Il caso di un giudice del Tar arrestato e condannato nel 2016. In attesa dell’Appello riprende il lavoro
Non sono omonimi, sono proprio la stessa
persona: il magistrato amministrativo che celebra udienze al
Tar-Tribunale amministrativo regionale della Valle d’Aosta è lo stesso
giudice del Tar Lazio arrestato nel 2013 e condannato nel 2016 in primo
grado a 8 anni per corruzione in atti giudiziari. Un paradosso,
formalmente legittimo, determinato dalla lentezza dei processi che
livella le ragioni di tutti: sia di chi si stupisce di vedere sentenze
decise anche da un giudice condannato (pur solo in primo grado) proprio
per compravendita di sentenze, sia del diretto interessato che rivendica
il diritto dopo 6 anni di non restare indefinitamente «sospeso in via
cautelare» in attesa di Appello e Cassazione.
È il 18 luglio 2013 quando il giudice del Tar Lazio, Franco Angelo Maria De Bernardi,
viene arrestato con l’accusa di essersi accordato con una avvocato
amministrativista (che patteggerà poi 3 anni e mezzo) «per indirizzare
clienti presso lo studio legale e porre in essere a loro favore indebite
interferenze su assegnazioni, procedure e decisioni»: collegata
all’arresto scatta il 6 agosto 2013 anche la sospensione cautelare dal
servizio, di tipo automatico, che dall’11 febbraio 2015 il Consiglio di
presidenza della giustizia amministrativa (l’equivalente del Csm per i
giudici del Tar) sostituisce con la sospensione cautelare di tipo
facoltativo.
Il 22 luglio 2016 il Tribunale di Roma condanna in primo grado il magistrato a 8 anni
(uno più della richiesta dei pm), alla confisca di 115.000 euro e
all’interdizione perpetua dei pubblici uffici. La conseguenza è che il
20 marzo 2017, al posto della sospensione facoltativa, viene disposto un
altro periodo di quella automatica. Solo che l’appello non è ancora
stato fissato. Ma quanto può durare la sospensione in attesa di sentenza
definitiva? Nel 2002 la Consulta ritenne incostituzionale, in quanto
manifestamente eccessiva, una sospensione lunga quanto la prescrizione
del reato, rimarcando che «una misura cautelare, proprio perché tendente
a proteggere un interesse nell’attesa di un successivo accertamento,
deve per sua natura essere contenuta in una durata strettamente
indispensabile per la protezione di quell’interesse, e non deve gravare
eccessivamente sui diritti del singolo che essa provvisoriamente
comprime». Restano allora o i 5 anni di durata massima come clausola
generale; o, scaduti questi 5 anni, la scelta discrezionale di ricorrere
di nuovo alla sospensione facoltativa dal servizio, cioè stavolta per
motivi fondati non più sulla mera pendenza del processo penale, ma
sull’apprezzamento in concreto dei fatti. L’opzione non è stata ritenuta
percorribile dal «Csm» amministrativo, che ha finito per assegnare De
Bernardi al Tar Valle d’Aosta dopo che il 17 aprile 2018 i magistrati
del Tar Piemonte avevano paventato il «rischio di menomazione al
prestigio, oggettivamente derivante dalla pendenza di un processo per
reati gravi connessi all’esercizio delle funzioni giurisdizionali». A
giugno la storia finirà comunque: perché il giudice andrà in pensione.
Nessun commento:
Posta un commento