Camera - informativa urgente del Governo su guerra in Libia
Passa alla Camera, come già successo al Senato, la mozione di maggioranza Pdl-Lega e quella delle opposizioni sulla partecipazione italiana alla missione italiana in Libia. Sette voti, questo l’esiguo scarto con cui oggi è stata approvata alla Camera la risoluzione di Pdl e Lega per la missione in Libia. A salvare il governo sono state le assenze di alcuni deputati cattolici dell’opposizione come Gero Grassi e Tommaso Ginoble del Pd e Savino Pezzotta dell’Udc. Ma anche quelle di 5 deputati finiani. In tutto, tra giustificati e non, sono mancati all’opposizione 12 voti che avrebbero determinato la bocciatura la risoluzione della maggioranza.
“Il Partito democratico ha scommesso su un passo falso del governo e della maggioranza sulla crisi libica alla Camera e ha perso”, dichiara il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, commentando l’esito del voto sulle risoluzioni presentate alla Camera. “Dal centrosinistra – aggiunge La Russa – ci saremmo aspettati un voto non contrario sulla nostra mozione visto che mercoledì, al Senato, aveva votato a favore. Ma oggi il Pd ha votato contro, mentre mercoledì a Palazzo Madama non ha partecipato alla votazione. Il motivo è chiaro: ancora una volta il Partito democratico ha giocato la carta sbagliata, ha pensato che noi non potessimo raggiungere la maggioranza, facendo un gioco sporco su un tema come questo che non bisognerebbe trascinare nelle polemiche di politica interna. Ancora una volta hanno sbagliato i calcoli, perché ancora una volta il governo ha avuto i numeri”.
A ribattere al ministro è Massimo D’Alema che a nome del Pd replica che è stata proprio “l’opposizione” a farsi “carico di una responsabilità per il Paese. Siamo stati noi, di fronte ad una polemica assenza di settori della maggioranza”, ovvero la Lega, “che abbiamo provveduto ad assicurare il sostegno parlamentare nelle commissioni Esteri e Difesa”. “Siamo noi – aggiunge D’Alema – a sostenere la mozione che in modo più ampio e meno condizionato sostiene l’azione del governo e concede ampio mandato. Strano paradosso, la maggioranza vuole imporre vincoli, alcuni cervellotici, e l’opposizione chiede che l’Italia si impegni in modo pieno e senza riserve nell’azione internazionale”.  Come il Pd anche l’Udc critica la gestione del governo della crisi libica e Pier Ferdinando Casini stigmatizza l’assenza del premier Berlusconi oggi alla Camera e ieri al Senato: “Chi guida un Paese, ci mette la faccia, nei momenti facili come in quelli difficili, nella bella come nella cattiva sorte. Oggi, come ieri al Senato, questo Paese meritava la presenza del presidente del Consiglio”. Il leader dell’Idv Di Pietro contesta anche lui duramente il fatto che, in occasione di un dibattito di siffatta importanza sulla questione militare libica, il premier non fosse presente in aula, tacciandolo di essere “un coniglio”.
Il via libera del Parlamento è stato accolto comunque con soddisfazione dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. “Nel Parlamento – dichiara il capo dello Stato – si è espressa una convergenza fondamentale, nonostante le diversità delle posizioni e questo significa aver compreso che il paese non poteva restare indifferente alla repressione di un moto di indipendenza e di giustizia sociale” Una convergenza, ribadisce il presidente, che “nonostante le diversità è stata molto significativa e importante”. Così come la missione che l’Italia sta svolgendo, insiste ancora una volta Napolitano, rientra “pienamente dentro la Carta dell’Onu”
 


Napolitano, il golpe 2011 e la guerra in Libia. Crosetto lo sputtana: "Ero contrario, mi fece sbattere fuori"


Napolitano, il golpe 2011 e la guerra in Libia. Crosetto lo sputtana: "Ero contrario, mi fece sbattere fuori"
"Lei ora esca di qua". Un nuovo tassello nel tragico mosaico del 2011 a firma Giorgio Napolitano. È marzo, si stanno ponendo le basi politiche del "golpe" contro il governo di Silvio Berlusconi. L'allora presidente della Repubblica obbliga il Cavaliere a scendere in guerra contro la Libia di Gheddafi, per "allinearci con gli altri in Europa". Berlusconi non è l'unico contrario all'opzione militare. Tutto avviene in una convulsa riunione d'emergenza convocata al teatro dell'Opera di Roma, il 17 marzo. Sono presenti, oltre a Napolitano e Berlusconi, il suo consigliere diplomatico Bruno Archi, Gianni Letta, il presidente del Senato Renato Schifani, il ministro della Difesa Ignazio La Russa, con quello degli Esteri Franco Frattini collegato da New York.


C'era anche Guido Crosetto, all'epoca sottosegretario alla Difesa. "Mi buttarono fuori dalla stanza quando dissi che la guerra in Libia era una pazzia totale, ne avremmo pagato le conseguenze. In quel momento chi ricopriva la più alta carica istituzionale in quella stanza mi fece accompagnare fuori. Fu Giorgio Napolitano". Al Fatto quotidiano l'ex Pdl, oggi candidato con Fratelli d'Italia, entra nel dettaglio: "Ho detto, come iperbole, che ci mancava solo che facesse chiamare i carabinieri. Ero contrario all'intervento e ho ricordato anche le perplessità dello Stato maggiore: gli unici contrari alla partecipazione italiana all'intervento eravamo io e Silvio Berlusconi. A quel punto Giorgio Napolitano mi ha detto di andarmene perché non avevo titolo a stare lì. Insomma, mi ha buttato fuori". Le perplessità dei vertici militari erano relative al Dopoguerra: "Il Paese spaccato e in mano alle tribù, la destabilizzazione dell'area anche dal punto di vista dei fenomeni migratori. Cioè quello che abbiamo visto da allora a oggi". Quisquilie, per Re Giorgio
ROMA
Quirinale, Palazzo Chigi, maggioranza e opposizione: il mondo istituzionale e politico si schiera in favore della partecipazione dell’Italia ad un’eventuale coalizione che consenta l’applicazione della "no fly zone" decisa dalle Nazioni Unite, ma con due vistose eccezioni al voto in Parlamento: l’assenza della Lega Nord di Bossi e l’astensione dell’Italia dei Valori di Di Pietro.

Berlusconi cauto
Ma anche fra chi si convince della necessità di questo passo difficile, si colgono sfumature diverse: Silvio Berlusconi, ad esempio, si schiera in favore di una linea che potrebbe portare i caccia italiani a bombardare la Libia, ma con un "disagio" che il Cavaliere in privato non nasconde. La preoccupazione del capo del governo, racconta chi ha potuto ascoltarlo, nasce da una riflessione che è così riassumibile: rischiamo di entrare in guerra con un Paese con il quale fino a qualche settimana fa c’era un trattato di amicizia; il nostro Paese, inoltre, è certamente quello più esposto alle possibili ritorsioni di Gheddafi, sia sotto il profilo dei flussi migratori che sotto quello di rappresaglie militari.

Lo strappo del Carroccio
Bossi fa sapere che la Lega è più vicina alle posizioni caute della Germania («siamo perplessi»), che non a quelle interventiste di Francia o Gran Bretagna. E Calderoli, l’unico leghista presente in Cdm, dà seguito a tale posizione astenendosi. La svolta arriva nel pomeriggio: il Governo ritiene «indispensabile» autorizzare ogni opportuna iniziativa, compresa «la concessione in uso di basi militari esistenti sul territorio nazionale», recita il comunicato in cui si precisa che «ogni decisione viene adottata in accordo» con il Quirinale e che il Parlamento sarà «costantemente informato». E così avviene: La Russa e Frattini si recano in Senato per ottenere il via libera della commissione congiunta Esteri e Difesa. Cosa che avviene in modo piuttosto rapido.

Il voto
Il ministro degli Esteri spiega che la partecipazione attiva può tradursi nell’uso di «basi e non solo». La Russa fa capire che l’Italia è pronta a raid aerei. La Lega non partecipa al voto, l’Idv si astiene. La stessa scena si ripete a Montecitorio dove però mancano anche i deputati di "Iniziativa Responsabile". Solo per problemi «logistici» si affretta a precisare il capogruppo, Luciano Sardelli. Il Pdl tenta di ridimensionare l’assenza del Carroccio, ma è evidente il tentativo di Bossi di smarcarsi dal Pdl. Una distanza resa ancor più evidente dall’atteggiamento dell’opposizione: il Pd, con Pier Luigi Bersani, si dicono pronti a sostenere il ruolo attivo dell’Italia, anche se Massimo D’Alema, un pò come Berlusconi, chiede l’intervento della Nato a protezione della Penisola. Anche il Terzo Polo, infine, sostiene la linea del governo, ma chiede al governo chiarezza sulla posizione del Carroccio.

Le tensioni nel governo
Anche il governo, sempre a Montecitorio, si fa attendere oltre un’ora e alla fine, dopo il voto, il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi, conversando con i cronisti, non risparmia critiche alla Lega affermando che, se si hanno tanto a cuore le sorti delle «imprese del Nord», bisognerebbe occuparsi anche degli sbocchi che si possono garantire a queste ultime nel Mediterraneo prendendo a cuore il benessere delle popolazioni di paesi come la Libia. E mentre il centrodestra si divide, come ribadisce l’opposizione, l’Idv si astiene perchè, come spiega Fabio Evangelisti, è assurdo da parte del governo chiedere di votare la risoluzione dell’Onu senza prima aver detto con chiarezza ed esplicitamente che il Trattato bilaterale firmato da Gheddafi e Berlusconi è decaduto visto che nel testo si prevede, tra l’altro, l’impegno dell’Italia a non mettere mai a disposizione le basi militari per attacchi contro la Libia. I dipietristi, così, presentano una risoluzione di minoranza nella quale si dà parere favorevole a quella dell’Onu, ma prima si chiede che l’esecutivo prenda posizione sul Trattato. In commissione però il documento viene respinto.

Sul piatto navi, aerei e basi militari
L'Italia metterà quindi a disposizione almeno cinque navi, sette basi e cacciabombardieri in grado di distruggere le postazioni antiaeree quando scatterà la "No fly zone" sulla Libia. «Non ci limiteremo a dare le chiavi di casa nostra ad altri perchè ne facciano quello che ritengono più opportuno», ha detto in Parlamento il ministro della Difesa, Ignazio La Russa. Insomma, non solo basi. L’Italia, ha infatti sottolineato La Russa nelle sue comunicazioni alle Commissioni riunite di Camera e Senato, dispone di «una forte capacità di neutralizzare radar e ipoetici avversari» in Libia «e su questo potrebbe esserci una nostra iniziativa: possiamo intervenire in ogni modo», ha detto. «L’Aeronautica militare è a disposizione per evitare che la popolazione civile subisca bombardamenti».

«Autorizzato l'utilizzo della forza»
In serata anche il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha ribadito il concetto: «La violazione della no fly zone - ha detto - farebbe scattare l’attacco a postazioni radar, o a postazioni militari di contraerea» e, dovendo svolgere questo compito, «i mezzi italiani non sono da meno degli altri». Si tratta di quella che tecnicamente viene chiamata capacità SEAD, cioè "soppressione delle difese aeree nemiche": è ciò che l’Italia ha già fatto con i raid aerei in Kosovo e che potrebbe apprestarsi a ripetere in Libia. Questa volta non con la Germania, come avvenne nei Balcani, ma insieme ad altri Paesi dotati di "assetti idonei", Usa e Gran Bretagna in testa. «Se la Nato organizzerà una "no fly zone" - ha assicurato il ministro della Difesa - noi ci saremo, se lo faranno altri Paesi noi parteciperemo». Discorso analogo per il «blocco navale» volto a garantire l’embargo, che grazie alla risoluzione approvata la scorsa notte «ha ora un titolo giuridico per l’utilizzo della forza».

Le basi interessate
Di questo dispositivo, sia se organizzato dalla Nato sia se frutto di un’iniziativa multilaterale, l’Italia farà sicuramente parte con diverse unità, già mobilitate a vario titolo in relazione alla crisi Libica. La portaerei Garibaldi (con a bordo i caccia Av8) è salpata oggi da Taranto per dislocarsi in Sicilia, mentre nave Libra attraccherà domani in un porto libico con aiuti umanitari. Mobilitato anche il caccia Andrea Doria, che si occuperà della difesa aerea, e due unità che sono attualmente inserite nella Snmg1, la forza marittima della Nato: la fregata Euro e il rifornitore Etna. Tornando alle basi aeree - che secondo Frattini «saranno la chiave» per il successo dell’intervento della coalizione internazionale in Libia - il ministro La Russa ha spiegato che sono sette quelle messe a disposizione dall’Italia: Amendola (dove sono schierati i caccia Amx e i velivoli senza pilota Predator), Gioia del Colle (base dei nuovi caccia Eurofighter, schierati anche a Grosseto), Sigonella e Aviano (due basi che servirebbero essenzialmente ad ospitare ’assettì di altri Paesi), Trapani (aeroporto specificatamente attrezzato per gli aerei radar Awacs e sede di caccia intercettori F-16), Decimomannu (base logistica) e Pantelleria (la base aerea più vicina alla Libia).

«Nessun limite restrittivo all’intervento»
L’Italia, ha detto La Russa, metterà a disposizioni le basi non più solo per operazioni umanitarie, ma per attività militari vere e proprie, «senza alcun limite restrittivo all’intervento, se necessario per far rispettare la risoluzione Onu» e salvaguardare i civili. Su questo, ha osservato, non si può traccheggiare, «non possiamo dire "facciamo questo, facciamo quello". Vogliamo contribuire a decidere che cosa si deve fare e una volta deciso vogliamo partecipare in pieno all’attuazione di questa decisione». «Possiamo intervenire in ogni modo - ha ripetuto il ministro della Difesa - con la sola tassativa esclusione di interventi via terra. La risoluzione dell’Onu vieta nella maniera più tassativa questa possibilità: quindi non solo per noi, ma per chiunque, non ci sarà concorso di fanteria, di carri armati, di Lince, di mezzi. Sul territorio libico non ci andrà nessuno»


Libia, le carte di Hillary Clinton: "La Francia distrusse l'Italia"

La guerra che portò il caos in Libia venne scatenata dai francesi con l'avallo degli americani. L'obiettivo era uno solo: affermare la potenza transalpina ed eliminare ogni influenza italiana nel Maghreb


La guerra di Libia - un'altra - cent'anni dopo. Correva l'anno 2011, i dodici mesi che cambiarono il mondo ma sopratutto la storia d'Italia.
Eravamo ormai abituati a ricordarlo come l'anno della caduta del governo Berlusconi IV e dell'arrivo dell'ultra-europeista Mario Monti a Palazzo Chigi dopo mesi di attacchi politici e finanziari (non senza speculazioni assai poco trasparenti).
Tutti ricordiamo gli insopportabili risolini di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy al Consiglio Europeo del 23 ottobre 2011. Ebbene, ora su quei giorni cruciali potremmo apprendere qualcos'altro. Se possibile, qualcosa di ancora più inquietante.
Come ha rilevato Scenarieconomici, spulciando fra le mail dell'allora Segretario di Stato Usa Hillary Clinton si scopre che l'attacco internazionale che portò alla caduta del regime di Muhammar Gheddafi e all'uccisione del Colonnello venne lanciato solo ed esclusivamente per rispondere a precisi interessi geostrategici francesi, con l'avallo statunitense. A tutto detrimento degli interessi italiani.
Certo, sapevamo già che la guerra voluta da Sarkozy era un mezzo per estromettere il nostro Paese dal controllo del petrolio libico, ma vederlo scritto nero su bianco resta comunque impressionante.
E allora vediamo cosa contengono, quelle mail famigerate. Il 2 aprile del 2011 l'attuale candidata democratica alla Casa Bianca riceveva un messaggio dal suo consigliere per il Medio Oriente Sidney Bluementhal dai toni assai espliciti. Da quelle righe emerge infatti che il presidente francese dell'epoca, Sarkozy, ha finanziato e aiutato in ogni modo le fazioni anti gheddafiane con denaro, armi e addestratori, allo scopo di strappare più quote di produzione del petrolio in Libia e rafforzare la propria posizione tanto sul fronte politico esterno quanto su quello geostrategico globale.
Di più. A motivare definitivamente la decisione dell'Eliseo di entrare nel conflitto sarebbe stato il progetto del raìs di soppiantare il franco francese africano con una nuova divisa pan-africana, nell'ottica di un'ascesa della Libia come potenza regionale in grado di raccogliere intorno a sè un'alleanza regionale di Stati. Sostituendo così proprio la Francia, a suon di oro e di argento (Gheddafi ne avrebbe conservate poco meno di trecento tonnellate).
Le conseguenze dell'intervento sono storia nota, con la Libia precipitata in un'atroce guerra civile, l'Isis che spadroneggia sulle coste meridionali del Mediterraneo e un'ondata di migranti senza precedenti che si riversa sulle nostre coste. All'epoca l'Italia, all'oscuro di tutto, prese addirittura parte alla guerra contro Gheddafi, sia pure a malincuore.
Ora però è chiaro che quella manovra, insieme all'attacco speculativo portatoci dalla Germania, aveva un solo obiettivo: l'Italia. Che ancora oggi ne sconta le terribili conseguenze.


Libia, via libera alla Camera per la missione
La maggioranza salva per un pugno di voti



Camera - informativa urgente del Governo su guerra in Libia
Passa alla Camera, come già successo al Senato, la mozione di maggioranza Pdl-Lega e quella delle opposizioni sulla partecipazione italiana alla missione italiana in Libia. Sette voti, questo l’esiguo scarto con cui oggi è stata approvata alla Camera la risoluzione di Pdl e Lega per la missione in Libia. A salvare il governo sono state le assenze di alcuni deputati cattolici dell’opposizione come Gero Grassi e Tommaso Ginoble del Pd e Savino Pezzotta dell’Udc. Ma anche quelle di 5 deputati finiani. In tutto, tra giustificati e non, sono mancati all’opposizione 12 voti che avrebbero determinato la bocciatura la risoluzione della maggioranza.
“Il Partito democratico ha scommesso su un passo falso del governo e della maggioranza sulla crisi libica alla Camera e ha perso”, dichiara il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, commentando l’esito del voto sulle risoluzioni presentate alla Camera. “Dal centrosinistra – aggiunge La Russa – ci saremmo aspettati un voto non contrario sulla nostra mozione visto che mercoledì, al Senato, aveva votato a favore. Ma oggi il Pd ha votato contro, mentre mercoledì a Palazzo Madama non ha partecipato alla votazione. Il motivo è chiaro: ancora una volta il Partito democratico ha giocato la carta sbagliata, ha pensato che noi non potessimo raggiungere la maggioranza, facendo un gioco sporco su un tema come questo che non bisognerebbe trascinare nelle polemiche di politica interna. Ancora una volta hanno sbagliato i calcoli, perché ancora una volta il governo ha avuto i numeri”.

A ribattere al ministro è Massimo D’Alema che a nome del Pd replica che è stata proprio “l’opposizione” a farsi “carico di una responsabilità per il Paese. Siamo stati noi, di fronte ad una polemica assenza di settori della maggioranza”, ovvero la Lega, “che abbiamo provveduto ad assicurare il sostegno parlamentare nelle commissioni Esteri e Difesa”. “Siamo noi – aggiunge D’Alema – a sostenere la mozione che in modo più ampio e meno condizionato sostiene l’azione del governo e concede ampio mandato. Strano paradosso, la maggioranza vuole imporre vincoli, alcuni cervellotici, e l’opposizione chiede che l’Italia si impegni in modo pieno e senza riserve nell’azione internazionale”.  Come il Pd anche l’Udc critica la gestione del governo della crisi libica e Pier Ferdinando Casini stigmatizza l’assenza del premier Berlusconi oggi alla Camera e ieri al Senato: “Chi guida un Paese, ci mette la faccia, nei momenti facili come in quelli difficili, nella bella come nella cattiva sorte. Oggi, come ieri al Senato, questo Paese meritava la presenza del presidente del Consiglio”. Il leader dell’Idv Di Pietro contesta anche lui duramente il fatto che, in occasione di un dibattito di siffatta importanza sulla questione militare libica, il premier non fosse presente in aula, tacciandolo di essere “un coniglio”.

 http://www.ilmonti.com/questo-disastro-e-figlio-della-guerra-libia-caldeggiata-dal-pd-bossi-e-la-lega-erano-contrari/

Questo disastro è figlio della guerra in Libia, caldeggiata dal PD. Bossi e la Lega erano contrari


profughiLa fortuna di molti politici italiani è che circolano parecchi giornalisti mediamente pigri e distratti, o comunque ben lontani dall’adottare un rigido sistema di fact checking. E dev’essere proprio all’interno di questa triste cornice che ha preso piede un brutto andazzo, quello di raccontarsela un po’ come più fa comodo, facendosi beffe della realtà, della storia e pure del minimo senso del pudore che ognuno di noi farebbe bene a conservare. Clamoroso, per esempio, l’epic fail (che tradotto, per noi che amiamo frequentare i Bar, sarebbe: una’epica figura di mexxa!!!) di cui è stato protagonista questa mattina l’onorevole Fiano, Partito Democratico. Potete gustarvelo qui:
Mentre Massimo de Manzoni di Libero ricordava la demenzialità della scelta di intervenire militarmente in Libia nel 2011, Fiano lo interrompeva con eccessivo sarcasmo, addirittura tracotanza: “non mi ricordo di editoriali di Libero che criticavano l’intervento in Libia”, apostrofava il sinistro. Facendo così intendere che tutta la vicenda andrebbe ascritta solo e soltanto alle forze di centro destra e a Berlusconi. E soprattutto dando in fondo dei cialtroni a quelli di Libero. Fiano era particolarmente baldanzoso e sicuro nell’invettiva, anche perché seguiva passo passo lo spartito piddino di questi ultimi giorni, quelli post “strage degli 800 naufraghi”: far intendere che l’intervento in Libia fosse responsabilità delle “destre guerrafondaie” e di conseguenza è colpa del centro destra se arrivano oggi immigrati a centinaia di migliaia, e in ultima istanza è ancora colpa del centro destra se poi molti, troppi, muoiono. Gli ex comunisti, va riconosciuto, hanno una particolare capacità nel confezionare versioni revisionate della storia. Ma questa è appunto un’altra storia.
Solo che per grande sfortuna di Fiano, de Manzoni è un giornalista serio e che evidentemente conosce i suoi “polli”; era preparato a rispondere e con rara prontezza ha sparato in faccia al povero onorevole un eloquente titolo a nove colonne di Libero: “Guerra da matti”, stampato proprio il giorno dopo della decisione di muovere guerra a Gheddafi. Da li in avanti si è udito solo un forte rumore di sfregamento sugli specchi…
Questo divertente episodio mi da però l’occasione per ricordare come andarono veramente le cose quel marzo del 2011, e andarono molto diversamente dalla odierna vulgata piddina.
LE PRIMAVERE ARABE E TWITTER
Due parole sul contesto. In quel periodo, tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, eravamo in piena sbornia da “Primavere Arabe”. Tanti uomini dell’intelligencija di sinistra erano esaltati, elettrizzati, a tratti estasiati per i moti rivoluzionari; quelli guidati da giovani che armati di twitter e a colpi di cinguettii facevano cadere regimi sanguinari. Si, come no! Naturalmente niente fu più lontano dalla verità, ma si sa che specialmente gli ex comunisti sono facili a credere alle favole (del resto hanno creduto al comunismo). Il disastro delle famose primavere arabe lo scoprimmo solo molto più tardi.
Ed è appunto in questo clima di euforia, fatto anche di tanta nostalgia per la “revolucion”, che l’opinione pubblica italiana fu portata a credere che non si poteva non intervenire, militarmente s’intende, soprattutto in Libia (chissà perché solo lì?) contro il sanguinario dittatore di turno. Che poi, in questo caso, era lo stesso sanguinario dittatore con cui l’Italia aveva già firmato diversi accordi, alcuni ancora validi pure nel momento dell’attacco.
LA GUERRA DI NAPOLITANO
La guerra alla Libia iniziò ufficialmente il 19 marzo, di fatto su iniziativa della Francia che spingeva da giorni per arrivare alla caduta di Gheddafi per mezzo di un intervento militare.
E il governo italiano, e Berlusconi? IL Cavaliere era tutt’altro che favorevole, non tanto per l’antica amicizia con il dittatore libico, ma perché era evidente come fosse l’Italia quella che aveva più da perderci nell’ipotesi militare. Ma da giorni il governo riceveva pressioni, sempre più insistenti, soprattutto dal Capo di Stato; proprio quel Napolitano che fu poi determinante nella cacciata di Silvio, pochi mesi dopo.
Rileggendo le cronache di quei giorni, come questo articolo del 18 marzo (il giorno prima dell’attacco) sul Corriere.it, il ruolo del Presidente della Repubblica emerge attraverso parole eloquenti
Faremo quello che è necessario anche noi
Ma Berlusconi non è convinto dell’intervento, tanto che il 19 marzo così titola la Stampa, in un puntuale articolo firmato da Ugo Magri: “Libia, Napolitano: Non possiamo restare indifferenti alla repressione – Il ruolo decisivo del Colle per superare i dubbi del premier”
All’interno vengono ricostruiti i momenti decisivi in cui il Governo e Berlusconi si sarebbero convinti di appoggiare l’intervento militare. Così scrive Magri:
nessuno degli sviluppi successivi sarebbe stato possibile senza l’intervento di Napolitano. Il suo richiamo alle «decisioni difficili» attese nella giornata di ieri, ma soprattutto l’appello a valori più alti della pura realpolitik («non lasciamo calpestare il Risorgimento arabo») hanno avuto l’effetto di sgombrare il campo da ostacoli su cui Berlusconi sembrava destinato a inciampare
Il famoso “Risorgimento arabo”, si vabbè! Insomma, appare chiaro ed evidente come fu decisivo l’intervento di Napolitano e il suo pressing perché l’Italia entrasse in guerra contro la Libia. E per i più distratti lo voglio ricordare: Giorgio Napolitano non è della Lega Nord, nemmeno di Forza Italia. È del Partito Democratico.
LA LEGA CONTRARIA ALL’INTERVENTO
Abbiamo detto che Berlusconi era titubante, ma nel governo e nella maggioranza c’era addirittura chi era palesemente contrario, e non fece nulla per nasconderlo. Chi? Bossi e la Lega Nord, che ancora una volta ci avevano visto lungo, gli unici tra tanti.
Questa la dichiarazione di Umberto Bossi, riportata su Repubblica.it nell’edizione on line del 19 marzo 2011:
Ci sono ministri che parlano a vanvera. E le decisioni prese dal governo non sono state rispettate. Ora rischiamo di perdere petrolio e gas e di essere invasi da milioni di profughi. Certe volte il vero coraggio è la cautela, rischiamo di prenderla in quel posto se continua così
Parole dure, ma soprattutto chiare e nette, tipiche di Bossi quando si vuole far capire, senza tanti giri di parole.
Concetto ripreso e ribadito anche in questo intervento pubblico a Erba dello stesso Umberto Bossi: