un semplice cittadino debba puntare anche nel farsi processare come imputato per diffamazioni e false testimonianze, in modo da poter portare ad un giudice le tante prove che rispecchiano le precarie condizioni nelle quali versavano l’ex responsabile dell’appaltante Carbone e il resto dei dipendenti. Una situazione che non provoca certo tranqullità e sicurezza e che, priva di democrazia, tende a far pensare all’esisternza di un sistema “massonico” protetto come una casta delle “alte cariche”.
SAREBBE STATO IL CASO DI DIRGLI : AH SI ED IO SONO IL NIPOTE DI TOTO' REINA.
Tutto ciò ha inizio quando il responsabile della ditta appaltante Carbone avanzò delle lamentele per quanto riguarda delle lacune lavorative come: nessun tipo di sicurezza e igiene sul posto di lavoro, dipendenti obbligati a fare lavori che non gli competevano per contratto, presenza di lavoratori in nero, straordinari sottopagati in nero, mezzi di trasporto mal messi e spesso senza revisione, continui insulti e minacce dal personale e dai dirigenti.
In risposta ai diritti che rivendicava, Carbone ricevette solo minacce e vessazioni dall’amministratore della ditta appaltante e dagli alti dirigenti di Poste Italiane. Inutile, si rivelò, anche la denuncia dei fatti al dirigente della Cigl, il quale gli consigliò di non disturbare gli alti dirigenti di Poste Italiane in quanto avrebbe perso il posto di lavoro.
Il permanere di Carbone nella volontà di ottenere i diritti dovuti lo portò non solo ad essere emarginato da colleghi mediante minaccie di perdere il posto di lavoro nel caso il proprio responsabile avesse continuato, ma portò il Direttore del Triveneto di Poste Italiane a vietare a Carbone di accedere in tutti gli uffici di Poste Italiane e a consegnare il pass di entrata. Successivamente, Carbone verrà allontanato come elemento indesiderato perdendo il posto di lavoro.
Fino ad oggi, tutte le denuncie di Carbone esposte alla Procura della Repubblica sono state tutte, magicamente, archiviate. Magicamente perché numerose sono le prove che testimoniano il dire di Carbone in vari formati: cartaceo, video, ecc. tutto agli occhi di tutti, in bella mostra sul web. Proprio sul social network facebook sono raccolte le numerose prove nel gruppo “IN NOME DEL POPOLO ITALIANO”.
Un video postato sul gruppo mostra Carbone al “Festival della Legalità”del 4 ottobre 2010, che pone la propria questione ai tre alti esponenti della Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza presenti alla manifestazione, (il video in questione è visionabile sotto l’articolo) il Questore di Palermo Maragoni si dimostra disponibile invitando Francesco Carbone l’indomani a presentarsi da egli. Il giorno dopo, presentatosi in Questura, Carbone spiega la questione al capo della Digos che gli risponderà che il fatto non è di loro competenza.
La vicenda è stata esposta anche a dei parlamentari, unica “apertura” è stata mostrada da Italia dei Valori. L’On. Borghesi tramite mail gli disse di fargli pervenire tutta la documentazione, ma per evitare che ciò non avvenisse, Carbone, giunto fino alla sede del partito a Roma, non solo non è stato accolto, ma è stato anche invitato ad uscire dalla sede. L’On. Barbato, colui ha affermato di volere “uno stato dei diritti dei cittadini” e che i parlamentari dell’Italia dei Valori sono “molto sensibili e vigili” nel voler tutelare ciò, ebbene sì, dopo aver parlato due giorni prima con Carbone al cellulare durante la protesta dell’ex responsabile dell’appaltante davanti al Parlamento, ha negato di non conoscere Carbone e , solo dopo che quest’ultimo gli riferiva che la telefonata effettuata due giorni prima era stata registrata, si è degnato di rispondergli dicendo che la competenza non era sua e che doveva rivolgersi all’ On. Pedica. Infine, ad occuparsi della faccenda è stato l’On. Lannutti mediante un’interrogazione parlamentare sul caso che non ha mai ottenuto risposta.
Desta molta curiosità come mai dopo quattro anni nessun magistrato abbia portato il caso di Francesco Carbone in un tribunale, come mai dei cittadini che possiedono delle piccole fabbriche, aziende, esercizi commerciali,ecc. qualora non rispettino le norme basilari che prevede la legge italiana, vengono giustamente sanzionati; mentre in un’azienda radicata su tutto il territorio nazionale come quella di Poste Italiane, in quattro anni, tutti i fascicoli aperti in merito alle denuncie di Francesco Carbone, sono stati posti al Modello 45 , ovvero, fatti non contenenti reato. Eppure visionando i video pubblicati da Carbone, anche una persona priva di qualsiasi nozione giuridica capirebbe che vengono violate le norme di legge.
Tornando indietro la curiosità si soddisfa con delle minacce che ricevette Carbone quando era ancora dipendente dell’appaltante, quando dei dirigenti della medesima ditta gli dissero che era inutile che egli si mettesse contro Poste Italiane e l’appaltante in quanto erano coperti dal fatto che proprietari della medesima ditta erano i nipoti dell’ex capo della polizia e dei servizi segreti Ferdinando Masone, e che gli appaltanti del centro sud del servizio postale facevano tutti riferimento all’ex Ministro della Giustizia Clemente Mastella.
Intanto, Francesco Carbone porta avanti la famiglia mediante dei lavoretti che gli consentono di andare avanti, non si arrende e continua a combattere contro le ingiustizie che lo costringevano a lavorare nell’illegalità e che lo hanno costretto a dimettersi alle sue rimostranze. Ad una domanda che gli è stata posta sul perché, secondo lui, nessuno ancora si è degnato di portare in tribunale la sua denuncia, lui risponde affermando < cane non mangia cane >. Dal 25 luglio ha iniziato a protestare davanti al Palazzo di Giustizia mediante l’esposizione di grandi striscioni e cartelloni contenenti la propria storia reclamando il diritto di avere un processo.
Un caso, questo, che pone seri dubbi sull’affermazione esposta in tutti i tribunali italiani, ovvero “La legge è quale per tutti”. È assurdo pensare, che per far valere i propri diritti ed arrivare fino in fondo con la vicenda, un semplice cittadino debba puntare anche nel farsi processare come imputato per diffamazioni e false testimonianze, in modo da poter portare ad un giudice le tante prove che rispecchiano le precarie condizioni nelle quali versavano l’ex responsabile dell’appaltante Carbone e il resto dei dipendenti. Una situazione che non provoca certo tranqullità e sicurezza e che, priva di democrazia, tende a far pensare all’esisternza di un sistema “massonico” protetto come una casta delle “alte cariche”.
SAREBBE STATO IL CASO DI DIRGLI : AH SI ED IO SONO IL NIPOTE DI TOTO' REINA.
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