FINANZIAMENTI RUSSI ALLA LEGA? E DEI SOLDI DEL PCUS E DEL KGB NE
VOGLIAMO PARLARE? E SULL'ASSASSINIO DI FALCONE E BORSELLINO MANTENIAMO
IL SILENZIO?
«Chi ha
ammazzato il povero Ivan?», titolava un giornale russo dando la notizia
della strage di Capaci e della morte di Giovanni (Ivan in russo) Falcone
avvenuta il 23 maggio del 1992.
«Chi ha ammazzato il povero Ivan» è
anche il verso di una filastrocca popolare russa simile a «Maramao
perché sei morto?». Il significato era ironico, ma in Russia tutti
avevano capito chi aveva veramente ammazzato il povero Giovanni Falcone,
ma soprattutto il perché lo avevano ammazzato.
Giovanni Falcone
era molto popolare presso l'opinione pubblica russa ancora stordita
dalla fine della dittatura comunista e dell'Unione Sovietica. Lo era
diventato ancora di più quando aveva stretto un rapporto di ferro con il
procuratore generale russo Valentin Stepankov. Falcone era così
diventato per i russi non soltanto l'alleato, ma anche il maestro di
Stepankov.
Il viaggio di Falcone a Mosca non ebbe mai luogo: la
strage avvenne poche settimane prima della data concordata. Si
realizzava così la cinica massima di Stalin: «Dove c'è uomo, c'è
problema. Niente più uomo, niente più problema». Quando fu ucciso,
Falcone non aveva più poteri da procuratore, era il periodo in cui fu
confinato dietro la scrivania di Direttore degli affari penali in via
Arenula a Roma.
Francesco Cossiga raccontò che l'ambasciatore russo
Anatolij Adamiscin era venuto direttamente fino a Roma a trovarlo, era
agitatissimo e le sue parole furono esattamente questa: "Si può sapere a
che gioco giocano gli italiani? Perché nessuno interviene?"
Il
presidente della Repubblica Cossiga apprese così da Adamiscin che fra il
1991 e l'inizio del 1992, la Repubblica Russa ex Sovietica era stata
letteralmente dissanguata dall'esportazione del tesoro del Pcus, dei
fondi segreti del Kgb e di molti patrimoni occulti della nomenklatura
sovietica. Cossiga disse che Adamiscin gli parlò della più devastante
operazione criminale-finanziaria di tutti i tempi. Secondo
l'ambasciatore, il tesoro di Mosca era stato fatto affluire in Italia
attraverso canali finanziari già usati per il trasferimento di "aiuti ai
partiti fratelli" e alle loro aziende.
Cossiga in quel tempo
parlò con il presidente del Consiglio Giulio Andreotti, che era allora
in corsa per il Quirinale, benché l'assassinio del suo proconsole
siciliano Salvo Lima avvenuta il 12 marzo di quell'anno, l'avesse ormai
azzoppato.
Andreotti rispose a Cossiga con queste parole: "Sì,
bisogna fare qualcosa. Ma non sono io la persona adatta: se tiro in
ballo il Pcus e il Kgb potrei solo irritare i comunisti, mentre i loro
voti mi sono indispensabili". Poi dopo una breve riflessione - "Ho
un'idea" - aggiunse Andreotti - "chiama Giovanni Falcone e chiedigli di
dare una mano con discrezione. Gli fornirò la copertura diplomatica".
Cossiga convocò così il giudice Giovanni Falcone e gli fece una
proposta che, se non era indecente, era almeno stravagante, visto che
Falcone non aveva più il potere giudiziario di indagare.
Cossiga
spiego il problema con queste parole a Falcone: "Dobbiamo far capire ai
russi che prendiamo sul serio il problema. Sono sicuri che dietro il
trasferimento di fondi ci siano entità potenti che vanno oltre la
vecchia filiera dei finanziamenti del Pcus al Pci".
Falcone
accettò e come suo solito si gettò a capofitto nell'inchiesta che aveva a
un capolinea Mosca e all'altro Palermo e Roma. Cercò Stepankov, che lo
raggiunse a Roma. I due si piacquero molto.
Claudio Martelli,
che era stato ministro di Grazia e giustizia all'epoca della strage di
Capaci, alla presentazione del libro "Oro da Mosca" di Valerio Riva e
Francesco Bigazzi (Mondadori, 1999) - cui parteciparono lo stesso
Valentin Stepankov e Giulio Andreotti - rievocò lo stato d'animo di
Falcone: "Un giorno venne in ufficio da me. Era molto eccitato perché
aveva avuto un'eccellente impressione di Stepankov (un uomo di
prim'ordine) e poi per la materia evidentemente incandescente di cui si
stava occupando".
Nota: credetemi che il termine "incandescente" è un aggettivo appropriato visto che si stava smuovendo un vespaio.
Tre giorni dopo la strage di Capaci, il quotidiano russo Izvestia
(Notizie, già organo dei soviet dal 1917) pubblicò un articolo subito
ripreso dal Corriere della Sera in cui si leggeva che "l'omicidio del
magistrato Giovanni Falcone era probabilmente connesso con quel che
stava avvenendo in Russia, visto che era stato incaricato di coordinare
le indagini sul riciclaggio dei fondi del Pcus in Italia, su invito
dell'ex presidente Cossiga".
Scriveva Izvestia su Falcone: "quel
giudice lavorava in coordinazione con la brigata speciale che si occupa
della medesima indagine a Mosca sui fondi trafugati dal Pcus e portati
all'estero prima del crollo del regime comunista".
Il quotidiano
Izvestia asseriva che l'Italia faceva parte di un ristrettissimo numero
di Paesi in cui i soldi del partito e dello Stato sovietico scorrevano a
fiumi e che solo negli anni Settanta, sei milioni di dollari erano
stati trasferiti annualmente dal Politburo come aiuto fraterno al PCI.
La cosa più probabile è che i soldi del partito e dello Stato fossero
pompati nelle strutture occulte italiane oltre che reinvestiti o meglio
riciclati nel settore immobiliare. Basterebbe dare un'occhiata e fare
una visita catastale sulle proprietà immobiliari di Bersani per scoprire
le migliaia di immobili che risultano intestate a suo nome. Fatti
evidenziati in un'inchiesta giornalistica di Libero del 2012 ai tempi in
cui alla direzione del giornale c'era lo stimato Belpietro. Inchiesta
che lo trasformò in un nomade giornalistico che passo di redazione in
redazione e sempre assoggettato a beghe di ogni tipo. L'inchiesta è
l'articolo che vi allego di Franco Bechis stranamente fu messa subito a
tacere e la Magistratura italiana non si interessò mai di quel fiume di
denaro e delle migliaia di immobili del PCI poi passate come
intestazione ai galoppini del PD.
Per maggiori informazioni leggere qui:
https://www.liberoquotidiano.it/…/elenco-immobili-di-bersan…
Ricordiamo però una frase celebre ed estremamente veritiera dello
stesso Cossiga: "In Italia non importa quanti voti hai, se possiedi la
magistratura, governi!"
L'Italia era il paese particolare per
eccellenza, non è stata scelta a caso dalla Russia visti anche gli
enormi investimenti del Partito comunista, le strutture della mafia
molto sviluppate, la posizione radicata e di forza dei comunisti locali
in tutte le istituzioni e nella magistratura stessa, i solidi contatti
che si erano stabiliti da tempo creando una vera e propria associazione
di stampo mafioso sulla quale la magistratura non ha indagato MAI. Tutto
ciò prometteva grandi profitti agli investitori.
Già alla fine
del 1991 il procuratore generale della Russia, Valentin Stepankov, aveva
incontrato Falcone a Roma. E da allora i due si scrivevano
costantemente, concordavano incontri di persona e pianificavano azioni
comuni dei giudici italiani e russi...ma la faccenda oltre che
"incandescente" come abbiamo visto si trasformò presto in una faccenda
assai pericolosa.
Nello stesso articolo del quotidiano Izvestia
si sosteneva inoltre che i miliardi trafugati e portati in Italia
potessero essere riciclati soprattutto attraverso canali mafiosi dallo
stesso PCI.
#Nota:
Vien da chiedersi se le stesse metodiche non siano state utilizzate
dopo dal nuovo PD dato che le facce che circolavano negli anni sono
sempre state le stese.
Dirà nel 1999 Stepankov alla presentazione del libro "Oro da Mosca":
"Ho avuto due incontri con Falcone. Gli ho raccontato dei metodi
utilizzati per il trasferimento dei soldi in Italia e lui mi rispose che
il presidente della Repubblica gli aveva chiesto di scoprire che fine
facevano questi soldi. Quando sono tornato in Russia, lo invitai
ufficialmente, ma dopo il telegramma di conferma, abbiamo saputo della
sua tragica morte".
La divisione dei compiti fra Stepankov e
Falcone era dunquechiara: il primo si occupava di indagare su quel che
succedeva alla valuta in uscita e Falcone cercava i punti d'arrivo che
stranamente lo portavano sempre in Via delle Botteghe Oscure a Roma dove
c'era la storica sede del PCI.
Lo shock che investì il
Parlamento italiano per la strage di Capaci e le inchieste pericolose di
Falcone fecero saltare anche Cossiga e portanono all'elezione
accelerata di un presidente istituzionale, Oscar Luigi Scalfaro.
Andreotti era stato invitato cordialmente a dimettersi e gli era
succeduto al governo Giuliano Amato, il quale, partecipando il 28 luglio
alla trasmissione di Alberto La Volpe Lezioni di mafia, disse una frase
che raggelò il sangue nelle vene:
"Una cosa è certa: Cosa
Nostra non è soltanto italiana. E poi: "Non c'è più bisogno di
infiltrare il Kgb, che forse infiltrava noi. Dobbiamo usare
l'intelligence per avere più occhi ed orecchie dentro la mafia".
Paolo Cirino Pomicino fu un altro personaggio divenuto scomodo. Lo
stesso politico pubblicò nel 2000 il libro "Strettamente Riservato"
(Mondadori) in cui scrisse:
"Giovanni Falcone avrebbe dovuto
incontrare a Mosca il procuratore Valentin Stepankov, che indagava
sull'uscita dalla Russia di somme ingenti di denaro nelle disponibilità
del Pcus. Stepankov ha detto che dopo la morte di Falcone, nessuno gli
ha mai più chiesto nulla. Come mai Falcone svolgeva indagini non più di
sua competenza? Tutte le conoscenze che Falcone aveva sui flussi di
denaro sporco passarono allora a Paolo Borsellino che, a sua volta,
secondo l'annuncio dato da Scotti e Martelli in tv, avrebbe dovuto
assumere la guida della Procura nazionale antimafia. Fu la sua condanna a
morte. Due mesi dopo Borsellino saltò in aria alla stessa maniera di
Falcone".
Sto parlando dello stesso Paolo Cirino Pomicino che
abbiamo sentito spesso pronunciare dalla bocca di Di Maio come
personaggio scandaloso nella questione vitalizi e pensioni d'oro. Lui,
Cirino, uno che per la questione vitalizi e pensioni d'oro vale come il
due di denari quando in tavola c'è coppe.
Ma i comunisti non
dimenticano mai i nemici, presto o tardi te la fanno sempre pagare sia
che si travestano da PD o da M5S. Vedi infatti che la questione vitalizi
e pensioni d'oro ha toccato tutti, tranne gli amici dei sindacati, i
sindacati stessi dove con il sistema retributivo si elargiscono pensioni
stratosferiche sulle quali nessuno fiata perché di regola sono tutti ex
PCI o di rifondazione comunista.
Tornando a quei tempi, vorrei
sottolineare che il 18 giugno del 1992 Vincenzo Scotti era l'allora
Ministro dell'Interno. Cito "La Repubblica":
"La decisione di
uccidere Giovanni Falcone e l'organizzazione dell'attentato non sono
stati soltanto opera della mafia siciliana".
Il direttore
dell'agenzia spagnola Efe, Nemesio Rodriguez, scrisse una lunga nota in
cui riferiva che il ministro degli Interni italiano "si è detto convinto
che il motivo dell'assassinio di Falcone va molto al di là dei confini
nazionali...".
Lo storico Giancarlo Lehner, racconta un
retroscena che definire inquietante è poco. Disse di aver progettato un
libro sulla morte di Falcone e che la notizia era stata pubblicata da un
settimanale. Riguardava una precisa telefonata di Giulio Andreotti in
cui gli disse: "Mi venga a trovare. Forse posso fornirle dei documenti".
Lehner andò nello studio di piazza San Lorenzo in Lucina ed
Andreotti gli disse di aver personalmente fornito a Falcone la copertura
diplomatica per lavorare con Stepankov e la sua squadra di
investigatori sul riciclaggio del tesoro sovietico in Italia poi
aggiunse: "Al ministero degli Esteri ci sono tutti i dispacci che davano
la necessaria copertura diplomatica a Falcone. Posso farglieli avere
come prova documentale di quel che cerca".
Lehner ringraziò e
attese. Ma Andreotti lo richiamò di nuovo nel suo studio e gli disse
queste testuali parole: "Se posso darle un consiglio, lasci perdere il
suo libro sulla morte di Falcone".
Lehner rimase sbalordito ma Andreotti gli fornì una spiegazione:
"Alla Farnesina, dove non si è mai perso neanche un francobollo, mi
hanno detto che i documenti della missione di Falcone non si trovano
più. È impossibile. Devo concludere che sono stati eliminati da una
entità più forte di noi".
Il Procuratore Nazionale Antimafia Piero Grasso disse il 27 ottobre 2009, davanti alla Commissione Antimafia:
"Resta il sospetto che l'attentato non sia stato opera solo di Cosa nostra".
Morto Falcone e ucciso Paolo Borsellino, che aveva ereditato
l'inchiesta del suo amico, tutto si fermò. La memoria nell'opinione
pubblica di quel che era successo fu rapidamente resettata e oggi pochi
ricordano questi fatti, anzi nessuno ne parla più.
In verità
nessuno ha scoperto, o voluto scoprire, a quanto ammontasse il tesoro
sovietico arrivato in Italia e che molto probabilmente modificò la
storia del nostro Paese. Stepankov confermó che l'inchiesta avviata con
grande slancio fu abbandonata. Diventò obbligatorio da allora negare che
la morte di Falcone e Borsellino fosse probabilmente collegata alla
storia del tesoro russo inghiottito in Italia dalla sinistra.
Fu
così scelta, per dare un senso alle stragi di Capaci e via D'Amelio,
eseguite con una regia e con strumenti che non appartengono all'identità
della mafia siciliana, la sacra versione semi-teologica di una mafia
che si comporta come un anti-Stato e che quindi colpisce i «simboli»
dello Stato, cosa che la mafia in realtà non si è mai sognata di fare.
Un quadretto creato ad hoc dalla stessa magistratura nei maxi processi a
Totò Riina disegnato come artefice di quanto accaduto. Ma forse Totò
Riina fu solo un povero disgraziato gettato in pasto alla gogna
mediatica come l'assassino di Falcone, colui che aveva organizzato la
strage di Capaci. Pensate un po' uno come Totò Riina, che a stento
sapeva spiegarsi in italiano, ma forse era il personaggio giusto proprio
per quello.
Resta dunque aperta la questione: chi ha deciso la
morte del povero Giovanni Falcone e poi di Paolo Borsellino, la cui
agenda rossa sparì dalla scena del delitto?
Chi fece sparire tutta la documentazione alla Farnesina?
Non preoccupatevi, non pensateci, oggi dovete preoccuparvi di più delle
fantasiose invenzioni del PD sui finanziamenti alla Lega da parte della
Russia di Putin.
Oggi per assurdo è diventato questo il vero
scandalo italiano mentre invece la magistratura chiude gli occhi
volutamente su personaggi come Bersani che continuano ancora oggi ad
essere titolari per conto del PD di migliaia di immobili che se messi
insieme valgono come una finanziaria, cioè miliardi. Come sempre il PD è
alla ricerca della pagliuzza nell'occhio altrui, non badando però che
ha una trave conficcata nel proprio.
Il vero problema a mio
avviso è un altro però. Temono fortemente il cambiamento. Temono
soprattutto una riforma della magistratura e il risveglio degli
italiani. Perché se perdono il controllo della magistratura, hanno
finito per sempre. Per l'omicidio non c'è prescrizione, le indagini si
possono riaprire quando si vuole e l'ergastolo per tanti maledetti cani
che hanno dilaniato questa Italia, potrebbe essere più vicino di quanto
pensano. Ma tutto ciò dipende dagli italiani. Dipende da loro il
desiderio di ripulire questo paese dalla feccia del PD e da una sinistra
che nel tempo ha superato di gran lunga per modi e metodi la mafia
stessa.
Ecco perché temono fortemente Salvini, ecco perché temono
la Lega e i Leghisti, ecco perché siamo, sono e sarete sempre nel
mirino. Ma è anche vero che la gente ha imparato a conoscerli nel tempo
quelli del PD. Oggi dopo gli scandali del CSM, dopo che personaggi come
Zingaretti e la Kyenge qualche giorno fa sono finiti indagati per
Ischia; dopo l'enorme scandalo che li sta travolgendo per le vergognose
attività connesse al PD sui bambini strappati alle famiglie in Val
D'Enza, e poi e poi ancora, perché non si finisce mai di scoprire il
marcio che li contraddistingue....gli italiani hanno imparato a
riconoscerli e oggi sanno puntare il dito sui veri nemici di questa
Italia. I veri nemici di questa nostra patria sono loro!