martedì 18 settembre 2018

Il ministro degli Esteri lussemburghese Jean Asselborn: “Noi abbiamo accolto migliaia di italiani in Lussemburgo”.

Il ministro degli Esteri lussemburghese Jean Asselborn: “Noi abbiamo accolto migliaia di italiani in Lussemburgo”. Accolti è una parola molto grossa, diciamo sfruttati nelle miniere e nelle acciaierie dove in tanti ci lasciarono pure la pelle. La testimonianza di Riccardo Ceccarelli.
“In Lussemburgo, caro signore, avevamo migliaia di italiani che sono venuti a lavorare da noi, dei migranti, affinché voi in Italia poteste avere i soldi per i vostri figli”. Così lo spigoloso ministro degli Esteri lussemburghese Jean Asselborn si è scagliato, nei giorni scorsi, contro Matteo Salvini. Dimenticandosi però di sottolineare le condizioni in cui vivevano i nostri nonni. “La fame deve essere una brutta bestia se chi è nato in posti così belli ha poi deciso di andarsene a lavorare dentro un buco profondo duecento metri”, dicevano i locali all’oggi ultranovantenne Riccardo Ceccarelli.
Che lasciò le belle spiagge di Romagna per lasciare la salute nella miniera lussemburghese di Esch-sur-Alzette. Le altre erano a Dudelange, Rumelange e Differdange. Là per settant’anni migliaia di nostri connazionali scavarono il ferro in lunghi cunicoli di buie miniere. A Rumelange una lapide li ricorda sbrigativamente: “Onore ai minatori morti nella notte delle gallerie,  restano vivi nei nostri cuori riconoscenti”. Grazie a loro quello che oggi si è riciclato come un paradiso fiscale, all’epoca costruì la sua fortuna sulla siderurgia.
Ceccarelli fu uno di quegli schiavi, uno dei tanti “mangiaspaghetti” (così li chiamavano) che, scrive il Corriere della Sera, colà “trovò una vita degna e un futuro possibile per sé, i figli e i nipoti. E questo, nonostante la xenofobia che accolse Ceccarelli e tutti gli altri emigrati negli anni Dieci e Venti del Novecento”. Perché gli italiani si sa, pur riuscendo presto a farsi ben volere (e ben pagare), in quelle acciaierie e miniere ove lasciarono la pelle furono sempre “figli di due mondi”. Disperati, abbandonati anche dall’Italia a guida DC. Strazianti le testimonianze raccolte sempre dal Corriere(fonte non certo salviniana; anzi, più radical-chic di così), che in occasione della visita del presidente Giovanni Leone nel 1973 lascia trasparire storie di ordinaria disperazione.
“Ci sentiamo figli di nessuno”, titolava il quotidiano di via Solferino il 28 ottobre 1973. E pur tessendo diplomaticamente le lodi del Granducato, parando così il culo ai nostri connazionali all’estero ed evitando loro vendette e ripercussioni in un periodo in cui avevano addosso l’attenzione mediatica, lamentava il fatto che i nostri immigrati dovessero vivere nel “sovraffollamento e nell’inadeguatezza igienica”, penalizzati da “affitti elevati e speculazioni”. Italiani che, in una lettera al presidente chiedevano che il Governo italiano, e non certo quello lussemburghese, costruisse per loro degli alloggi decenti. L’esatto contrario delle pretese degli immigrati africani che oggi piomban qua, che pretendono prepotentemente vitto e alloggio a spese nostre!
Per tacer della scuola: o i nostri nonni e i loro figli imparavano una delle tre lingue d’uso corrente (francese, inglese o tedesco) o niente. Vietato l’italiano. La qual cosa, denunciavano gli immigrati, “condanna i nostri ragazzi ad un ingiusto stato di inferiorità”. Altro che madrasse e scuole islamiche. “Il Lussemburgo è contrario alle scuole italiane”, scriveva sempre il Corriere (che, ribadiamo, salviniano non è) il 27 ottobre 1973; “per il ministro degli Esteri Gaston Thorn (l’omologo dell’attuale Jean Asselborn, NdR) provocano una vera e propria discriminazione e ritardano l’inserimento dei lavoratori immigrati”. Apriti cielo se una frase del genere l’avesse detta oggi Salvini! 
“I ragazzi, quando arrivano qua già in età scolastica, hanno notevoli difficoltà di inserimento. Le classi parallele, frequentare cioè contemporaneamente la scuola lussemburghese e corsi in italiano, pare non funzionino bene…”, concludeva il Corriere. Ceccarelli, sempre sul Corriere, ci andò ancora più pesante: “Spaghettisfréisser und wëlle Bier, mangiaspaghetti e orsi selvatici, ci chiamavano quando andava bene, o sbrigativamente tutti delinquenti”. Mafiosi, per la precisione…

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