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giovedì 23 agosto 2018
La verità sulla guerra in Libia
Disastro Libia: ecco chi dobbiamo ringraziare
UN FRANCESE, UN’AMERICANA E UN ITALIANO
Un francese, un’americana e un italiano: non è l’incipit di un
barzelletta ma coloro che dobbiamo ringraziare per aver imposto con
miopia la più assurda tra le assurde guerre che
l’Occidente ha condotto in questi ultimi anni in nome dell’imperativo
umanitario. Il disastro in Libia e lo spaventoso errore di generare un
“regime change” non governato, trasformando quello che era uno dei paesi
più stabili e floridi dell’Africa in un cumulo di macerie, hanno tre
firme d’autore.
IL FRANCESE
La prima è quella Nicolas Sarkozy, l’ex presidente
francese, gollista con velleità napoleoniche. Fu lui a volere con tutta
la forza l’abbattimento del regime di Gheddafi nella convinzione che la
Francia avrebbe recuperato la sua “grandeur” e lui i sondaggi che lo
davano peggior Presidente francese degli ultimi 20 anni (record negativo
oggi conquistato da Hollande).
Fu lui a guidare le potenze occidentali al riconoscimento di un governo
libico d’insorti che aveva la legittimità di un pinguino nel Sahara e fu
lui ad imporre, ad un recalcitrante Obama, i bombardamenti contro
l’esercito di Gheddafi che portarono la Nato ad entrare a gamba tesa in
una guerra civile schierandosi con uno dei contendenti e violando così
il principio di non ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano.
Fu lui a recarsi nei giorni della fuga di Gheddafi, a Tripoli con al
fianco Bernard Henry Levy il filosofo francese di sinistra da sempre protettore delle bombe umanitarie;
ufficialmente per rassicurare i libici sul ruolo della Francia nella
costruzione della democrazia e per chiudere qualche accordo sullo
sfruttamento delle risorse energetiche del ricco paese africano,
ufficiosamente per far sparire le tracce sui rapporti non proprio
eleganti tra lui e Gheddafi.
L’AMERICANA
Il secondo artefice del disastro è una donna, americana: la democratica Hillary Clinton.
Fu lei a trascinare di malavoglia l’amministrazione Obama nella guerra
“francese” in nome della difesa di diritti umani che in Libia erano
violati più dai ribelli che dai lealisti di Gheddafi; e lo fece
applicando un principio del tutto nuovo: quello della guerra umanitaria preventiva (ne parlammo qui).
L’idea cioè, che gli Usa, in Libia, dovessero intervenire non per i
punire i crimini commessi dal regime ma per quelli che avrebbe potuto
commettere. In altre parole, io ti bombardo non per quello che hai fatto
ma per quello che io penso tu farai: una follia nel diritto internazionale.
L’ITALIANO
Il terzo da ringraziare è italiano e si chiama Giorgio Napolitano.
Fu lui a spingere l’Italia nella guerra facendoci aderire alla
coalizione che doveva applicare la risoluzione Onu, ma di fatto
abbattere il regime libico al grido: “non lasciamo calpestare il Risorgimento arabo”.
Berlusconi (allora presidente del Consiglio) si era opposto
all’intervento militare per ragioni facili da comprendere: primo per un
rapporto di fiducia costruito negli anni con il leader libico Gheddafi,
fiducia che aveva portato importanti accordi economici tra i due paesi e
un impegno della Libia a controllare l’immigrazione clandestina verso
le nostre coste (impegno che aveva fatto diminuire gli sbarchi sulle
coste italiane del 90%). Secondo, perché sapeva che il vuoto di potere
creato sarebbe stato pericolosissimo per i nostri interessi nazionali.
Ma in quei mesi la figura del premier italiano era indebolita, assediata
dalle inchieste giudiziarie, dalla perdita di credibilità
internazionale dovuta allo scandalo Ruby e dalle manovre in atto di quelle tecnocrazie che avrebbero poi portato al complotto del novembre 2011.
Napolitano ne approfittò e, in perfetta obbedienza a quei poteri
internazionali per i quali subisce un naturale fascino, impose la nostra
entrata nel conflitto non trattando nemmeno i posti a sedere nella
gestione del dopoguerra e impedendo che il nostro Paese creasse un’asse
neutrale con la Germania (che allo sciagurato attacco alla Libia non
partecipò). Anche perché senza le basi italiane e la partecipazione dei
nostri aerei nelle missioni di bombardamento e interdizione,
l’operazione internazionale avrebbe avuto difficoltà a realizzarsi.
Ed è grazie alle loro resposnabilità che
ora l’Occidente sta a guardare la disintegrazione della Libia e la
trasformazione della guerra civile in un conflitto regionale con il
coinvolgimento già attivo di Egitto ed Emirati Arabi, il rischio di
allargamento alla Tunisia e l’espansione dell’islamismo. Sarkozy, Clinton e Napolitano: ecco chi dobbiamo ringraziare se
oggi l’integralismo sta dilagando in Libia e i jihadisti sono ormai a
due ore dalle coste italiane.
Le prime bombe franco-inglesi furono sganciate alle 17.45 del 19 marzo: quel giorno era in programma a Parigi un vertice al quale Berlusconi andò per cercare di evitare la guerra e dove, si saprà poi, Nicolas Sarkozy aveva comunicato che i suoi aerei erano già in volo. All’arrivo di Berlusconi era in corso un vertice tra Sarkozy, David Cameron e Hillary Clinton. L’Italia non bombardò, ma contribuì da subito con sette basi, con un assetto della Marina guidato dall’incrociatore portaeromobili “Garibaldi” e dalle 23.59 dello stesso 19 marzo mise a disposizione gli aerei, che però effettuarono solo sorvoli. Alla fine di marzo, dopo che la missione Odissey Dawn era diventata Unified Protector con il passaggio alla Nato, Napolitano andò negli Stati Uniti per pochi giorni e al rientro, il 31 marzo, sentì al telefono il presidente americano: Barack Obama gli chiese un impegno diretto dell’Italia e ottenne garanzie in questo senso dal presidente della Repubblica che però, pur se comandante delle Forze armate e presidente del Consiglio supremo di Difesa, non ha poteri esecutivi. Berlusconi, pressato da ogni parte, in quei giorni ripeteva che l’Italia non avrebbe mai bombardato la Libia e, soprattutto, che Obama avrebbe dovuto parlare con lui. Le pressioni della Nato, degli Stati Uniti, del Consiglio di transizione libico e di qualche membro del governo aumentavano, a metà di aprile La Russa incontrò negli Usa il segretario alla Difesa Robert Gates e il colloquio fu tempestoso.
La svolta del 25 aprile
Il 21 aprile gli incursori del Col Moschin si unirono alle forze speciali francesi e britanniche come “addestratori” in Libia, il 22 aprile il presidente della commissione Esteri del Senato americano, John Kerry, incontrò Berlusconi a Palazzo Chigi ed ebbe un ultimatum: Obama doveva chiamare direttamente il presidente del Consiglio o l’Italia non avrebbe mai partecipato. Tre giorni dopo, il 25, Obama fece quella telefonata e la conclusione diplomatica fu che l’Italia era d’accordo sulla necessità di una “pressione supplementare” su Muammar Gheddafi. E’ evidente che la decisione finale, operativa, non potesse che essere del Governo, ma è altrettanto evidente che ci fu un ruolo determinante del Quirinale.l più forte sostegno alla guerra in Libia viene dalla cosiddetta opposizione di centro-sinistra e in generale dai partiti di “sinistra”.
Il principale partito di opposizione, il Partito Democratico (PD), proveniente dal Partito Comunista Italiano (PCI), sostiene con entusiasmo la guerra della NATO contro la Libia. Il 23 marzo e il 4 maggio il PD si è pronunciato molto favorevolmente in Parlamento agli attacchi della NATO.
Durante la seduta del 4 maggio, il leader del PD Pier Luigi Bersani ha proposto una mozione che obbliga il governo a “continuare nell’adottare ogni iniziativa necessaria ad assicurare una concreta protezione dei civili”. Ciò in seguito al testo della risoluzione Onu che ha dato il via libera alla guerra. Bersani ha detto: “vogliamo capire anche se la maggioranza è in grado di garantire gli impegni?presi”. La sua mozione è stata portata a termine con una larga maggioranza, con l’astensione della coalizione di governo.
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ex funzionario di lunga data del PCI, ha giustificato la partecipazione italiana nella guerra, dicendo: “non siamo entrati in guerra. La carta delle nazioni unite prevede un capitolo, il settimo, il quale nell’interesse della pace ritiene che siano da autorizzare anche azioni volte, con le forze armate, a reprimere le violazioni della pace”.
Intervistato dal quotidiano Il Manifesto per chiedere spiegazioni su quanto ciò fosse compatibile con l’articolo 11 della costituzione italiana, che vieta la guerra contro altri popoli, Napolitano ha detto che “L’articolo 11 della Costituzione deve essere letto e correttamente interpretato nel suo insieme. Partecipando alle operazioni contro la Libia sulla base della risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, l’Italia non conduce una guerra nè per offendere la dignità di altri popoli, nè per risolvere controversie internazionali”.
Politici come Fausto Bertinotti (Rifondazione Comunista che ha guidato fino al 2006) e Nichi Vendola (Sinistra Ecologia Libertà) hanno dato supporto alla borghesia italiana. Nessuno sa meglio come oscurare i fatti, con la tipica giustificazione “umanitaria” e la “difesa della democrazia” per la guerra, di questi maestri dell’inganno politico.
Fausto Bertinotti ha scritto sul suo sito web che l’opposizione anti-Gheddafi deve essere difesa. “Il pacifismo non è un concetto che è scolpito nella pietra”, ha detto, aggiungendo che esso deve essere “flessibile”. Cari finti sinistroidi non solo permettete guerre , stragi, invasioni ma poi mentite affermando che gli autori del male sono altri
Questo articolo e questo video di Mauro Mellini
,tratta del grave atto di ALTO TRADIMENTO compiuto dal Presidente
della Repubblica Napolitano,che acconsenti' alla invasione della Libia,e
alla uccisione di Gheddafi,da parte di Francesi e Inglesi.Tale atto
criminale venne iniziato su bugie francesi e fu fondamentale per la
caduta dolosa del Governo di Silvio Berlusconi e per la debacle della economia italiana. Alto Tradimento L’Italia, già lo sapevamo, era
stata “parte lesa” nella vicenda del dissennato attacco alla Libia di
sette anni fa con il quale Francia ed Inghilterra distrussero lo Stato
tenuto assieme dal grottesco dittatore Gheddafi, che tuttavia era
l’unico Stato africano affidabile sotto diversi punti di vista
(funzionava l’accordo con l’Italia, per limitare e filtrare l’ondata
migratoria ed ottimi erano i molti rapporti in fatto di rifornimenti
energetici).
Parte lesa di una brutale e sciocca spoliazione
soprattutto francese dei nostri beni ed interessi, o, piuttosto,
dovremmo dire, vandalica distruzione, perché la Francia si ritrova ora
con in mano una economia disastrata di un Paese disgregato.
Ma
la storia di quella sciagurata vicenda di violenta politica neocoloniale
ha arrecato all’Italia, danni ancora più gravi e, se le responsabilità
dei governanti francesi e britannici sono gravi ed imperdonabili e gravi
è la responsabilità del Presidente americano Barack Obama, convinto a
consentire l’aggressione da Hillary Clinton, Segretaria di Stato Usa, da
noi le responsabilità del più clamoroso errore in fatto di politica nei
Paesi ex coloniali si intreccia con un’altra vergognosa vicenda, nella
quale un altro Presidente della Repubblica, quello italiano, che,
diversamente da Nicolas Sarkozy non è stato messo in stato di fermo, ha
avuto un ruolo non secondario, che, secondo la nostra Costituzione (che
non trova riscontro nel Codice penale) è definibile sicuramente come
altro tradimento.
Giorgio Napolitano fu il fautore accanito e
spregiudicato della riluttante adesione italiana all’assalto alla Libia
(utilizzazione delle basi e “apertura” dello spazio aereo). Napolitano,
ex esponente, anche se non di primissimo piano, del Partito Comunista
Italiano, si era ritrovato a godere della qualifica di “democratico”
senza aver dovuto cambiare appartenenza e (formalmente) opinione,
semplicemente perché volentieri fu regalato al Partito Comunista, magari
con un’etichetta un po’ modificata, quella qualifica di cui egli, poi,
fruttuosamente si avvalse per la sua carriera politica. La sua
responsabilità nella vicenda libica non è solo quella di avere sostenuto
la tesi dell’aggressione al di là delle posizioni e opinioni del
Governo in carica (cosa che è, almeno, una grave scorrettezza
costituzionale). In questi giorni testimoni che seguirono da vicino i
contatti e i contrasti tra Napolitano e Berlusconi, Presidente del
Consiglio, assolutamente contrario e poi riluttante di fronte alle
insistenze del capo dello Stato, attestano che Napolitano “fece valere”
il suo ruolo di capo delle Forze armate. Che un Presidente della
Repubblica, esponente e simbolo dell’unità nazionale, si avvalga di un
ruolo particolare e di un particolare apparato dello Stato per imporre
al Governo, responsabile di fronte al Parlamento, decisioni, tra
l’altro, in un campo diverso da quello oggetto delle funzioni connesse a
tale ruolo, è di per sé un comportamento eversivo.
Ma non
basta. Napolitano si avvalse, per imporre la sua volontà a Berlusconi,
di mezzi e personaggi che stavano dando prova di slealtà e di disinvolte
prevaricazioni. Un modo certamente ambiguo (almeno) lo ebbe Franco
Frattini, ministro degli Esteri (quello che, nella “Navicella” dei
Parlamentari, aveva la singolare annotazione: “ama le arrampicate”).
Pare che Frattini si ripromettesse di ricavare da questo suo “remar
contro” la posizione del governo di cui faceva parte, la nomina a
Segretario generale della Nato. Tutti i gusti sono gusti. Frattini è un
magistrato, consigliere di Stato. Si direbbe che non gli è andata bene. È
tornato a fare il suo mestiere.
Ma un vero e proprio concorso
in un reato contro il libero esercizio delle funzioni di Presidente del
Consiglio per vincerne la riluttanza a dare una mano all’aggressione
anglo-francese lo ebbe la Magistratura Ordinaria. I magistrati e le
magistrate delle Procure e dei Tribunali di mezza Italia, impegnati in
una frenetica operazione di rottamazione e di demonizzazione di
Berlusconi. Il Partito dei Magistrati aveva per suo conto già ridotto
Berlusconi in una condizione tale da non potere affrontare uno scontro
aperto con un capo dello Stato che dimostrava di “giuocare sporco”. Non
c’è bisogno di accertare se, in quella contingenza, vi furono appositi e
specifici contatti del Quirinale con esponenti della Magistratura. Né
vi è bisogno di fare ricorso alla figura giuridica (si fa per dire) del
“concorso esterno”. È singolare che la magistratura, che ha una
particolare propensione per l’affermazione della esistenza di fumosi
complotti e di malefatte di ogni genere dei poteri forti, in questo caso
in cui il complotto con lo straniero è provato e se ne conoscono i
responsabili, non abbia sollevato il benché minimo sospetto al riguardo.
E non è un caso che di questo attentato vero alla Costituzione e di
questo vero tradimento del nostro Paese, il Partito dei Magistrati, sia
stato, invece, parte corresponsabile di primo piano.
Che cosa
si ripromettesse Napolitano, oltre alla rottamazione di Berlusconi e dal
suo definitivo accantonamento, non lo sappiamo. Del resto è abbastanza
naturale che egli cercasse anche sul piano internazionale, di vedere
apprezzato il suo recente e fragile presagio all’Occidente (certo non al
meglio di esso).
Anche se l’“Alto tradimento”, cui fa
riferimento l’articolo 90 della Costituzione non trova nel Codice penale
una collocazione e una specificazione che sarebbero state opportune, è
certo che l’atteggiamento di Giorgio Napolitano in quella vicenda, sia
per il debordare dai limiti della sua pure altissima funzione, sia per
quel gravissimo ricorso che egli avrebbe fatto al ruolo di capo delle
Forze armate per costringere il responsabile del Governo e della
politica generale del Paese a desistere da ogni riluttanza ad un atto di
guerra, sia perché così operando erano favoriti interessi stranieri e
danneggiati quelli economici e politici del nostro Paese, è chiaro che
si è trattato di alto tradimento. Oggi 23 marzo 2018, il responsabile di quel reato presiede, come il
senatore più anziano, il Senato nella sua prima seduta della nuova
legislatura. È fuori del Parlamento, “in castigo”, la vittima
“personale” del tradimento: Silvio Berlusconi. Che, se è colpevole, è
colpevole di non aver gridato alto e forte che il crimine veniva
commesso. Contro di lui, ma anzitutto contro l’Italia.
Libia, via libera alla Camera per la missione La maggioranza salva per un pugno di voti
Camera - informativa urgente del Governo su guerra in Libia
Passa alla Camera, come già successo al Senato, la mozione di
maggioranza Pdl-Lega e quella delle opposizioni sulla partecipazione
italiana alla missione italiana in Libia. Sette voti, questo l’esiguo
scarto con cui oggi è stata approvata alla Camera la risoluzione di Pdl e
Lega per la missione in Libia. A salvare il governo sono state le
assenze di alcuni deputati cattolici dell’opposizione come Gero Grassi e Tommaso Ginoble del Pd e Savino Pezzotta
dell’Udc. Ma anche quelle di 5 deputati finiani. In tutto, tra
giustificati e non, sono mancati all’opposizione 12 voti che avrebbero
determinato la bocciatura la risoluzione della maggioranza.
“Il Partito democratico ha scommesso su un passo falso del governo e
della maggioranza sulla crisi libica alla Camera e ha perso”, dichiara
il ministro della Difesa, Ignazio La Russa,
commentando l’esito del voto sulle risoluzioni presentate alla Camera.
“Dal centrosinistra – aggiunge La Russa – ci saremmo aspettati un voto
non contrario sulla nostra mozione visto che mercoledì, al Senato,
aveva votato a favore. Ma oggi il Pd ha votato contro, mentre mercoledì
a Palazzo Madama non ha partecipato alla votazione. Il motivo è chiaro:
ancora una volta il Partito democratico ha giocato la carta sbagliata,
ha pensato che noi non potessimo raggiungere la maggioranza, facendo
un gioco sporco su un tema come questo che non bisognerebbe trascinare
nelle polemiche di politica interna. Ancora una volta hanno sbagliato
i calcoli, perché ancora una volta il governo ha avuto i numeri”.
A ribattere al ministro è Massimo D’Alema che a nome
del Pd replica che è stata proprio “l’opposizione” a farsi “carico di
una responsabilità per il Paese. Siamo stati noi, di fronte ad una
polemica assenza di settori della maggioranza”, ovvero la Lega, “che
abbiamo provveduto ad assicurare il sostegno parlamentare nelle
commissioni Esteri e Difesa”. “Siamo noi – aggiunge D’Alema – a
sostenere la mozione che in modo più ampio e meno condizionato sostiene
l’azione del governo e concede ampio mandato. Strano paradosso, la
maggioranza vuole imporre vincoli, alcuni cervellotici, e l’opposizione
chiede che l’Italia si impegni in modo pieno e senza riserve nell’azione
internazionale”. Come il Pd anche l’Udc critica la gestione del
governo della crisi libica e Pier Ferdinando Casini stigmatizza l’assenza del premier Berlusconi oggi alla Camera e ieri al Senato:
“Chi guida un Paese, ci mette la faccia, nei momenti facili come in
quelli difficili, nella bella come nella cattiva sorte. Oggi, come ieri
al Senato, questo Paese meritava la presenza del presidente del
Consiglio”. Il leader dell’Idv Di Pietro contesta anche
lui duramente il fatto che, in occasione di un dibattito di siffatta
importanza sulla questione militare libica, il premier non fosse
presente in aula, tacciandolo di essere “un coniglio”.
Il via libera del Parlamento è stato accolto comunque con soddisfazione dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
“Nel Parlamento – dichiara il capo dello Stato – si è espressa una
convergenza fondamentale, nonostante le diversità delle posizioni e
questo significa aver compreso che il paese non poteva restare
indifferente alla repressione di un moto di indipendenza e di giustizia
sociale” Una convergenza, ribadisce il presidente, che “nonostante le
diversità è stata molto significativa e importante”. Così come la
missione che l’Italia sta svolgendo, insiste ancora una volta
Napolitano, rientra “pienamente dentro la Carta dell’Onu”
Napolitano, il golpe 2011 e la guerra in Libia. Crosetto lo sputtana: "Ero contrario, mi fece sbattere fuori"
"Lei ora esca di qua". Un nuovo tassello nel tragico mosaico del 2011 a firma Giorgio Napolitano. È marzo, si stanno ponendo le basi politiche del "golpe" contro il governo di Silvio Berlusconi. L'allora presidente della Repubblica obbliga il Cavaliere a scendere in guerra contro la Libia di Gheddafi,
per "allinearci con gli altri in Europa". Berlusconi non è l'unico
contrario all'opzione militare. Tutto avviene in una convulsa riunione
d'emergenza convocata al teatro dell'Opera di Roma, il 17 marzo. Sono
presenti, oltre a Napolitano e Berlusconi, il suo consigliere
diplomatico Bruno Archi, Gianni Letta, il presidente del Senato Renato Schifani, il ministro della Difesa Ignazio La Russa, con quello degli Esteri Franco Frattini collegato da New York.
C'era anche Guido Crosetto, all'epoca
sottosegretario alla Difesa. "Mi buttarono fuori dalla stanza quando
dissi che la guerra in Libia era una pazzia totale, ne avremmo pagato le
conseguenze. In quel momento chi ricopriva la più alta carica
istituzionale in quella stanza mi fece accompagnare fuori. Fu Giorgio
Napolitano". Al Fatto quotidiano l'ex Pdl, oggi candidato con Fratelli d'Italia,
entra nel dettaglio: "Ho detto, come iperbole, che ci mancava solo che
facesse chiamare i carabinieri. Ero contrario all'intervento e ho
ricordato anche le perplessità dello Stato maggiore:
gli unici contrari alla partecipazione italiana all'intervento eravamo
io e Silvio Berlusconi. A quel punto Giorgio Napolitano mi ha detto di
andarmene perché non avevo titolo a stare lì. Insomma, mi ha buttato
fuori". Le perplessità dei vertici militari erano relative al
Dopoguerra: "Il Paese spaccato e in mano alle tribù, la
destabilizzazione dell'area anche dal punto di vista dei fenomeni
migratori. Cioè quello che abbiamo visto da allora a oggi". Quisquilie,
per Re Giorgio
ROMA
Quirinale, Palazzo Chigi, maggioranza e opposizione: il mondo
istituzionale e politico si schiera in favore della partecipazione
dell’Italia ad un’eventuale coalizione che consenta l’applicazione della
"no fly zone" decisa dalle Nazioni Unite, ma con due vistose eccezioni
al voto in Parlamento: l’assenza della Lega Nord di Bossi e l’astensione
dell’Italia dei Valori di Di Pietro.
Berlusconi cauto
Ma
anche fra chi si convince della necessità di questo passo difficile, si
colgono sfumature diverse: Silvio Berlusconi, ad esempio, si schiera in
favore di una linea che potrebbe portare i caccia italiani a bombardare
la Libia, ma con un "disagio" che il Cavaliere in privato non nasconde.
La preoccupazione del capo del governo, racconta chi ha potuto
ascoltarlo, nasce da una riflessione che è così riassumibile: rischiamo
di entrare in guerra con un Paese con il quale fino a qualche settimana
fa c’era un trattato di amicizia; il nostro Paese, inoltre, è certamente
quello più esposto alle possibili ritorsioni di Gheddafi, sia sotto il
profilo dei flussi migratori che sotto quello di rappresaglie militari.
Lo strappo del Carroccio
Bossi
fa sapere che la Lega è più vicina alle posizioni caute della Germania
(«siamo perplessi»), che non a quelle interventiste di Francia o Gran
Bretagna. E Calderoli, l’unico leghista presente in Cdm, dà seguito a
tale posizione astenendosi. La svolta arriva nel pomeriggio: il Governo
ritiene «indispensabile» autorizzare ogni opportuna iniziativa, compresa
«la concessione in uso di basi militari esistenti sul territorio
nazionale», recita il comunicato in cui si precisa che «ogni decisione
viene adottata in accordo» con il Quirinale e che il Parlamento sarà
«costantemente informato». E così avviene: La Russa e Frattini si recano
in Senato per ottenere il via libera della commissione congiunta Esteri
e Difesa. Cosa che avviene in modo piuttosto rapido.
Il voto
Il
ministro degli Esteri spiega che la partecipazione attiva può tradursi
nell’uso di «basi e non solo». La Russa fa capire che l’Italia è pronta a
raid aerei. La Lega non partecipa al voto, l’Idv si astiene. La stessa
scena si ripete a Montecitorio dove però mancano anche i deputati di
"Iniziativa Responsabile". Solo per problemi «logistici» si affretta a
precisare il capogruppo, Luciano Sardelli. Il Pdl tenta di
ridimensionare l’assenza del Carroccio, ma è evidente il tentativo di
Bossi di smarcarsi dal Pdl. Una distanza resa ancor più evidente
dall’atteggiamento dell’opposizione: il Pd, con Pier Luigi Bersani, si
dicono pronti a sostenere il ruolo attivo dell’Italia, anche se Massimo
D’Alema, un pò come Berlusconi, chiede l’intervento della Nato a
protezione della Penisola. Anche il Terzo Polo, infine, sostiene la
linea del governo, ma chiede al governo chiarezza sulla posizione del
Carroccio.
Le tensioni nel governo
Anche
il governo, sempre a Montecitorio, si fa attendere oltre un’ora e alla
fine, dopo il voto, il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi,
conversando con i cronisti, non risparmia critiche alla Lega affermando
che, se si hanno tanto a cuore le sorti delle «imprese del Nord»,
bisognerebbe occuparsi anche degli sbocchi che si possono garantire a
queste ultime nel Mediterraneo prendendo a cuore il benessere delle
popolazioni di paesi come la Libia. E mentre il centrodestra si divide,
come ribadisce l’opposizione, l’Idv si astiene perchè, come spiega Fabio
Evangelisti, è assurdo da parte del governo chiedere di votare la
risoluzione dell’Onu senza prima aver detto con chiarezza ed
esplicitamente che il Trattato bilaterale firmato da Gheddafi e
Berlusconi è decaduto visto che nel testo si prevede, tra l’altro,
l’impegno dell’Italia a non mettere mai a disposizione le basi militari
per attacchi contro la Libia. I dipietristi, così, presentano una
risoluzione di minoranza nella quale si dà parere favorevole a quella
dell’Onu, ma prima si chiede che l’esecutivo prenda posizione sul
Trattato. In commissione però il documento viene respinto.
Sul piatto navi, aerei e basi militari
L'Italia
metterà quindi a disposizione almeno cinque navi, sette basi e
cacciabombardieri in grado di distruggere le postazioni antiaeree quando
scatterà la "No fly zone" sulla Libia. «Non ci limiteremo a dare le
chiavi di casa nostra ad altri perchè ne facciano quello che ritengono
più opportuno», ha detto in Parlamento il ministro della Difesa, Ignazio
La Russa. Insomma, non solo basi. L’Italia, ha infatti sottolineato La
Russa nelle sue comunicazioni alle Commissioni riunite di Camera e
Senato, dispone di «una forte capacità di neutralizzare radar e ipoetici
avversari» in Libia «e su questo potrebbe esserci una nostra
iniziativa: possiamo intervenire in ogni modo», ha detto. «L’Aeronautica
militare è a disposizione per evitare che la popolazione civile subisca
bombardamenti».
«Autorizzato l'utilizzo della forza»
In
serata anche il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha ribadito il
concetto: «La violazione della no fly zone - ha detto - farebbe scattare
l’attacco a postazioni radar, o a postazioni militari di contraerea» e,
dovendo svolgere questo compito, «i mezzi italiani non sono da meno
degli altri». Si tratta di quella che tecnicamente viene chiamata
capacità SEAD, cioè "soppressione delle difese aeree nemiche": è ciò che
l’Italia ha già fatto con i raid aerei in Kosovo e che potrebbe
apprestarsi a ripetere in Libia. Questa volta non con la Germania, come
avvenne nei Balcani, ma insieme ad altri Paesi dotati di "assetti
idonei", Usa e Gran Bretagna in testa. «Se la Nato organizzerà una "no
fly zone" - ha assicurato il ministro della Difesa - noi ci saremo, se
lo faranno altri Paesi noi parteciperemo». Discorso analogo per il
«blocco navale» volto a garantire l’embargo, che grazie alla risoluzione
approvata la scorsa notte «ha ora un titolo giuridico per l’utilizzo
della forza».
Le basi interessate
Di
questo dispositivo, sia se organizzato dalla Nato sia se frutto di
un’iniziativa multilaterale, l’Italia farà sicuramente parte con diverse
unità, già mobilitate a vario titolo in relazione alla crisi Libica. La
portaerei Garibaldi (con a bordo i caccia Av8) è salpata oggi da
Taranto per dislocarsi in Sicilia, mentre nave Libra attraccherà domani
in un porto libico con aiuti umanitari. Mobilitato anche il caccia
Andrea Doria, che si occuperà della difesa aerea, e due unità che sono
attualmente inserite nella Snmg1, la forza marittima della Nato: la
fregata Euro e il rifornitore Etna. Tornando alle basi aeree - che
secondo Frattini «saranno la chiave» per il successo dell’intervento
della coalizione internazionale in Libia - il ministro La Russa ha
spiegato che sono sette quelle messe a disposizione dall’Italia:
Amendola (dove sono schierati i caccia Amx e i velivoli senza pilota
Predator), Gioia del Colle (base dei nuovi caccia Eurofighter, schierati
anche a Grosseto), Sigonella e Aviano (due basi che servirebbero
essenzialmente ad ospitare ’assettì di altri Paesi), Trapani (aeroporto
specificatamente attrezzato per gli aerei radar Awacs e sede di caccia
intercettori F-16), Decimomannu (base logistica) e Pantelleria (la base
aerea più vicina alla Libia).
«Nessun limite restrittivo all’intervento»
L’Italia,
ha detto La Russa, metterà a disposizioni le basi non più solo per
operazioni umanitarie, ma per attività militari vere e proprie, «senza
alcun limite restrittivo all’intervento, se necessario per far
rispettare la risoluzione Onu» e salvaguardare i civili. Su questo, ha
osservato, non si può traccheggiare, «non possiamo dire "facciamo
questo, facciamo quello". Vogliamo contribuire a decidere che cosa si
deve fare e una volta deciso vogliamo partecipare in pieno
all’attuazione di questa decisione». «Possiamo intervenire in ogni modo -
ha ripetuto il ministro della Difesa - con la sola tassativa esclusione
di interventi via terra. La risoluzione dell’Onu vieta nella maniera
più tassativa questa possibilità: quindi non solo per noi, ma per
chiunque, non ci sarà concorso di fanteria, di carri armati, di Lince,
di mezzi. Sul territorio libico non ci andrà nessuno»
Libia, le carte di Hillary Clinton: "La Francia distrusse l'Italia"
La
guerra che portò il caos in Libia venne scatenata dai francesi con
l'avallo degli americani. L'obiettivo era uno solo: affermare la potenza
transalpina ed eliminare ogni influenza italiana nel Maghreb
La guerra di Libia - un'altra - cent'anni dopo. Correva l'anno 2011, i dodici mesi che cambiarono il mondo ma sopratutto la storia d'Italia.
Eravamo ormai abituati a ricordarlo come l'anno della caduta del governo Berlusconi IV
e dell'arrivo dell'ultra-europeista Mario Monti a Palazzo Chigi dopo
mesi di attacchi politici e finanziari (non senza speculazioni assai
poco trasparenti). Tutti ricordiamo gli insopportabili risolini di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy al
Consiglio Europeo del 23 ottobre 2011. Ebbene, ora su quei giorni
cruciali potremmo apprendere qualcos'altro. Se possibile, qualcosa di
ancora più inquietante. Come ha rilevato Scenarieconomici, spulciando fra le mail dell'allora Segretario di Stato Usa Hillary Clinton si scopre che l'attacco internazionale che portò alla caduta del regime di Muhammar Gheddafie
all'uccisione del Colonnello venne lanciato solo ed esclusivamente per
rispondere a precisi interessi geostrategici francesi, con l'avallo
statunitense. A tutto detrimento degli interessi italiani. Certo, sapevamo già che la guerra voluta da Sarkozy era un mezzo per estromettere il nostro Paese dal controllo del petrolio libico, ma vederlo scritto nero su bianco resta comunque impressionante. E
allora vediamo cosa contengono, quelle mail famigerate. Il 2 aprile del
2011 l'attuale candidata democratica alla Casa Bianca riceveva un
messaggio dal suo consigliere per il Medio Oriente Sidney Bluementhal
dai toni assai espliciti. Da quelle righe emerge infatti che il
presidente francese dell'epoca, Sarkozy, ha finanziato e aiutato in ogni
modo le fazioni anti gheddafiane con denaro, armi e
addestratori, allo scopo di strappare più quote di produzione del
petrolio in Libia e rafforzare la propria posizione tanto sul fronte
politico esterno quanto su quello geostrategico globale. Di più. A motivare definitivamente la decisione dell'Eliseo di entrare nel conflitto sarebbe stato il progetto del raìs di soppiantare il franco francese africano con una nuova divisa pan-africana,
nell'ottica di un'ascesa della Libia come potenza regionale in grado di
raccogliere intorno a sè un'alleanza regionale di Stati. Sostituendo
così proprio la Francia, a suon di oro e di argento (Gheddafi ne avrebbe
conservate poco meno di trecento tonnellate). Le conseguenze dell'intervento sono storia nota, con la Libia precipitata in un'atroce guerra civile, l'Isis che spadroneggia sulle coste meridionali del Mediterraneo e un'ondata di migranti
senza precedenti che si riversa sulle nostre coste. All'epoca l'Italia,
all'oscuro di tutto, prese addirittura parte alla guerra contro
Gheddafi, sia pure a malincuore. Ora però è chiaro che quella
manovra, insieme all'attacco speculativo portatoci dalla Germania, aveva
un solo obiettivo: l'Italia. Che ancora oggi ne sconta le terribili
conseguenze.
Libia, via libera alla Camera per la missione La maggioranza salva per un pugno di voti
Camera - informativa urgente del Governo su guerra in Libia
Passa alla Camera, come già successo al Senato, la mozione di
maggioranza Pdl-Lega e quella delle opposizioni sulla partecipazione
italiana alla missione italiana in Libia. Sette voti, questo l’esiguo
scarto con cui oggi è stata approvata alla Camera la risoluzione di Pdl e
Lega per la missione in Libia. A salvare il governo sono state le
assenze di alcuni deputati cattolici dell’opposizione come Gero Grassi e Tommaso Ginoble del Pd e Savino Pezzotta
dell’Udc. Ma anche quelle di 5 deputati finiani. In tutto, tra
giustificati e non, sono mancati all’opposizione 12 voti che avrebbero
determinato la bocciatura la risoluzione della maggioranza.
“Il Partito democratico ha scommesso su un passo falso del governo e
della maggioranza sulla crisi libica alla Camera e ha perso”, dichiara
il ministro della Difesa, Ignazio La Russa,
commentando l’esito del voto sulle risoluzioni presentate alla Camera.
“Dal centrosinistra – aggiunge La Russa – ci saremmo aspettati un voto
non contrario sulla nostra mozione visto che mercoledì, al Senato,
aveva votato a favore. Ma oggi il Pd ha votato contro, mentre mercoledì
a Palazzo Madama non ha partecipato alla votazione. Il motivo è chiaro:
ancora una volta il Partito democratico ha giocato la carta sbagliata,
ha pensato che noi non potessimo raggiungere la maggioranza, facendo
un gioco sporco su un tema come questo che non bisognerebbe trascinare
nelle polemiche di politica interna. Ancora una volta hanno sbagliato
i calcoli, perché ancora una volta il governo ha avuto i numeri”.
A ribattere al ministro è Massimo D’Alema che a nome
del Pd replica che è stata proprio “l’opposizione” a farsi “carico di
una responsabilità per il Paese. Siamo stati noi, di fronte ad una
polemica assenza di settori della maggioranza”, ovvero la Lega, “che
abbiamo provveduto ad assicurare il sostegno parlamentare nelle
commissioni Esteri e Difesa”. “Siamo noi – aggiunge D’Alema – a
sostenere la mozione che in modo più ampio e meno condizionato sostiene
l’azione del governo e concede ampio mandato. Strano paradosso, la
maggioranza vuole imporre vincoli, alcuni cervellotici, e l’opposizione
chiede che l’Italia si impegni in modo pieno e senza riserve nell’azione
internazionale”. Come il Pd anche l’Udc critica la gestione del
governo della crisi libica e Pier Ferdinando Casini stigmatizza l’assenza del premier Berlusconi oggi alla Camera e ieri al Senato:
“Chi guida un Paese, ci mette la faccia, nei momenti facili come in
quelli difficili, nella bella come nella cattiva sorte. Oggi, come ieri
al Senato, questo Paese meritava la presenza del presidente del
Consiglio”. Il leader dell’Idv Di Pietro contesta anche
lui duramente il fatto che, in occasione di un dibattito di siffatta
importanza sulla questione militare libica, il premier non fosse
presente in aula, tacciandolo di essere “un coniglio”.
Questo disastro è figlio della guerra in Libia, caldeggiata dal PD. Bossi e la Lega erano contrari
La
fortuna di molti politici italiani è che circolano parecchi giornalisti
mediamente pigri e distratti, o comunque ben lontani dall’adottare un
rigido sistema di fact checking. E dev’essere proprio all’interno di
questa triste cornice che ha preso piede un brutto andazzo, quello di
raccontarsela un po’ come più fa comodo, facendosi beffe della realtà,
della storia e pure del minimo senso del pudore che ognuno di noi
farebbe bene a conservare. Clamoroso, per esempio, l’epic fail (che
tradotto, per noi che amiamo frequentare i Bar, sarebbe: una’epica
figura di mexxa!!!) di cui è stato protagonista questa mattina
l’onorevole Fiano, Partito Democratico. Potete gustarvelo qui:
Mentre Massimo de Manzoni di Libero ricordava la demenzialità della
scelta di intervenire militarmente in Libia nel 2011, Fiano lo
interrompeva con eccessivo sarcasmo, addirittura tracotanza: “non mi
ricordo di editoriali di Libero che criticavano l’intervento in Libia”,
apostrofava il sinistro. Facendo così intendere che tutta la vicenda
andrebbe ascritta solo e soltanto alle forze di centro destra e a
Berlusconi. E soprattutto dando in fondo dei cialtroni a quelli di
Libero. Fiano era particolarmente baldanzoso e sicuro nell’invettiva,
anche perché seguiva passo passo lo spartito piddino di questi ultimi
giorni, quelli post “strage degli 800 naufraghi”: far intendere che
l’intervento in Libia fosse responsabilità delle “destre guerrafondaie” e
di conseguenza è colpa del centro destra se arrivano oggi immigrati a
centinaia di migliaia, e in ultima istanza è ancora colpa del centro
destra se poi molti, troppi, muoiono. Gli ex comunisti, va riconosciuto,
hanno una particolare capacità nel confezionare versioni revisionate
della storia. Ma questa è appunto un’altra storia.
Solo che per grande sfortuna di Fiano, de Manzoni è un giornalista
serio e che evidentemente conosce i suoi “polli”; era preparato a
rispondere e con rara prontezza ha sparato in faccia al povero onorevole
un eloquente titolo a nove colonne di Libero: “Guerra da matti”,
stampato proprio il giorno dopo della decisione di muovere guerra a
Gheddafi. Da li in avanti si è udito solo un forte rumore di sfregamento
sugli specchi…
Questo divertente episodio mi da però l’occasione per ricordare come
andarono veramente le cose quel marzo del 2011, e andarono molto
diversamente dalla odierna vulgata piddina. LE PRIMAVERE ARABE E TWITTER
Due parole sul contesto. In quel periodo, tra la fine del 2010 e
l’inizio del 2011, eravamo in piena sbornia da “Primavere Arabe”. Tanti
uomini dell’intelligencija di sinistra erano esaltati, elettrizzati, a
tratti estasiati per i moti rivoluzionari; quelli guidati da giovani che
armati di twitter e a colpi di cinguettii facevano cadere regimi
sanguinari. Si, come no! Naturalmente niente fu più lontano dalla
verità, ma si sa che specialmente gli ex comunisti sono facili a credere
alle favole (del resto hanno creduto al comunismo). Il disastro delle
famose primavere arabe lo scoprimmo solo molto più tardi.
Ed è appunto in questo clima di euforia, fatto anche di tanta
nostalgia per la “revolucion”, che l’opinione pubblica italiana fu
portata a credere che non si poteva non intervenire, militarmente
s’intende, soprattutto in Libia (chissà perché solo lì?) contro il
sanguinario dittatore di turno. Che poi, in questo caso, era lo stesso
sanguinario dittatore con cui l’Italia aveva già firmato diversi
accordi, alcuni ancora validi pure nel momento dell’attacco. LA GUERRA DI NAPOLITANO
La guerra alla Libia iniziò ufficialmente il 19 marzo, di fatto su
iniziativa della Francia che spingeva da giorni per arrivare alla caduta
di Gheddafi per mezzo di un intervento militare.
E il governo italiano, e Berlusconi? IL Cavaliere era tutt’altro che
favorevole, non tanto per l’antica amicizia con il dittatore libico, ma
perché era evidente come fosse l’Italia quella che aveva più da perderci
nell’ipotesi militare. Ma da giorni il governo riceveva pressioni,
sempre più insistenti, soprattutto dal Capo di Stato; proprio quel
Napolitano che fu poi determinante nella cacciata di Silvio, pochi mesi
dopo.
Rileggendo le cronache di quei giorni, come questo articolo del 18 marzo (il giorno prima dell’attacco) sul Corriere.it, il ruolo del Presidente della Repubblica emerge attraverso parole eloquenti
Faremo quello che è necessario anche noi
Ma Berlusconi non è convinto dell’intervento, tanto che il 19 marzo così titola la Stampa, in un puntuale articolo firmato da Ugo Magri: “Libia,
Napolitano: Non possiamo restare indifferenti alla repressione – Il
ruolo decisivo del Colle per superare i dubbi del premier”
All’interno vengono ricostruiti i momenti decisivi in cui il Governo e
Berlusconi si sarebbero convinti di appoggiare l’intervento militare.
Così scrive Magri:
nessuno degli sviluppi successivi sarebbe stato possibile
senza l’intervento di Napolitano. Il suo richiamo alle «decisioni
difficili» attese nella giornata di ieri, ma soprattutto l’appello a
valori più alti della pura realpolitik («non lasciamo calpestare il
Risorgimento arabo») hanno avuto l’effetto di sgombrare il campo da
ostacoli su cui Berlusconi sembrava destinato a inciampare
Il famoso “Risorgimento arabo”, si vabbè! Insomma, appare chiaro ed
evidente come fu decisivo l’intervento di Napolitano e il suo pressing
perché l’Italia entrasse in guerra contro la Libia. E per i più
distratti lo voglio ricordare: Giorgio Napolitano non è della Lega Nord,
nemmeno di Forza Italia. È del Partito Democratico. LA LEGA CONTRARIA ALL’INTERVENTO
Abbiamo detto che Berlusconi era titubante, ma nel governo e nella
maggioranza c’era addirittura chi era palesemente contrario, e non fece
nulla per nasconderlo. Chi? Bossi e la Lega Nord, che ancora una volta
ci avevano visto lungo, gli unici tra tanti.
Questa la dichiarazione di Umberto Bossi, riportata su Repubblica.it nell’edizione on line del 19 marzo 2011:
Ci sono ministri che parlano a vanvera. E le decisioni
prese dal governo non sono state rispettate. Ora rischiamo di perdere
petrolio e gas e di essere invasi da milioni di profughi. Certe volte il
vero coraggio è la cautela, rischiamo di prenderla in quel posto se
continua così
Parole dure, ma soprattutto chiare e nette, tipiche di Bossi quando si vuole far capire, senza tanti giri di parole.
Concetto ripreso e ribadito anche in questo intervento pubblico a Erba dello stesso Umberto Bossi:
Libia, i tornado italiani bombardano Lega furibonda. Berlusconi al Quirinale
ROMA - Via ai bombardamenti dei tornado italiani sulla Libia. � stata effettuata oggi la prima missione dei caccia italiani armati di bombe sulla Libia.Alla missione ha partecipato una coppia di Tornado Ids della base di Trapani Birgi, scortati da due Eurofighter. Una missione, durata un paio d'ore: nessun particolare sull'armamento utilizzato e sugli obiettivi. Ai Tornado sarebbero stati assegnati dei target nell'area di Misurata. Intanto lo Stato maggiore della Difesa annuncia che sono atterrati all'aeroporto di Bengasi gli istruttori italiani «destinati ad operare, insieme con i colleghi britannici e francesi, a sostegno del personale libico operante nel costituendo comando operativo del CNT (Consiglio Nazionale Transitorio)».
«Di male in peggio» è il commento del ministro leghista Calderolisui primi raid armati italiani. «Solo quattro parole», come precisa l'esponente leghista che però evidenziano che lo scontro tra Carroccio e Pdl sulla missione militare libica è ancora molto aspro.
Bossi: «Io non voglio certo far saltare il governo. Speriamo di trovare una quadra con Berlusconi, magari cambia idea. Non vogliamo far cadere il Governo per la Libia. Alla sinistra interessa farlo cadere nell'illusione di andare al governo lei, ma la sinistra al governo non ci andrà mai - ha detto il leader della Lega in serata a Domodossola - Secondo me con gli aerei non vinci. Gheddafi ha un sacco di armi nascoste nel deserto e un sacco di oro per pagare i soldati. Io sono contrario ai bombardamenti: se butti bombe e missili gli immigrati aumentano e questo non va bene perchè costa troppo. Non vorrei che, quando è finita, ci dovesse toccare anche pagare i danni di guerra».
«Speriamo di no», ha poi risposto Bossiai giornalisti che gli chiedevano se ci sarà una crisi di Governo.
«Tra i nostri amici annoveriamo tale Tremonti - ha aggiunto Bossi- Meno male che c'è lui perchè Berlusconi per parte sua spenderebbe tutto. Povero Berlusconi: è rimasto un po' scombussolato dalle richieste di Sarkozy. Questa guerra l'ha preparata Sarkozy e per non restare solo è saltato addosso a Berlusconi».
«L'Italia non si è inginocchiata davanti alla Francia. È esattamente il contrario», ha detto Silvio Berlusconiin una telefonata ad una convention per la presentazione del candidato sindaco del centrodestra a San Benedetto del Tronto Bruno Gabrielli. Rispondendo indirettamente a Bossi che nei giorni scorsi aveva criticato l'atteggiamento di sudditanza dell'Italia alle posizioni francesi, Berlusconi ha voluto sottolineare come «la bilancia commerciale è in attivo per noi» e che «ci sono 1.800 aziende italiane che lavorano bene in Francia. Abbiamo cercato di fare un patto, ma loro», ha concluso riferendosi alla sinistra, «continuano a ribaltare la realtà pur di darci addosso».
Berlusconi è stato ricevuto oggi pomeriggio al Quirinale. Al centro del colloquio con il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, i temi "caldi" della Libia e della situazione di Governo. Il presidente del Consiglio ha illustrato durante l'incontro, durato circa un'ora, i motivi delle decisioni del governo sugli sviluppi della partecipazione italiana alle operazioni militari in Libia. Il Presidente della Repubblica ne ha preso atto richiamandosi alle posizioni espresse nel suo intervento pubblico del 26 aprile, in coerenza con gli indirizzi dell'ultima riunione del Consiglio Supremo di Difesa. Lo rende noto un comunicato della presidenza della Repubblica. Il 26 aprile il Capo dello Stato aveva definito i nuovi impegni militari dell'Italia uno sviluppo naturale della scelta compiuta dall'Italia a metà marzo, secondo la linea fissata nel consiglio supremo di difesa e confortata da un ampio consenso in Parlamento. Berlusconi ha anche preannunciato la prossima nomina di sottosegretari in sostituzione di quanti hanno lasciato la compagine governativa.
Sarebbe una follia non fare tutto il possibile per evitare di precipitare verso una crisi di governomentre l'Italia è impegnata nella missione libica e ha problemi economici e internazionali da affrontare. L'esecutivo deve mostrare la necessaria compattezza. E' il succo delle raccomandazioni, secondo fonti della maggioranza, che Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano avrebbe fatto a Silvio Berlusconi, esprimendo la sua preoccupazione per la situazione politica in Italia. Il Presidente del Consiglio ha dato ampie assicurazioni sulla possibilità di ricucire i rapporti con la Lega, ha annunciato la volontà di nominare a breve nuovi sottosegretari e, in un secondo momento, di ampliare la compagine di governo. Su quest'ultimo aspetto, Napolitano avrebbe ricordato che per superare l'assetto attuale bisognerà cambiare il tetto numerico fissato dalla legge Bassanini con un provvedimento ad hoc ma non un decreto legge. In sostanza, niente misure d'urgenza ma ordinarie che dovranno avere un normale iter in Parlamento.
Alta tensione con la Lega.A far salire di nuovo la tensione fra la Lega e il premier erano state ieri le parole molto dure del ministro dell'Interno Roberto Maroni sulle decisioni del governo in merito ai raid mirati sulla Libia. «Siamo stati e siamo contrari ai bombardamenti e la posizione della Lega oggi non è cambiata rispetto a ieri, anche perché non ci sono state novità. Noi abbiamo sempre pensato che non sia con le cosiddette bombe intelligenti che si risolvono le questioni, l'unico modo intelligente è discutere. Ho parlato poco fa con Bossi, la linea della Lega sulla questione della Libia non cambia», ha detto Maroni.
«Bombe uguale più clandestini», è il titolo di oggi diprima pagina della Padania, ancora dedicato alla mossione italiana in Libia. «Il Carroccio non arretra e resta contrario all'intervento militare italiano», sottolinea ancora il quotidiano della Lega che chiarisce: «Nessun dietrofront. Il no leghista ai bombardamenti italiani in Libia resta tale e quale sul tavolo del governo».
Il premier si è detto sorpreso, amareggiato e perqualcuno anche irritato per le parole di Maroni. Chi era presente alla cena ha descritto così l'umore del presidente del Consiglio. Berlusconi, secondo le stesse fonti, ha sottolineato in particolare come il ministro dell'Interno dopo il vertice italo-francese di Villa Madama non abbia sollevato nessuna obiezione ed anzi fosse di ottimo umore. Da qui la sorpresa del Cavaliere. Che ha anche accusato il ministro dell'economia Giulio Tremonti di "tramare" alle sue spalle con il supporto della Lega.
«Altro che Libia e clandestini. Dietro la minaccia distrappo della Lega c'è soprattutto l'ira di Tremonti per la nomina, voluta da Berlusconi, del suo nemico storico Mario Draghi a capo della Bce, e per il via libera del premier alla scalata francese su Parmalat», scrive il direttore del Giornale Alessandro Sallusti nell'editoriale di oggi dal titolo: «Tremonti aizza la Lega».
«È doveroso che ci si assuma la responsabilità insede parlamentare» e «ci auguriamo che si realizzi una unità e che rientrino certe prese di posizione inconsulte». Così il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini spiega la scelta del Terzo Polo di presentare una mozione sull'intervento militare in Libia, sottolineando che «c'è un interesse nazionale che viene prima delle beghe politiche e delle campagne elettorali che Bossi vuole fare sostenendo quelle tesi». Il governo «è in stato confusionale, in stallo totale - aggiunge il leader dell'Udc - e sta umiliando il Paese, che ormai è privo di credibilità internazionale».
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