Il
Qatar, numero uno al mondo per prodotto interno lordo pro capite
(102mila dollari a cittadino, il triplo dell'Italia), non ha ospitato ad
oggi un solo rifugiato. E non sono chiare nemmeno le sue potenziali
donazioni. Potenzialmente, di fatto, prossime allo zero. Per questo dicembre il governo era stato strigliato da Amnesty International. Ma nulla sembra cambiato.
Altri suoi vicini si sono fatti avanti invece: il Kuwait l'anno scorso
ha donato oltre 100 milioni di dollari all'Alto commissariato delle
Nazioni unite per i rifugiati, dando un apporto essenziale per garantire
cibo e servizi nei campi profughi finanziati dall'Onu in Libano e
Giordania.
Il governo
degli Emirati Arabi Uniti ha dichiarato di aver raccolto aiuti per 540
milioni di dollari dall'inizio della crisi, e di averli distribuiti per
l'assistenza umanitaria in una tendopoli in Giordania e in un
insediamento nel Nord dell'Iraq.
Fondi preziosi. Ma dalle organizzazioni umanitarie e dagli osservatori
arriva un'altra domanda: perché l'accoglienza è pari a zero? Perché non
si è trovato posto nelle consolidate economie petrolifere per i profughi
dalla vicina Siria? Sultan Sooud Al Qassemi , commentatore
dell'International Business Times e figlio di un emigrato del Kuwait ad
Abu Dhabi, ha lanciato un appello pochi giorni fa ai paesi del Golfo
perché aprano finalmente le porte ai richiedenti asilo.
Ma Qatar, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Kuwait e Bahrain hanno
leggi severissime in materia di immigrazione. Gli unici migranti
tollerati sono gli indigenti, le schiere di lavoratori spesso
clandestini, facilmente ricattabili, che piovono da Pakistan, Sri Lanka e
dai paesi africani per costruire grattacieli e mega strutture
avveniristiche. All'interno di una consolidata prassi di sfruttamento e
assenza di diritti umani. I rifugiati politici, i richiedenti asilo,
praticamente non esistono. Gli operai impiegati nelle centinaia di
cantieri aperti non parlano la lingua del potere. Non ne conoscono usi e
costumi. E sono destinati a esserne esclusi per sempre.
Ed è proprio questo, secondo Al Qassemi e altri commentatori, uno dei
motivi di questa chiusura nei confronti dei vicini siriani: la paura che
l'afflusso di persone arabe, che invece parlano la lingua e conoscono
la cultura, possa destabilizzare gli equilibri di un gruppo di paesi in
cui la sterminata ricchezza accumulata negli ultimi 70 anni è
distribuita a pochissimi cittadini con pieni diritti. Basta a
giustificare l'assenza?
Nel monito di Amnesty International, poi, non c'erano solo i paesi del
Golfo: anche Russia, Giappone, Singapore e Sud Corea, scriveva l'ong
internazionale, non hanno offerto alcun contributo in termini di
opportunità di accoglienza. Singapore (62.400 dollari pro capite di
pil, più del doppio dell'Italia) ha donato all'Unhcr, per il 2014,
50mila dollari. Sì, 50mila
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