Frecce Tricolori: piloti uccisi perché tacessero su Ustica?
Ramstein, 29 agosto 1988: collisione in volo tra due aerei delle “frecce
tricolori”. Una strage: muoiono tre piloti e 67 spettatori. Forse non è
stato un incidente: due dei piloti rimasti uccisi, Ivo Nutarelli e
Mario Naldini, pochi giorno dopo avrebbero dovuto testimoniare su
un’altra tragedia, quella di Ustica. Quella sera del 27 giugno 1980, in
cui esplose in volo il Dc-9 Itavia con a bordo quattro membri
dell’equipaggio e 77 passeggeri, tra cui 13 bambini, Nutarelli e Naldini
erano anch’essi in volo, non lontano dalla rotta del velivolo di linea
abbattuto, e avrebbero lanciato via radio un allarme aereo generale.
Otto anni dopo, il disastro di Ramstein. E oggi, un dettaglio
inquietante: il jet acrobatico di Nutarelli aveva il carrello
inspiegabilmente aperto, così come il freno aerodinamico anteriore. I
comandi erano stati manomessi?
«Esiste una concreta possibilità di arrivare a stabilire con precisione
cosa è avvenuto e perché», scrive Guido Sinatti su “Clarissa”, in
un’analisi che Ramstein, 1988: la fatale collisione delle Frecce
Tricolorimette direttamente in relazione l’incidente aereo di Ramstein
con il “mistero” di Ustica. Pietra miliare nella lunghissima attività di
accertamento, contrastata da clamorose reticenze, la condanna a Palermo
(settembre 2011) degli allora ministri della difesa e dei trasporti al
pagamento di oltre 100 milioni di euro in favore di 80 familiari delle
vittime. Una sentenza, sottolinea “Clarissa”, nelle cui motivazioni
«viene messa in rilievo con dovizia di riferimenti documentali
l’evidenza dei depistaggi, delle omissioni e delle coperture messi in
atto lungo un trentennio di storia italiana da altissime cariche
militari e civili, per impedire che venisse alla luce una verità che la
ragion di Stato non può evidentemente rendere di pubblico dominio».
Contro questa sentenza si sono appellati i ministeri condannati e
proprio in questi giorni si sta celebrando a Palermo il processo
d’appello.
Merito degli avvocati Osnato e Galassi, che tutelano alcuni dei parenti
delle vittime, aver portato alla luce nuovi elementi che confermerebbero
in particolare lo stretto legame fra l’abbattimento dell’aereo di linea
italiano e lo spaventoso incidente verificatosi a Ramstein durante
l’esibizione aerea del 1988. La rivista “Il Sud” pubblica un ampio
servizio sulle novità che sarebbero emerse grazie alle investigazioni
della difesa: «Un’inedita fotografia, fornita a “Il Sud” dall’avvocato
Osnato, rivela come l’aereo di Nutarelli abbia il carrello aperto così
come il freno aerodinamico anteriore. Possibile che il “solista” abbia
capito, a vista, di essere troppo veloce e troppo basso e abbia usato il
freno? Ma il carrello aperto pare sia tecnicamente inspiegabile,
soprattutto a quella velocità». E poi ci sono alcune testimonianze di un
paio di “capivelivolo” che hanno riferito, anni dopo, dell’anomala
mancanza, nel parcheggio dell’aereo di Nutarelli, dei Il disastro di
Ramsteinvoluminosi e pesanti quattro attrezzi d’acciaio che servono a
bloccare le taniche di carburante sulle ali, denominati in gergo
“riscontri”.
Ma non basta. La drammatica caduta del regime libico, aggiunge Sinatti,
avrebbe portato l’estate scorsa alla scoperta di una nutrita serie di
documenti dei servizi di sicurezza libici che confermerebbero lo
scenario di una vera e propria guerra aerea in corso nei nostri cieli il
27 giugno 1980: proprio lo scenario che i vertici della nostra
aeronautica militare, conformandosi ad un indirizzo politico rimasto
costante in oltre trent’anni, hanno sempre negato, nonostante la massa
di evidenze emerse nel corso del tempo. Il giornalista Peter Bouckaert,
che per conto della Ong “Human Rights Watch”, ha raccolto un’ingente
documentazione in Libia, arrivando a dichiarare a settembre all’agenzia
Reuters che fra quei documenti sarebbero presenti informazioni
importanti per la ricostruzione di quanto avvenuto nella notte
dell’abbattimento dell’aereo civile italiano nei cieli di Ustica.
Movente: l’indebolimento del regime di Gheddafi, specie da parte della
Francia, già impegnata coi suoi istruttori militari a combattere una
“guerra invisibile” con la Libia nel deserto del Ciad, per l’interesse
strategico rappresentato dagli importanti giacimenti di uranio presenti
nella cosiddetta “striscia di Aozou”. Tensioni gravissime, ricorda
“Clarissa”, nelle quali è realistico ritenere che gli stessi Stati Uniti
ed Israele avessero diretto interesse ad inserirsi, in vista del
rovesciamento del regime libico, contro il quale gli Usa sarebbero poi
direttamente intervenuti nel 1986 con gli intensi Reagan e
Craxibombardamenti aerei su Tripoli e Bengasi, dai quali il Colonnello
si salvò proprio grazie all’Italia: è noto che l’allora premier Bettino
Craxi lo avvisò del pericolo poco prima che entrassero in azione i
bombardieri di Reagan.
Il leader di Tripoli era probabilmente nel mirino dei francesi già nella
notte fatale di Ustica: il Dc-9 sarebbe stato abbattuto per errore da
due caccia transalpini, perché nella sua scia – per mettersi al riparo
dai radar – si sarebbe rifugiato un velivolo libico con a bordo lo
stesso Gheddafi. «Un attacco – aggiunge Sinatti – che avrebbe forse
causato anche l’abbattimento di un Mig-23 libico ritrovato, in
circostanze quantomeno misteriose, sulla Sila il 18 luglio successivo».
La sentenza palermitana dello scorso settembre non lascia dubbi: tutti
gli elementi verificati, scrive la magistratura italiana, suggeriscono
che l’incidente occorso al Dc-9 si sia verificato a causa
dell’operazione di intercettamento realizzato da parte di due caccia,
che esplosero un missile per colpire un velivolo militare
precedentemente nascostosi nella scia dell’aereo di linea: il Dc-9
sarebbe stato abbattuto dal missile o dalla collisione con l’aereo
libico che gli volava vicinissimo per sfuggire ai radar dei caccia.
Scampato alla morte il Colonnello nei cieli di Ustica, per l’intero 1980
Parigi avrebbe incessantemente attaccato la Liba, per ritorsione.
Secondo il giornalista francese Henri Weill, i servizi segreti
transalpini avrebbero organizzato l’attentato dinamitardo che il 7
luglio devastò a La Valletta gli uffici della Libyan Arab Airlines. Poco
dopo ci fu anche un tentativo di incendio doloso dell’Istituto libico
di Cultura, sempre a Malta. Secondo Weill, anche il tentato colpo di
stato del 6 agosto a Tobruk, in Libia, guidato dal generale Idris
Shaibi, comandante della XI brigata e capo operativo dei servizi di
sicurezza, duramente stroncato da Gheddafi, sarebbe stato ispirato dai
servizi francesi. Poi, nella notte fra il 28 ed il 29 ottobre, la
fregata Dat Assawari, ammiraglia della flotta libica alla fonda nel
porto di Genova per lavori di manutenzione, venne attaccata da un
commando di incursori che Muhammar Gheddafine squarciò la chiglia con 30
chili di esplosivo. L’attentato fu rivendicato da un sedicente “fronte
maltese di liberazione”.
Come si vede, osserva scrive Sinatti, emerge «un intreccio di azioni
armate ostili che coinvolgono pesantemente anche il nostro Paese», che
proprio in quel momento era nell’occhio del ciclone e il 2 agosto arrivò
a subire la strage più grave della sua storia, quella alla stazione di
Bologna. Il 1980, aggiunge “Clarissa”, è infatti un anno fondamentale
nel secondo dopoguerra e l’Italia si è trovata sicuramente al centro di
avvenimenti destinati a scuotere il consolidato assetto della Guerra
Fredda: l’invasione sovietica dell’Afghanistan, la questione degli
euromissili che gli Usa intendevano installare in Europa, l’agitazione
di Solidarnosc in Polonia e la morte di Tito in Jugoslavia minarono alle
fondamenta la stabilità dell’Urss Ustica: in mare i corpi delle
vittimee del Patto di Varsavia e sembravano preannunciare un mutamento
che si sarebbe prodotto puntualmente nell’arco di nemmeno dieci anni.
La presa di potere di Khomeini in Iran, l’allontanamento dello Scià e la
sua morte in esilio, il sequestro dell’ambasciata Usa a Teheran, lo
scoppio del conflitto fra Iran e Iraq – continua Sinatti nella sua
analisi – sono solo i primi avvenimenti di una catena di eventi bellici
in Medio Oriente che si spingeranno, in un drammatico crescendo, fino ai
nostri giorni. «In questo contesto, l’Italia, a due anni dal sequestro
Moro, è sanguinosamente attraversata da strategie terroristiche che,
sfruttando tipi diversi di manovalanze, mirano, ormai senza ombra di
dubbio, a condizionarne gli equilibri interni in relazione alla
crescente importanza del Mediterraneo nei rapporti est-ovest e
nord-sud». A svilupparle, servizi segreti “deviati” e in realtà pilotati
dai Paesi egemoni, Usa e Gran Bretagna, «con un crescente inserimento
anche dello Stato di Israele – come molte indagini hanno evidenziato».
Fino al punto di “suicidare” piloti della popolarissima pattuglia
acrobatica perché non contribuissero alla verità su Ustica?
Fonte Libre/Associazione di idee
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