Mentre in
Africa si contrasta la barbarie, in Italia si dubita se la mutilazione sia
reato. E poi si parla di violenza sulle donne…
di Souad Sbai
– «Chiunque,
in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi
genitali femminili è punito con la reclusione da quattro a dodici anni. Ai fini
del presente articolo, si intendono come pratiche di mutilazione degli organi
genitali femminili la clitoridectomia, l’escissione (…) (…) e l’infibulazione e
qualsiasi altra pratica che cagioni effetti dello stesso tipo. Chiunque, in
assenza di esigenze terapeutiche, provoca, al fine di menomare le funzioni
sessuali, lesioni agli organi genitali femminili diverse da quelle indicate al
primo comma, da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente, è punito con
la reclusione da tre a sette anni. La pena è aumentata di un terzo quando le
pratiche di cui al primo e al secondo comma sono commesse a danno di un minore
ovvero se il fatto è commesso per fini di lucro».
Leggete bene
queste righe, cuore della Legge 7/2006 a firma di Giuseppe Consolo, perché da
oggi, dopo la sentenza della seconda sezione della Corte d’Appello del
Tribunale di Venezia, sono carta straccia. Il dispositivo emesso dalla
Corte, grazie al quale vengono assolti i due genitori nigeriani che hanno
sottoposto le due figlie a infibulazione, certifica che nonostante vi sia
una legge che la vieta, essa «non costituisce reato».
Al peggio
non c’è fine, anzi, ci dobbiamo rassegnare a dover sprofondare sempre più
nell’abisso della vergogna. Se davanti all’esistenza di una legge, chiara e
precisa come la 7/2006, si può ancora dubitare che l’infibulazione sia reato,
credo che sia allora il sistema ad essere inquinato. O forse, più
propriamente, marcio. Emorragia, infezione, morte, dolori lancinanti
durante il parto, depressione, suicidio, sterilità, lacerazioni sanguinose,
morte. Ecco cosa provoca il «non reato» dell’infibulazione in una bimba che
diventerà, domani, una donna mutilata. Nel corpo e nell’anima, nella mente e
nell’integrità fisica.
Ma questo,
in Italia, nonostante ci sia una legge, non è reato. E allora, mi chiedo io,
cos’è reato? Esiste un reato leggero e uno pesante? Chi decide se il reato è
leggero o pesante? Mutilare i genitali di una bambina o di una donna è
un’orrenda violazione di ogni diritto umano e di libertà. Oggi tante parole
verranno spese per pontificare sui diritti della donna e contro la violenza, ma
la vergogna di fatti come questo non si cancella.
Con quale
coraggio si riesce ancora a fare squallide marchette sulla pelle delle
donne, quando due bambine vengono umiliate per l’ennesima volta dopo che è
stata loro strappata la dignità di essere donne? Chi si prende la responsabilità
di creare un precedente di questo genere? Con quale cuore potremmo chiedere al
Governo di sospendere i rapporti con quei paesi in cui l’infibulazione si
pratica ancora nel silenzio mondiale? Ma il paradosso più grave è che mentre in Africa si sta lavorando per combattere il fenomeno
e molte donne e uomini finiscono in carcere, qui l’estremismo ha vinto ancora
una volta, grazie alla visione vergognosa del multiculturalismo che impera in
questo Paese.
Quella
visione che vide alcune parti politiche osteggiare la legge Consolo e i cui
esponenti oggi forse staranno brindando allo stupro fisico, mentale e umano cui
quelle bimbe furono sottoposte. Ho una sensazione di rigetto, totale e
ineluttabile verso le interpretazioni e le congetture che possono, in un modo o
nell’altro, giustificare un simile abominio. L’Europa ci ha spesso redarguito
perché da noi i diritti delle donne sono calpestati, ma non mi pare che lo
scandalo di questa sentenza abbia invaso le segrete stanze dei palazzi di
Bruxelles.
Il sangue di
queste e altre bambine viene calpestato ogni giorno, senza ritegno né remora,
dimenticando quelle urla strazianti di dolore, mentre la lametta taglia la
carne e l’anima scappa via, per non vedere la terra che man mano si impregna
del rosso acceso del sangue di un’innocente.
*deputata
Pdl – Souad Sbai
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