Durissima condanna del regime contro Nasrin Sotoudeh, accusata di danneggiare la sicurezza nazionale. Le ong: potere in difficoltà, cosa farà l’Europa?
Trentatré
anni di prigione e 148 frustate, solo per aver svolto il suo lavoro di
avvocata. È il verdetto emesso contro Nasrin Sotoudeh, che dallo scorso
13 giugno è rinchiusa nel famigerato carcere di Evin con una condanna a
cinque anni (il totale ora è di 38). A denunciarlo su Facebook è stato
Reza Khandan, il marito della più famosa avvocata iraniana per i diritti
umani, una dei pochi rimasti nella Repubblica islamica. Tra le accuse:
propaganda contro il sistema, incontri ai danni della sicurezza
nazionale, partecipazione al movimento contro la pena di morte,
incitamento alle donne a togliersi il velo e ad azioni immorali.
Nasrin Sotoudeh, 55 anni, è una leader, che ha scelto di restare in Iran e
che sa parlare al popolo. Nel suo studio spoglio c’è una statua della
Giustizia con la spada nella mano destra e la bilancia nella sinistra.
Attaccati al muro dietro la sua scrivania, tanti piccoli bigliettini:
lettere di solidarietà che da tutto il mondo furono spedite ai suoi
bambini, Mehrave e Nima, quando fu arrestata già nel 2011 (scontò tre
anni).
All’Europa che le ha assegnato nel 2012 il premio Sakharov, Sotoudeh chiedeva nell’ultima intervista concessa al Corriere,
nel gennaio 2018, di intervenire per aiutare i manifestanti arrestati
nel suo Paese. Avevano protestato contro il carovita e la corruzione:
«Se la Ue resterà in silenzio — disse — i ragazzi spariranno nelle
carceri». Aveva espresso preoccupazione anche per i suoi colleghi
avvocati condannati a lunghe pene detentive. Ma non si è fatta
intimidire. In passato Nasrin ha difeso minorenni nel braccio della
morte, attivisti studenteschi, curdi, di religione bahai e nel 2018 è
scesa in campo a sostegno delle cosiddette «ragazze di via Rivoluzione»
che si sono tolte il velo sventolandolo come una bandiera. «Il sistema
giudiziario approva sentenze di durezza sorprendente contro queste donne
— disse — ma non penso che potrà fermare così le proteste contro
l’hijab obbligatorio: continueranno. L’unico modo in cui affrontarle è
prestare attenzione».
Ora la nuova condanna è scioccante — afferma Amnesty International —
persino per un Paese come l’Iran, abituato a reprimere il dissenso.
L’organizzazione Iran Human Rights — che negli ultimi due anni ha notato
un aumento preoccupante degli arresti di difensori dei diritti umani —
la interpreta come il segnale più chiaro che il regime intende mettere a
tacere completamente la società civile.
Nella stessa direzione va la recente nomina a capo della magistratura di Ebrahim Raisi,
che nel 1988 sarebbe stato uno dei membri della cosiddetta «Commissione
della Morte», responsabile di aver fatto giustiziare migliaia di
prigionieri politici. «Il regime è in
difficoltà: dal 2017 ci sono state proteste quasi quotidiane di gruppi
diversi, lavoratori, insegnanti, le ragazze contro il velo... Per
sopravvivere tenta la repressione più dura», dice Mahmood
Amiry-Moghaddam di Iran Human Rights. E poi, come fece Nasrin, anche lui
chiede: «Cosa farà l’Europa?».
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