domenica 16 ottobre 2016

Aumentano gli immigrati che compiono violenze sulle donne italiane.

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Mai tante donne violentate dagli stranieri, un reato odioso che sembrava debellato e che invece torna a fare paura.
E meno male che c’è Giuseppe Franco, il sottufficiale della Marina Militare che venne arrestato il 2 luglio per lo stupro di una quindicenne a Roma, in piazzale Clodio, a ricordare a tutti che anche tra gli italiani questo crimine ha, purtroppo, cittadinanza; e come lui Simone Borgese, che in maggio, sempre a Roma, abusò di una tassista.

Perché per il resto le cronache di questa estate raccontano uno stillicidio di violenze sulle donne tutte diverse per dinamica, circostanze, vittima, ma unite da un solo denominatore comune: il colpevole è uno straniero. Che sia figlia dell’emarginazione, del degrado o della cultura, l’evidenza statistica è implacabile. E costringe gli investigatori di tuta Italia specializzati in crimini sessuali a modificare le loro tecniche d’inchiesta, perché nelle comunità straniere spesso la violenza è percepita come un non-crimine: tanto da rendere incalcolabile il numero di stupri che non vengono denunciati dalle vittime quando avvengono all’interno del medesimo gruppo etnico.
Ma i casi che vengono a galla sono sufficienti a parlare di emergenza. Ci sono aggressioni brutali, improvvise, crimini da strada: come quello di Cuneo, dove una signora che va in bicicletta nel parco fluviale, in piena mattina, viene assalita da un ragazzo della Costa d’Avorio, buttata in un prato e abusata: «ero ubriaco», dice lui quando lo catturano ancora in sella alla bici della donna; o come lo stupro, ancora senza colpevoli, che la sera del 24 luglio a Reggio Emilia ha per vittima una giovane turista straniera, aggredita anche lei in un parco, sul Lungocrostolo, a ridosso del centro, da un uomo di colore; per non parlare del più crudele, l’aggressione della ventenne disabile sequestrata e abusata a Torino all’inizio di giugno da tre nordafricani, uno già espulso dall’Italia senza risultato e gli altri due firmatari di una richiesta di asilo politico. Poche settimane prima, a Milano, una donna di 41 anni aveva ordinato una pizza: quando è arrivato il fattorino gli ha aperto la porta senza timori, e la sua cena si è trasformata in un incubo interminabile.
Poi ci sono gli stupri che nascono all’interno di contesti chiusi, di comunità, di nuclei familiari: e neanche questa è un’esclusiva degli stranieri, ma i numeri dell’escalation tra le comunità immigrate sono impressionanti. A Luni Mare, vicino La Spezia, una donna rumena viene trascinata nella zona degli scavi archeologici da due uomini, uno la tiene ferma mentre l’altro le taglia i pantaloni e abusa di lei: quando vengono arrestati tre giorni dopo, si scopre che sono un siriano e un marocchino, e che quest’ultimo è il cognato della vittima, avendone sposato la sorella, che l’ha stuprata non per libidine ma per punirla di chissà quale colpa. Per punire la loro vittima agiscono anche i tre minorenni egiziani, ospiti di una comunità di accoglienza a Fiuggi, che la mattina del 31 luglio aggrediscono una operatrice, la immobilizzano e la umiliano a turno; per punire la sua ex moglie, a Dossobuono, vicino Verona, un tunisino la trascina in un garage, la accoltella alla gola, la stordisce colpendola alla testa con un bastone, e quando è ormai priva di sensi abusa di lei: «In sedici anni di carriera non mi era mai capitato di vedere una cosa simile», dice il capitano dei carabinieri che interviene sul luogo dello stupro. E per punire il suo tentativo di fuga, il 24 luglio a Roma, un tunisino lancia una pentola d’acqua bollente addosso alla donna che la sera prima aveva drogato e violentato ripetutamente: i carabinieri la trovano in condizioni pietose, ustionata e coperta di lividi.
Lo stupro insomma come dimostrazione di forza e di potere, come sanzione per chi non rispetta il proprio ruolo: una piaga che l’Italia ha conosciuto per decenni, e che sembrava destinata a scomparire, ritorna in questo modo a costituire una emergenza con cui è inevitabile fare i conti.

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