mercoledì 27 giugno 2018

Espulsi 2 tunisini: radicalizzati, inneggiavano alla “supremazia islamica”

Rintracciati a Latina o residenti ad Aprilia. Nel curriculum criminale le relazioni pericolose con Anis Amri e Ahmed Hanachi, gli autori degli attentati a Berlino e Marsiglia, e un carnet con frequentazioni con ambienti e personaggi radicalizzati, considerati minacciosamente contigui all’estremismo islamico: ce n’era abbastanza, insomma, per giustificare e rendere esecutiva l’espulsione di due tunisini, accompagnati alla frontiera.

Terrorismo, espulsi due tunisini: radicalizzati e pericolosi

Dunque, espulsi con accompagnamento alla frontiera, «perché ritenuti pericolosi e contigui ad ambienti dell’estremismo islamico». Lo fa sapere una nota del Viminale, spiegando che «il primo, un 36enne irregolare sul territorio nazionale, rintracciato a Latina, presentava tre profili Facebook, attraverso i quali si è risaliti a rapporti con personaggi vicini al terrorista Anis Amri, autore dell’attacco compiuto a dicembre 2016 al mercatino natalizio di Berlino e ad Ahmed Hanachi, tunisino già residente ad Aprilia che ad ottobre 2017 uccise due giovani donne alla stazione di Marsiglia». «L’altro, 42 anni, – spiega ancora il Viminale – detenuto per reati comuni a Sanremo e inserito nel livello più alto del monitoraggio carcerario, è stato trovato in possesso di materiale inneggiante alla supremazia della religione islamica rispetto alle altre. Per questi motivi entrambi sono stati espulsi con accompagnamento alla frontiera verso la Tunisia». E così, salgono a 296 le espulsioni eseguite dal gennaio 2015 ad oggi, di cui 59 nel 2018. Numeri a cui si allegano oggi le ultime due, cautelative espulsioni odierne.

Un commento

  1. Donald
    27 giugno 2018 - 13:30
    non vanno espulsi, vanno uccisi come nemici senza divisa (leggi di guerra)

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Forza Italia a un bivio: o cambia tutto (proprio tutto) o si consegna a Salvini
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Chi evoca lo «choc» e chi spera nel «miracolo». La Forza Italia ancora intontita dall’escalation di Matteo Salvini è oggi un luogo a metà tra un’infermeria e una sagrestia. Ma sia che si cerchi il guaritore o si pensi a un taumaturgo, il nome invocato è sempre uno: Silvio Berlusconi. Da quelle parti è così. Cascasse pure il mondo, il rimedio è sempre il salto all’indietro, all’intuizione del ‘94, al mito del partito liberale di massa inteso come prateria in cui far galoppare le pulsioni della sempre buona società civile. È la conferma, l’ennesima, della scarsa familiarità degli “azzurri” con la politica e della loro refrattarietà a praticare al proprio interno il primo e più semplice principio di un movimento liberal-democratico: la contendibilità della leadership. Mai un congresso, mai le primarie. Il leader è inamovibile in quanto infallibile. Se le cose vanno male è perché non c’è. E quando non vanno pure in sua presenza, è solo perché è mal consigliato. Il coro interno non ammette stecche né controcanti. Chi solo osa produrre un guizzo, uno svolazzo creativo capace di spettinarne il conformismo è costretto a migrare (vero, Fitto?) o a all’abiura (vero, Toti?). Nessuno, beninteso, dice che bisogna mettere in discussione il Cavaliere, ma solo che non dev’essere vietato farlo. Il tema del rilancio di Forza Italia passa proprio da qui, cioè dalla consapevolezza che anche i grandi leader non sono eterni e che la successione è un meccanismo complesso, tanto doloroso quanto necessario. Lo sa anche la dirigenza, ma al coraggio delle posizioni preferisce l’applauso codino e consolatorio. Avanti di questo passo e rischia seriamente di essere ricordata come l’unica nomenclatura di stampo nordcoreano senza occhi a mandorla. L’alternativa al coraggio è il vivacchiamento in attesa della soluzione geniale o dell’ennesimo coniglio estratto dal cilindro. Ma è come condannarsi all’irrilevanza. E all’orizzionte c’è Salvini. Che ha vento in poppa e commercio avviatissimo.

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